Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Gaia Gioacchino, Esc Infomigrante

Accoglienza profughi – Un quotidiano stato di eccezione

Viaggio fra precarietà, sfruttamento e disservizi nei centri d’accoglienza di Roma

396746312_d6a8764636.jpg

Sono una ragazza da poco laureata in Scienze Politiche con “la fortuna” di aver trovato lavoro, appena concluso il percorso universitario, in uno dei nuovi centri d’accoglienza per richiedenti asilo, aperti in seguito alla cosiddetta emergenza Nord Africa”. Ho avuto quindi la possibilità di toccare immediatamente con mano le conseguenze reali delle politiche di privatizzazione dei servizi e di distruzione del welfare su coloro che fuggono dai loro paesi e cercano in Italia la protezione internazionale. Lo stato in cui versa il diritto d’asilo in Italia è sempre più drammatico, le garanzie fondamentali prima garantite ai richiedenti asilo e ai rifugiati sono scomparse e assieme a loro sono scomparsi i criteri di qualità nella gestione dell’accoglienza, nella tutela del percorso legale della richiesta di protezione e, neanche a dirlo, ogni possibilità di ricevere strumenti adeguati per integrarsi nel nuovo contesto sociale.

A far da cornice a questa situazione di per sé molto critica si aggiunge la precarietà dei diritti dei giovani lavoratori, spesso altamente qualificati, ai quali viene delegata la porzione più onerosa della gestione dell’emergenza all’interno delle nuove strutture d’accoglienza.
Il centro in cui lavoro fa dunque parte del sistema emergenziale prodotto dal decreto del Governo Berlusconi, in seguito alle rivoluzioni nordafricane e al conflitto in Libia. La regia di questa emergenza è stata, come sempre, delegata alla Protezione Civile che a sua volta ha appaltato la gestione concreta dei servizi a cooperative private. Nell’ultimo anno si sono quindi moltiplicati in tutta Italia nuovi centri di prima e seconda accoglienza all’interno di strutture inusuali quali ex-alberghi o palazzine dismesse e abbandonate da tempo o ancora in costruzione.

Il centro in cui lavoro è situato in un paese in provincia di Roma, gestito da un consorzio di tre cooperative (addette abitualmente alla pulizia dei giardini pubblici) che hanno preso in affitto uno stabile privato: una struttura inizialmente destinata ad essere un agriturismo ma, non avendo ricevuto la licenza per aprire, si è rapidamente trasformato in un centro d’accoglienza, cosa che escludeva anche la premura di portar a termine i lavori di ristrutturazione. In altre parole, questo centro, al pari di numerose altre strutture di nuova generazione destinate in extremis all’emergenza Nord Africa è uno stabile non idoneo ad accogliere 53 ragazzi nigeriani ma in realtà perfetto per contenerli. Spiego la differenza. La mia attuale esperienza sembra corrispondere esattamente all’obiettivo di segregazione spaziale che caratterizza l’idea stessa alla base della “forma campo”. E’ posizionato in mezzo alle montagne a 2 km dal paese più vicino e non collegato da nessun mezzo di trasporto pubblico, elementi che hanno fatto cadere nel silenzio le proteste degli “ospiti” e degli altri richiedenti asilo “alloggiati” in posti simili alla periferia di Roma contro i primi dinieghi della Commissione.

Le risorse destinate alla gestione del centro vengono spese unicamente per garantire la sussistenza degli “ospiti” quindi i pasti, scarpe, vestiti e saponi (il tutto ben razionato) e un pocket money di 2.50 euro al giorno che vengono distribuiti in Voucher in modo che possano essere spesi solo negli esercizi commerciali con cui la cooperativa ha concluso delle convenzioni. Nel mio caso specifico, il proprietario dello stabile è anche proprietario di un tabaccaio ed è quindi lui stesso che vende ricariche telefoniche, sigarette e biglietti dell’autobus ma si raccontano anche casi in cui i bar convenzionati hanno aumentato i prezzi dei prodotti venduti ai richiedenti asilo (come se fossero turisti a Piazza di Spagna per capirci).

Il lavoro che invece viene richiesto a noi operatori è quello di guardiani. Non a caso gli operatori che lavorano nel nostro centro sono principalmente maschi, non parlano la lingua veicolare per comunicare con gli ospiti e non hanno alcun interesse, né tantomeno competenze, riguardo le problematiche che coinvolgono i richiedenti asilo che vengono trattati alla stregua di carcerati e ai quali, anzi, è implicitamente richiesta riconoscenza per il fatto stesso di ricevere ospitalità gratuita. Questo, nonostante il fatto che sia le leggi che regolano il diritto d’asilo sia il bando regionale per l’assegnazione dei nuovi centri d’accoglienza alle cooperative, prevedano i servizi basilari di cui i richiedenti asilo sono puntualmente privati.

Così noi operatrici, abbiamo deciso di rendere quantomeno più sensata la nostra attività lavorativa, ovviamente senza incentivi né strette di mano. Oltre a svolgere il ruolo di mamme, sorelle, amiche e guardiane, siamo anche medici, avvocati, insegnanti e psicologi. Siamo sempre noi che ci occupiamo attraverso la nostra rete di relazioni di portare nel centro amici medici avvocati e insegnanti nostri conoscenti che nel tempo libero mettono a disposizione, gratuitamente, le proprie professionalità. E ancora noi che, a partire dalla nostra conoscenza del territorio romano, inviamo e accompagniamo i ragazzi in quelle strutture pubbliche che da anni si occupano delle problematiche legate al diritto d’asilo, proprio quelle stesse strutture che oggi sono sotto attacco a causa dei tagli al terzo settore e che sono state completamente messe da parte nella distribuzione dei soldi per affrontare quest’emergenza ma la cui esistenza è fondamentale per una degna accoglienza dei migranti.

Il risultato dell’operazione Nord Africa “preparato” dall’insieme delle politiche migratorie messe a punto in Italia, almeno negli ultimi 15 anni è la costruzione di un sistema d’accoglienza parallelo e di serie B a quello già esistente. Un risultato che svela una chiara volontà politica di smantellamento dell’attuale sistema d’accoglienza che seppur precario e seppur non sufficiente è la sola garanzia residuale di quei diritti di cui un richiedente asilo dovrebbe godere. Vi sono, in questo senso, anche esempi di smantellamento di strutture pubbliche che da anni lavorano nell’ambito delle migrazioni e dei soggetti svantaggiati in genere, come l’ospedale ex San Gallicano che la Giunta Polverini vorrebbe ridurre a servizio ospedaliero di base eliminando il personale considerato “superfluo” che affiancava il servizio ambulatoriale con servizi psicologici, formativi, e legali per preparare i migranti all’esame delle Commissioni o, addirittura, come il Cara di Castel Nuovo di Porto che in questo momento sta cambiando gestione passando dalla Croce Rossa a una Cooperativa francese. Per non citare, perché l’elenco sarebbe davvero lungo, tutte le realtà autogestite distribuite in tutto il territorio nazionale che da decenni si occupano di riempire il vuoto, sempre più grande, lasciato dalle istituzioni e dal sistema di welfare italiano.

Le ricadute sui ragazzi che vengono accolti in queste strutture è evidente mano a mano che trascorrono i mesi all’interno di questi centri. Le giornate vengono trascorse in uno stato di noia e di tensione per l’incertezza sul proprio futuro. L’incertezza sulla regolarizzazione e sulla possibilità di trovare un lavoro produce una tensione all’interno del centro che spesso si manifesta in comportamenti aggressivi nei confronti degli operatori o tra gli “ospiti” stessi o, nel migliore dei casi, in atteggiamenti infantili quali diretta conseguenza di un sistema assistenzialista e di completa dipendenza.

L’esperienza nel centro rende concrete asserzioni prima più astratte ai miei occhi: le contraddizioni della politica di accoglienza e delle politiche migratorie, ma direi dell’insieme delle politiche sociali, emergono in un’evidenza quasi violenta. Da una parte la non cura della vita del migrante percepito come vittima incapace di intendere e di volere e dall’altra la continuità dell’idea e della necessità di ricreare continuamente un “esercito di forza lavoro di riserva”, un esercito di precari, poveri, ricattabili e immediatamente disponibili sul mercato al momento del bisogno soprattutto se concentrati all’interno di zone delimitate (chiamate centri d’accoglienza, di detenzione, campi ecc…). Caso emblematico che ha riguardato il centro in cui lavoro è l’ “arruolamento” dei richiedenti asilo durante l’”Emergenza Neve” di Alemanno delle prime due settimane di Febbraio.

La Protezione Civile che gestisce l’emergenza Nord Africa e i centri d’accoglienza è lo stesso organo istituzionale che, durante il periodo di maltempo, ha chiamato a raccolta tutti i richiedenti asilo, presenti nei nuovi centri, per mandarli, insieme ai detenuti, a spalare la neve per tre giorni consecutivi. Un’attività retribuita coerentemente con la volontà di continuare a sperimentare sui soggetti più vulnerabili l’eliminazione di diritti e dignità. Laddove cioè i ragazzi italiani sono stati pagati 10 euro l’ora per spalare, i migranti hanno ricevuto una cifra forfettaria giornaliera di 50 euro per  9-10 ore di lavoro. Probabilmente a causa dell’intermediazione delle cooperative che hanno anticipato il pagamento dei richiedenti asilo. La necessità dei migranti di avere contanti è stata sfruttata anche dallo stesso proprietario dello stabile che ha offerto lavoro “agli ospiti” per spalare la neve lungo tutta la salita che dal paese porta al centro a soli 5 euro al giorno.
Insomma là dove la legge prevede che al richiedente asilo è vietato svolgere qualsiasi attività lavorativa ha funzionato (e non certo a loro tutela) ancora lo stato d’eccezione, marcato dai decreti emergenziali. Ed è tramite l’eccezione, che diventa l’unica norma sempre valida, che assieme allo smantellamento del welfare si sta avviando una riforma generale del sistema d’accoglienza proprio quando il diritto d’asilo rappresenta l’unica possibilità di regolarizzazione per un migrante in attesa della prossima sanatoria o del prossimo decreto flussi che sembrano non arrivare mai.