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Perché i paesi del golfo non accolgono i rifugiati siriani?

Tra i cittadini europei animati dall’attuale dibattito sui rifugiati siriani circola una domanda accusatoria nei confronti dei paesi del Golfo: perché gli Stati Arabi non accolgono i rifugiati siriani? Si è infatti diffuso a macchia d’olio l’hashtag che chiede ai cinque paesi del golfo Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Bahrein di aprire le porte ai rifugiati: in una settimana è stato rilanciato oltre 33 mila volte su twitter.

Una caratteristica comune a questi paesi, oltre alla lingua e alla cultura araba, è sicuramente la stabilità economica. Si tratta infatti di paesi che godono di economie ricche principalmente grazie all’esportazione di petrolio. In Arabia Saudita ad esempio il cosiddetto oro nero rappresenta più del 95% delle esportazioni ed è il 70% delle entrate del governo. Nonostante la sfortunata posizione geografica nel deserto, il regno è quindi una delle nazioni più ricche del mondo nonché una delle più moderne grazie agli enormi introiti che vengono investiti nello stato sociale e nelle infrastrutture.
Questi paesi destinano il più alto budget alle spese militari e hanno tra i più alti standard di vita al mondo.

Perché quindi i rifugiati siriani non possono essere accolti da tali paesi con cui condividono peraltro la lingua, la cultura e spesso la religione? I paesi del Golfo dispongono di enormi risorse finanziarie che potrebbero essere messe a disposizione per l’integrazione locale dei rifugiati. Si trovano inoltre molto più vicini geograficamente rispetto all’Europa o agli Stati Uniti e potrebbero quindi evitare i grandi spostamenti disperati e pericolosi a cui i rifugiati siriani sono attualmente sottoposti per raggiungere le ambite destinazioni. Quello che però i paesi del Golfo fanno in abbondanza è donare denaro alle organizzazioni internazionali che si occupano di rifugiati: solo l’anno scorso infatti il Regno Saudita ha stanziato 90 milioni di dollari come fondi per l’UNHCR a sostegno dei rifugiati siriani. Una soluzione comoda per non dover accogliere rifugiati senza essere accusati di menefreghismo ed egoismo?

Cartoon by Palestinian Artist Mahmoud Abbas
Cartoon by Palestinian Artist Mahmoud Abbas

Si trovano molto più vicini geograficamente rispetto all’Europa e potrebbero evitare le tragedie del Mediterraneo.

Come si giustificano gli Stati Arabi? Le motivazioni a cui i paesi del Golfo si aggrappano sono principalmente la sicurezza, il terrorismo e lo stravolgimento del mercato del lavoro ma in realtà ci sono ragioni più profonde legate alla tradizione di questi paesi che potrebbero spiegare meglio tale comportamento.

I paesi del Golfo non sono mai stati aperti ad integrare localmente gli stranieri. Nelle monarchie del golfo infatti la cittadinanza è percepita sempre in riferimento ad un gruppo di appartenenza etnico o religioso. Mentre in Occidente la cittadinanza è percepita come un diritto individuale, nella maggior parte degli Stati Arabi essa è sempre associata all’appartenenza ad una comunità. Di conseguenza la naturalizzazione degli stranieri è molto difficile e de facto impossibile se non si eredita la discendenza dal padre. L’integrazione locale dei rifugiati, uno dei tre pilastri delle politiche dell’UNHCR, è quindi ideologicamente impossibile nei paesi del Golfo.

Il legame principale tra un paese del golfo e uno straniero è definito dal sistema del kafala. Il sistema del kafala è utilizzato per controllare i movimenti dei migranti lavoratori nel settore domestico e di costruzione in paesi come il Libano, il Bahrein, Oman, Qatar. Viene richiesto al migrante di avere uno sponsor, normalmente il datore di lavoro che diventa responsabile per il permesso di lavoro e per tutte le questioni burocratiche come ad esempio il conto in banca, l’affitto di una casa..

Questo sistema è stato recentemente fortemente criticato dalle organizzazioni dei diritti umani come Amnesty in quanto il datore di lavoro può abusare del proprio potere e sfruttare il migrante creando una situazione di neo-schiavismo. Emblematica è la storia di Kusuma Nandina, una donna proveniente dallo Sri Lanka obbligata a lavorare quasi vent’anni senza salario, senza contatti con la propria famiglia né con il mondo esterno. Purtroppo questi casi sono tutt’altro che rari.

Si nasconde anche un problema politico dietro il rifiuto di accogliere i rifugiati: gli stati del golfo sono reticenti ad accusare altri stati arabi di persecuzione. Inutile è poi considerare il ruolo ambiguo giocato da Arabia Saudita nella guerra in Siria e nella lotta al terrorismo contro lo Stato Islamico.
In seguito alla diffusione dell’hashtag su Twitter e alle numerose accuse da parte di ONG, giornalisti, attivisti e politici europei rivolte ai paesi del Golfo, si spera che gli Stati Arabi si rendano conto della responsabilità che grava anche sulle loro spalle e che decidano di accogliere i rifugiati siriani considerando le enormi risorse finanziarie a cui possono attingere.

A cartoon by Saudi artist Abdullah Jaber which reads,
A cartoon by Saudi artist Abdullah Jaber which reads,

Silvia Peirolo

Silvia Peirolo

Dottoranda presso l'Università di Trento (IT), mi sono laureata in Studi Internazionali all'Università di Wageningen (NL), all'Università di Torino (IT) e a Sciences Po Bordeaux (FR). Nata e cresciuta a Torino, ho vissuto in vari paesi per studi e lavoro. Di tutti i paesi, sono rimasta appassionata alla Sierra Leone, dove ho vissuto per sei mesi. Mi interesso alle questioni legate alla polizia e alla migrazione, con un focus geografico sull'Africa occidentale. Ho lavorato precedentemente con varie agenzie delle Nazioni Unite e parlo fluentemente inglese e francese.