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Aiutare i migranti è un reato. Tre attiviste di Udine sotto inchiesta per aver fornito assistenza e informazioni ai profughi

Anche questo è un muro. Non bastassero i chilometri di filo spinato alle frontiere, anche la Procura ci mette del suo per far passare un pericoloso principio giuridico per il quale aiutare un profugo, anche solo fornendogli una semplice indicazione, diventa un reato perseguibile penalmente.

E’ accaduto a Udine dove sette volontari dell’Associazione Ospiti in Arrivo che stavano distribuendo coperte e generi di prima necessità a dei richiedenti asilo sono stati identificati e poi denunciati per “invasione di terreni o edifici“. Tre di loro – la presidente e la vice presidente dell’associazione e un giovane che faceva da interprete – sono stati iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Reato per il quale rischiano 4 anni di carcere.

Gli attivisti, per prestare assistenza, erano entrati in ex caserme e aree abbandonate di proprietà privata. Che sono poi le zone dove si rifugiano i senza tetto di Udine.
E qui vale la pena di ricordare che, pur se il Friuli Venezia Giulia è una terra di passaggio della cosiddetta “rotta balcanica”, la Questura di Udine è tra le più lente in tutta Italia a consegnare la ricevuta della domanda di protezione umanitaria. L’iter burocratico, che altre Questure sbrigano in una mezz’ora, in Friuli dura anche tre settimane e oltre. Senza questo documento, il profugo non può accedere a nessun servizio di assistenza. Neppure potrebbe trovare un letto in un albergo, anche ammesso che gli sia rimasto in tasca il denaro sufficiente, perché sprovvisto di documenti in regola. Cercare riparo in un luogo abbandonato diventa quindi una naturale conseguenza di un sistema che non offre alternative. Gli attivisti di Ospiti in Arrivo si occupano di fornire un po’ di assistenza a questi migranti, incontrandoli nei luoghi in cui sono costretti a vivere per portargli una coperta, fornendo loro le indicazioni burocratiche per la domanda di asilo ed indicandogli le strutture di assistenza.

Comportamento che, solo alcuni anni fa, sarebbe stato considerato encomiabile e meritevole di un qualche Premio Bontà ma che oggi viene interpretato come un pericoloso atto di ribellione.
In Italia, così come in Europa, sta passando la visione neoliberista per la quale “fare politica” – inteso nella sua accezione più nobile, cioè lottare per a tutela dei beni comuni e dei diritti – sia ideologicamente sbagliato e vada pesantemente sanzionato. La decisione della Procura di Udine, per quanto grottesca, non punta tanto a colpire il dissenso politico in tema di migrazione quanto a far passare l’idea che sia “sbagliato” aiutare i profughi ed a sdoganare l’indifferenza come un atteggiamento positivo e conforme alla legge.
Fare la cosa giusta è diventato sbagliato. Hanno cominciando trasformando in siti di interesse nazionale i cantieri della Tav, in modo da convertire qualsiasi protesta in un reato, e continuano colpendo chi non riesce a rimanere insensibile di fronte alla tragedia dei migranti.

L’accusa alla quale le due ragazze e il loro interprete dovranno rispondere, è di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro”. Il “lucro”, spiega la Procura, starebbe nel 5 per mille che l’associazione intascherebbe, “ottenendo così un ingiusto profitto dalle condizioni di illegalità dei migranti extracomunitari”. Il particolare che Ospiti in Arrivo sia una associazione non iscritta nel registro delle associazioni beneficabili col 5 per mille, non gli è neppure passato per la testa!

Le giovani attiviste avrebbero “fornito il proprio numero di cellulare a svariati soggetti al fine di assicurarne la diffusione in capo ai clandestini che arrivavano a Udine o provincia, così venendo da loro contattato al fine di poterne poi organizzare il ricovero presso strutture o altro … Fornendo indicazioni precise su come muoversi in Italia, in particolare per quanto concerne la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato politico”. Non solo. Secondo la Procura, le due ragazze e il loro interprete avrebbero fatto anche di peggio: “accogliendo e accompagnando circa trenta clandestini afghani presso la Caritas di via Treppo il 29 dicembre”.
Tutto qua il reato da 4 anni di galera.

In Friuli il filo spinato che divide l’Europa è già entrato nel codice penale” ha sintetizzato sull’Espresso il giornalista Fabrizio Gatti cui va il merito di aver sollevato il caso dinanzi all’opinione pubblica. E nel caso che il procedimento giudiziario procedesse, sottolinea Gatti, si “aprirebbe invece un nuovo, drammatico corso che metterebbe in discussione l’operato di migliaia di volontari, di associazioni laiche, parrocchie, l’Alto Commissariato per i rifugiati, le stesse direttive attuali del ministero dell’Interno. Tanto da dover considerare perfino il messaggio del Papa, più volte ribadito, alla stregua di una pericolosa istigazione a delinquere”.

Cosa più unica che rara in un collega giornalista, Fabrizio Gatti, non si è limitato a diffondere la notizia ma si è fatto promotore di un appello a favore delle due attiviste e del loro interprete giungendo persino ad autodenunciarsi, dichiarandosi “mandante morale e complice in concorso dei reati contestati dalla Procura… per aver più volte segnalato a cittadini stranieri, sprovvisti di documenti, strutture di assistenza sanitaria e legale”.
Ma quanti di noi non hanno mai fatto queste cose? Arrestateci tutti, allora!

Non per caso, l’appello in questione, che può essere letto integralmente e sottoscritto a questo link, si chiama proprio “Arrestateci tutti!” Primo firmatario Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere.
Non per caso, l’appello si richiama esplicitamente al rispetto di quell’articolo 2 della Costituzione su ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Doveri che, letti oggi, sembrano davvero rivoluzionari e pericolosi, visti sotto la lente del neoliberalismo.

Non per caso, l’appello conclude così: “Se donare soccorso, vestiti, scarpe, coperte e cibo a persone abbandonate per strada dalle istituzioni – che sembrano ricordarsi di loro solo quando viene il momento di sgomberarle dai luoghi in cui hanno trovato rifugio – è un reato, allora noi tutti ci dichiariamo pubblicamente colpevoli”.
Arrestateci tutti, allora!

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.