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StreetPress ha incontrato volontari, poliziotti e migranti. Tutti constatano la stessa cosa: il peggio deve ancora arrivare.

A Calais, i poliziotti abusano, l’estrema destra agisce e i migranti si battono

di Tomas Statius e Pierre Gautheron, StreetPress, Francia

Mascelle rotte, colpi di taglierino e milizie: nella giungla la situazione è esplosiva.

Calais (62) – “La violenza aumenta da entrambi i lati”, dice Amine Trouvé-Bagdouche, responsabile di Médecin du Monde per il campo di Calais:
«Abbiamo chiuso la nostra clinica (nella giungla) perché subivamo delle minacce. Qui, per le mie equipes, applico lo stesso protocollo che nei campi all’estero. Un giorno abbiamo trovato la nostra sede distrutta a colpi di asce

Seduto in un caffè del centro, l’uomo con una barba di 3 giorni descrive una situazione sul bordo di un’esplosione. Prima della chiusura, decine di rifugiati passavano nelle tende dell’ospedale da campo montato dalla ONG. Le ferite constate testimoniano dell’estrema tensione che regna nella giungla e nei dintorni: colpi di coltello o taglierino, ossa rotte a colpi di manganelli…

Come un’atmosfera Banlieu 13 a Calais

Per una settimana, StreetPress é stata nella più grande bidonville d’Europa. Un labirinto fangoso in cui la violenza raggiunge dei picchi inediti. La polizia, non esita più a usare la forza fino a ferire decine di persone che tentanto di passare in Inghilterra o a reprimere coloro che manifestano. Anche a mettere i bastoni fra le ruote alle ONG: ne testimoniano i 24 PVs incollati sui parabrezza dei veicoli umanitari stazionati all’entrata della giungla.

Foto: Pierre Gautheron
Foto: Pierre Gautheron

Nei dintorni della bidonville, dei militanti di estrema destra vegliano, pronti a sfoderare i loro manganelli per perpetrare delle vere razzie. Quello che è accaduto ad Ahmed, un giovane siriano a cui è stata rotta la mascella da 6 uomini armati nel centro di Calais.
Di fronte a questa situazione completamente incontrollabile, lo Stato ha creato una zona tampone di 100 metri per isolare il campo dal resto del mondo. All’entrata della giungla, mentre dei bulldozer finiscono di radere al suolo le ultime abitazioni di fortuna, alcuni mezzi pesanti formano delle piccole scarpate. Come vivere l’atmosfera di Banlieue 13 a Calais.

«La polizia attizza tensioni»

Per Christian Salomé, il responsabile di L’Auberge des Migrants (L’albergo dei migranti), i responsabili di questa situazione sono presto trovati:
«E’ la pressione della polizia, soprattutto la notte, che attizza tensioni.»
Al calare della notte, quando le associazioni lasciano il sito, la giungla cade nella violenza. Più volte durante la settimana, scoppiano degli scontri tra i migranti e i CRS (equivalente celerini italiani). Arrivano i poliziotti, lanci di pietre, uso di gas… alla luce delle torce, inizia tutta un’altra storia. Una storia che si svolge spesso senza testimoni. Al mattino, ONG e associazioni non possono che constatare la presenza di una nuvola di fumo all’entrata del campo e vedere i resti dei lacrimogeni a terra.

Gli scontri tra migranti e CRS sono divenuti quasi quotidiani/ Crédits: Pierre Gautheron
Gli scontri tra migranti e CRS sono divenuti quasi quotidiani/ Crédits: Pierre Gautheron

Le associazioni denunciano: un abuso giornaliero

A 500 m della giungla, incontriamo Annie. Ferma all’entrata di un grande magazzino, questa volontaria inglese di 24 anni ci racconta le sue difficoltà notturne con la polizia locale.
«Il peggio é stato il 7 dicembre». Verso le 4 del mattino, più di una decina di poliziotti arrivano nel quartiere curdo della bidonville. Quando Annie e i suoi colleghi arrivano sul posto, scoprono un corpo incosciente che giace nel fango. Un giovane curdo ha appena ricevuto un colpo di flashball in pieno petto. «Non riusciva a respirare.»
Annie e i suoi amici decidono di portarlo via. « Non riusciva a camminare, cosi abbiamo deciso di portalo all’uscita della giungla dove ci aspettavano i pompieri.» A Rue des Garennes, a due passi dal campo di fortuna, incontrano una pattuglia di poliziotti abbastanza intransigenti. Quella notte lì, l’ordine impartito era di non lasciar uscire nessuno dal campo. La ragazza perde le staffe:
«Ci hanno chiesto di lasciare la persona per terra nel fango. Non riuscivo a capire. Gli ho detto che aveva bisogno di andare all’ospedale.
»

Annie é una volontaria inglese / Crédits: Tomas Statius
Annie é una volontaria inglese / Crédits: Tomas Statius

La tensione sale. Un poliziotto spruzza del gas lacrimogeno su Annie e sui suoi amici. Non era la prima volta quel giorno: «Qualche ora prima, era stato organizzato un sit-in all’entrata della giungla. Era una protesta non violenta. I poliziotti non hanno cercato di capire, hanno subito spruzzato gas.»

StreetPress ha visitato tutte le associazioni mediche presenti sul posto: nei mesi di dicembre e gennaio sono stati rilasciati 51 certificati medici in seguito alle violenze attribuite alla polizia, praticamente quasi uno ogni giorno.

Ai diversi presidi medici, i rifugiati si presentano ogni settimana per degli ematomi sul corpo a causa dei proiettili di gomma. Altri hanno gli occhi distrutti a causa di un’esposizione troppo frequente ai gas lacrimogeni. Molti casi restano senza seguito, ricorda Annie:
«Qui nessun diritto è rispettato per i rifugiati, se non il diritto alla repressione.»

Abuso ai bordi dell’autrostrada

A Calais, le tensioni si producono anche nei luoghi di passaggio: nei dintorni del Tunnel della Manica o degli assi stradali che raggiungono il porto. E’ lungo la N16, all’uscita della giungla, che Nima, un giovane iraniano di 30 anni, ha tentato di salire su un camion. Un’opzione che é fallita… Ha incontrato un poliziotto che gli ha rifatto la faccia. Il giovane ha sporto denuncia.

Il 16 dicembre alle 10h del mattino, con altri 2 amici che tentavano di passare in Inghilterra, raggiunge il bordo della strada, pronto a salire dietro un camion. «Alla fermata c’erano diversi camion, sono salito su uno dei tanti mettendomi tra la cabina e il rimorchio», scrive nella sua deposizione che StreetPress ha potuto consultare. Il ragazzo è sfortunato, un CRS lo scova.

Nima si spaventa e decide di scappare. I suoi amici vanno a sinistra del camion, lui a destra. Non appena uscito dal suo nascondiglio, il ragazzo si ritrova naso a naso con l’uomo in uniforme. Piuttosto venereo, quest’ultimo lo colpisce più volte con il manganello. Quando tenta di fuggire, il CRS colpisce Nima dietro il cranio e infine lo colpisce sulla mascella. «Durante tutto l’attacco, potevo sentire il poliziotto gridare.» KO, Nima cade a terra. Il poliziotto gli da altri due calci e l’abbandona sul bordo della strada. Lasciato per morto.

All’ospedale, i medici constatano la gravità del suo caso. Mascella rotta, ematomi su tutto il corpo… I dottori gli rilasciano un certificato di 60 giorni d’incapacità totale di lavoro. In attesa di rimettersi in forma, Nima é in difficoltà. Vive nella giungla, riesce appena a trovare un pò di sonno e di cibo:
Posso soltanto consumare dei liquidi. Ho già perso molto peso e sono molto debole.

La polizia non riconosce gli abusi

Contattato da StreetPress, Ludovic Hochart, delegato CRS per il sindacato UNSA police a Calais, riconosce che la situazione è fuori controllo:
«Siamo nel quadro di violenze urbane. Ci sono circa 7.000 persone nel campo. Non abbiamo effettivo per gestire questa situazione. Per il momento, registriamo solo dei feriti leggeri ma siamo a due passi da un dramma»
Sulla terrazza di un caffè del centro di Calais, l’uomo di una quarantina d’anni insiste sulle violenze dei migranti e nega ogni tipo di abuso:
«Nessun funzionario é stato condannato e nessuna indagine è in corso all’IGPN (Inspection générale de la Police nationale
N.d.R.), a mia conoscenza. Non ci sono abusi; la risposta dei miei colleghi è legittima.
»

I dintorni del Tunnel della Manica o degli assi che raggiungono il porto di Calais sono diventati dei luoghi di tensione / Crédits: Pierre Gautheron
I dintorni del Tunnel della Manica o degli assi che raggiungono il porto di Calais sono diventati dei luoghi di tensione / Crédits: Pierre Gautheron

Colpo di taglierino

Nei vicoli della giungla, la tensione è palpabile. Se le associazioni individuano nella pressione della polizia e dell’estrema povertà le cause di questa esplosione di violenza, constatano anche numerose violenze tra i migranti nel campo.
Lo scorso novembre, StreetPress era potuta entrare con tranquillità con una videocamera nella bidonville. Oggi non tira più la stessa aria. Olivier, un foto giornalista belga che lavorava per Médecin du Monde, ha fatto i conti con quest’ambiente pesantissimo. L’uomo ha molta esperienza. Nel marzo scorso, copriva il conflitto siriano con camera alla mano.

Il 22 gennaio, è nella giungla e prende il suo iPhone. Alcuni minuti più tardi, si ritrova con un taglierino messo nel ventre. 4 adolescenti lo circondano; uno di questi cerca di prendergli il telefono mentre gli altri gli svuotano le tasche. Parte un colpo che gli taglia il dito : «Erano 4 ragazzini, non avevano nemmeno 16 anni». Per lui, la tensione nella giungla é dovuta anche al numero di giornalisti e anonimi venuti a fare le foto:
«Ci sono sicuramente le tensioni tra i migranti ma credo anche che i ragazzi non sopportano più la presenza dei giornalisti. Credo ci sia un turismo umanitario abbastanza deplorevole a Calais. »

Olivier non è l’unico ad essersi dovuto confrontare con questa escalation di violenza. StreetPress ha contato 5 aggressioni o estorsioni ai giornalisti nelle ultime due settimane. E non sono i soli ad essere vittime delle violenze. Faith, un volontario inglese che lavora in una cucina comune, racconta di essere stato aggredito la mattina del nostro incontro. «Era una situazione confusa. Un uomo è arrivato con un coltello nella cucina ma alla fine se ne è andato.» Questo caso non é il solo: numerose persone testimoniano della presenza di più rifugiati armati di coltelli. Se dormiva nella giungla prima dell’aumento delle tensioni, ora Faith ha deciso di affittare un appartamento nel centro della città :
«Ci hanno detto che la situazione é diventata troppo pericolosa

Risse tra migranti

I migranti non sono risparmiati da queste aggressioni. E’ però difficile raccogliere le loro testimonianze. Ma nel suo ospedale di fortuna, Amine di Médecins du Monde ha incontrato numerose vittime: «Le risse tra rifugiati sono frequenti tanto quanto le violenze della polizia. Delle violenze da parte di persone isolate.» In questo momento, le sue equipe ricevono ogni settimana da 4 a 6 persone in stato di “de compensazione psicologica”:
«Abbiamo di tutto: delle persone aggrediscono le forze dell’ordine o gli umanitari senza ragione. Ci sono anche dei suicidiari
Per una lavoratrice di una Ong che preferisce l’anonimato, la tensione nei dintorni del campo e la difficoltà a passare in Inghilterra funzionano come catalizzatore:
«Da quando é più difficile passare in Inghilterra, c’è più stress. I rifugiati si dicono che non sarà per nulla semplice

Milizie di estrema destra

«Mio figlio si è preso una pugnalata perché non ha voluto dare una sigaretta. Non ha neanche potuto fare denuncia. Gli hanno detto che non c’era niente che assomigliasse a un migrante più di un altro migrante», racconta Jean-Yves, un abitante. É in parte dopo questo evento che il quarantenne ha deciso di unirsi ai Calaisiens en colère. Creato a giugno 2015, questo collettivo si é fatto conoscere organizzando delle «ronde» nei dintorni della giungla.

L'équipe de «Calesiani in colera» / Crédits: Vassili Feodoroff
L’équipe de «Calesiani in colera» / Crédits: Vassili Feodoroff

Queste ultime settimane, diversi video li mostrano in azione, diffusi sulla pagina Facebook, hanno fatto il buzz. In uno dei video, si vedono diversi membri del collettivo gettare pietre sui rifugiati o prestare aiuto ai CRS. Accusati d’avere creato una piccola milizia di Calaisiens, Jean-Yves si giustifica in un bar del centro di Calais:
«Questi video sono fuori contesto. Siamo davanti la giungla, ci sono 300 migranti che cominciano a lanciare dei sassi in faccia. I CRS non erano pronti, necessitavano tempo per vestirsi. Non abbiamo fatto altro che rilanciare dei sassi.»

Aiutare i poliziotti sì, ma far male ai migranti no, assicura Sandrine Désert. La fondatrice del collettivo nega l’implicazione dei suoi nelle numerose aggressioni razziste a Calais. Ma riconosce che altri gruppi si aggirano nei dintorni della giungla a notte fonda:
«All’inizio venivamo in una decina di persone intorno alla giungla la sera. Poi altra gente ha iniziato ad accompagnarci. Delle buone persone in maggioranza ma anche altre che erano li giusto per far casino.»
Davanti ad un caffè macchiato, Ludovic Hochart de l’UNSA Police non vede nessun problema nella collaborazione tra i CRS e i Calaisiens en colère: «Chiunque veda un reato è in diritto d’informare la polizia. Però non bisogna esporre dei civili.» E assicura la vigilanza della polizia sui militanti di estrema destra.

«Ci sono dei servizi che gestiscono queste questioni. Sono aperte delle inchieste. C’è un’attenzione particolare. »
Le testimonianze della presenza di militanti di estrema destra che operano di notte sono numerose. Impossibile sapere chi siano questi commando armati. La sola certezza è che possono essere estremamente violenti come dimostra la disavventura di Ahmed, ancora ricoverato in ospedale, 7 giorni dopo i fatti.

Spedizione punitiva

Nella notte tra il 20 e il 21 gennaio, Ahmed e 2 dei suoi amici siriani si trovano nei dintorni del parco Richelieu nel centro di Calais. 6 uomini gli vanno incontro. Grandi, robusti, vestiti di nero, manganelli telescopici alla mano e pistole alla cintura, come ce lo spiega Bashir, un amico a cui ha raccontato tutta la storia. Questo racconto, lo ha anche fatto alla polizia:
«Si presentavamo come dei poliziotti. Hanno detto ad Ahmed e agli due siriani di sedersi per terra e di dar loro telefono, documenti e soldi. Ahmed aveva tutti i soldi con lui: 1.200 euro.»
I tre amici capiscono velocemente che stanno per passare un terribile quarto d’ora. Colpi di bastoni, pugni, manganellate. «L’aggressione è durata circa 5/6 min.», precisa Bashir. Pieno di colpi, Ahmed sento un forte dolore al viso: gli aggressori gli hanno rotto lo zigomo. «Ha cominciato a gridare perché aveva male. I sei uomini gli gridavo ancora più forte affinché tacesse. Uno di questi ha continuato a pestarlo.» Dopo l’aggressione, Ahmed si rialza a fatica. Impiega 4h per tornare nella giungla prima di essere trasportato all’ospedale. Nella sua deposizione Ahmed non ha detto che gli aggressori si presentavano come poliziotti, una tesi che nessun elemento permette di confermare.

Anche i volontari sono dei bersagli

Tra le vittime di questi gruppi, ci sono anche i volontari. Contattato da StreetPress, Christian Salomé, il responsabile de l’Auberge des Migrants (L’albergo dei migranti), ci racconta le minacce constanti di questi picchiatori nei confronti della sua associazione :
«La settimana scorsa, c’è stato un tentativo di intrusione nel nostro hangar. Davanti l’ostello di Calais, sono state bruciate 2 macchine dei membri dell’associazione. Ad altre sono state bucate le gomme. Siamo chiaramente dei bersagli. Su Internet, diverse pagine hanno diffuso l’indirizzo del nostro hangar. »
Christian Salomé fa sapere a StreetPress che ha sporto denuncia.

L’estrema destra si stabilisce a Calais

Ronde, provocazioni nei dintorni della giungla… A Calais, i fascisti mostrano i loro muscoli e contribuiscono al peggioramento della situazione. Sabato 23 gennaio, i rifugiati e le associazioni di sostegno ai migranti hanno sfilato dalla giungla fino al centro di Calais. Su Rue Mollien, ci sono dei disordini. Fermo all’esterno della sua dimora, un giovane, abbastanza robusto, punta il suo fucile sui rifugiati.

Questo «vicino arrabbiato» è conosciuto come il lupo bianco di Calais / Crédits: Pierre Gautheron
Questo «vicino arrabbiato» è conosciuto come il lupo bianco di Calais / Crédits: Pierre Gautheron

Le immagini sono passate su tutti i telegiornali. Alcuni minuti prima, i due uomini avevano insultato la manifestazione che passava all’angolo della loro strada. Lanci di pietre, ruote, insulti….
I due uomini, Gaël e David, sono conosciuti come il lupo bianco di Calais, entrambi vicini ai gruppi di estrema destra, ostili alla presenza dei rifugiati… Su Facebook, il filgio, Gaël, posa accanto a Kevin Reche, fondatore de Sauvons Calais (Salviamo Calais), celebre per la sua svastica tatuata sul petto. Il padre, David, é vicino al movimento Pegida, recentemente stabilito nel nord della Francia. Questi due gruppi sono conosciuti per organizzare delle manifestazioni che assemblano la crema dell’estrema destra radicale francese.

*I nomi di Bachir e Nima sono stati modificati su richiesta.