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2015, l’anno dei rifugiati?

Diego Boza, delegato APDHA (Associazione per i diritti umani di Andalucia) a Cádiz

Questi ultimi giorni dell’anno sono le date giuste per fare un bilancio di ciò che è successo durante i dodici mesi precedenti. Si avvicendano gli esempi: il personaggio dell’anno, l’immagine dell’anno, la parola del’anno. Stranamente, nella preselezione di quest’ultima categoria non compare il termine che ha segnato gran parte delle agende informative, sociali e politiche del 2015: rifugiato.

Possiamo percepire quest’assenza come un vero e proprio simbolo. Il dramma dei rifugiati, specialmente quelli che fuggivano dalla sanguinosa guerra civile in Siria e dall’azione dello Stato Islamico, era una realtà sin dallo scoppio di quel conflitto.

L’esempio lampante della volontaria indifferenza da parte delle autorità spagnole nei confronti di queste persone lo troviamo nel trattamento che avevano ricevuto, un anno prima, i siriani e le siriane che rimanevano all’interno del CETI (Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes) di Ceuta e che si videro costretti ad accamparsi nella Plaza de los Reyes per tentare di uscire dalla situazione di blocco nella quale si trovavano. Bisognerebbe ricordare che, di fronte a queste persone, la risposta delle autorità di Ceuta fu quella di applicare l’ordinanza che proibiva di accamparsi nelle strade pubbliche e avviare procedimenti sanzionatori.

In questo 2015 sembrava che le cose stessero cambiando. Senza ombra di dubbio, al cambiamento ha influito una di quelle immagini dell’anno, quella di un bambino inerte, annegato, che ha portato la questione sulle prime pagine dei giornali e nell’agenda dei politici. Quello dei rifugiati è divenuto un tema importante. O almeno così sembrava.

Si parlava di crisi dei rifugiati e le posizioni sono diventate più elastiche. Degno di nota è stato ciò che è successo al Governo spagnolo, il quale, dopo essersi allineato con le posizioni più estremiste della destra dell’Europa dell’est (Polonia e Ungheria in primis), ha modificato la sua disponibilità ad accogliere rifugiati. Così, prima dell’ “effetto Aylan”, il Governo rifiutava la proposta di accogliere 4.000 rifugiati e si impuntava ad accoglierne soltanto 1.500. Ciononostante, dopo l’esplosione di solidarietà sorta sul finire dell’estate, Mariano Rajoy ha accettato di accogliere una cifra sensibilmente più alta, anche se del tutto insufficiente: 16.000 rifugiati.

A questo punto è opportuno riflettere su due questioni. Anzitutto, la naturalezza con la quale abbiamo accettato, nel quadro dell’Unione Europea, di trattare il tema in termini di quote di rifugiati, tetti massimi, cifre che spersonalizzano, che disumanizzano la tragedia che tutte queste persone hanno subito e dalla quale scappano. L’asilo ha cessato di essere un diritto e si è trasformato in una materia di negoziazione.
L’osservanza degli impegni dei governi europei fa arrossire.

È opportuno inoltre tenere presente che, ancora una volta, la società civile si è sostituita ai governanti, tanto più durante la situazione di cambio politico che hanno vissuto molte città spagnole nel maggio del 2015.

Senza le ripetute dichiarazioni di disponibilità di vari municipi a trasformarsi in città-rifugio e senza la pressione di alcune Comunità Autonome che hanno posto in evidenza le posizioni estremiste del Governo del Partito Popolare, è utile domandarsi quale sarebbe stata la posizione effettiva del Governo.

A tal proposito, non è insensato domandarsi se al momento in cui il governo di Mariano Rajoy ha assunto tale impegno, nel quadro dell’Unione Europea, pensava di rispettarlo. Pare una domanda opportuna, osservando che attualmente la Spagna ha accolto solamente 18 di quelle 16.000 persone che aveva affermato di voler accogliere.

Allo scadere del 2015, soltanto alcuni pensano alle persone rifugiate. I colloqui in ambito comunitario si protraggono in eterno, i procedimenti per l’accoglienza vengono sospesi e l’unica risposta è stata quella di trasferire fondi in Turchia in cambio del nostro disinteressamento riguardo al rispetto dei diritti umani di queste persone durante la loro permanenza in territorio turco.

Ecco il simbolo. Alla fine del 2015 la parola rifugiato suona in lontananza, non compare nella lista. A dicembre la percentuale degli impegni portati a termine dai governi europei è talmente bassa da far arrossire, specialmente nel caso della Spagna, e ci si indigna quando si ascoltano le argomentazioni contro le persone rifugiate di personaggi come il presidente ceco.

Detto ciò, come date simboliche, anche questi ultimi giorni di questo ciclo servono a fissare auspici per l’anno che viene. In tal senso, per il 2016 converrebbe esigere una reimpostazione del sistema Dublino, quello che chiamano Sistema Europeo Comune d’Asilo ma che non è né sistematico, né coinvolge l’UE, né risulta comune, né, soprattutto, serve a garantire il diritto d’asilo, riconosciuto dall’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Questa reimpostazione passa per la trasformazione dell’asilo in un obbligo etico per le società europee, allo scopo di impedire agli Stati dell’Unione Europea la non osservanza degli impegni presi.