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Algeria: nuova ondata di espulsioni

Human Rights Watch, 27 febbraio 2018

© 2017 Bukary Dao / Le Républicain

Tunisi – “Le autorità algerine hanno fermato centinaia di africani subsahariani, tra cui donne e bambini, durante una serie di retate da gennaio 2018 a oggi, e hanno respinto molti di loro verso il Niger” dichiara Human Rights Watch. Queste persone non hanno la possibilità di far valere i propri diritti e di contestare la loro detenzione e possibile espulsione, come hanno loro stesse dichiarato a HRW.

Proprio come durante i numerosi arresti avvenuti nell’ottobre 2017 e nel dicembre 2016, le forze dell’ordine hanno eseguito arresti di massa, per strada o nei cantieri edili dove molti lavorano. La maggioranza – o per meglio dire la totalità – di loro sono stati portati in un centro a Zeralda, nella periferia della capitale, dove hanno passato da uno a tre giorni in grandi stanze senza materassi e con scarse quantità di cibo, come hanno dichiarato alcuni a Human Rights Watch.

Le forze dell’ordine, in seguito, li hanno trasferiti verso sud, per mezzo di autobus, a una distanza di 1900 km, fino a un campo a Tamanrasset. Nel corso delle precedenti retate, alcuni migranti sono stati portati in camion fino a In Guezzam, una località vicino alla frontiera, e da lì spinti ad attraversare il confine con il Niger.

L’Algeria ordina retate e deporta i migranti in modo terribile, li priva dei loro diritti, ad esempio quello di poter presentare, e far esaminare, la propria situazione individuale” ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttrice della sezione Medio-Oriente e Africa del Nord di Human Rights Watch.

Un attivista locale, che desidera restare anonimo, ha dichiarato che le retate sono avvenute il 24 gennaio e il 10 febbraio. Non si conosce il numero delle persone espulse nel 2018. L’International Rescue Committee (IRC) che gestisce un progetto di assistenza ai migranti ad Agadez, in Niger, stima a 3.000 il numero di espulsi nel 2018, di cui 500 dopo il 10 febbraio, provenienti soprattutto dal Niger, ma anche da Nigeria, Camerun, Mali e Guinea.

Fonti affidabili ad Algeri hanno dichiarato che tra i detenuti in gennaio e febbraio, erano presenti 20 rifugiati e richiedenti asilo, di cui due minori. Le autorità hanno liberato alcuni di loro dopo averne verificato lo status, mentre altre persone sarebbero fuggite durante il trasferimento a Tamanrasset. Di almeno due di loro, non si hanno più notizie.

Il 13 febbraio gli attivisti di Human Rights Watch sono riusciti a sentire telefonicamente 3 uomini detenuti a Tamanrasset. Separatamente, hanno raccontato come la polizia li abbia arrestati e detenuti senza che potessero recuperare documenti e risparmi. Hanno inoltre dichiarato che le autorità non hanno effettuato controlli per verificare il loro status o situazione, non sono stati informati dei loro diritti, né hanno potuto contattare i consolati dei loro paesi.

Sono stati arrestati con centinaia di altre persone, e detenuti a Zeralda, a 30 km dalla capitale, dove hanno dormito per terra, mangiando solo pane e biscotti per due giorni. I testimoni riportano che tra i fermati erano presenti nigeriani, maliani, camerunesi e ivoriani, tra cui donne e bambini.

I tre sono stati testimoni di violenze su altri detenuti o sono stati loro stessi vittime di pestaggi durante il trasferimento a Tamanrasset. Secondo quanto riportato, le condizioni sarebbero disumane nel campo di Tamanrasset: sovraffollato, in pessime condizioni igieniche e dove le persone rimangono senza cibo anche per una giornata intera.

L’Algeria ha potere di controllare le proprie frontiere. Può allontanare chi risiede nel territorio illegalmente, chi non gode dello status di rifugiato, non ha in corso un procedimento per la richiesta di protezione e chi non ha ragioni sufficienti che ne impediscano l’allontanamento: nel rispetto dei diritti umani, ad esempio il diritto di risiedere nel luogo in cui si trova la propria famiglia dovrebbe essere garantito.

Inoltre, l’Algeria dovrebbe permettere ad ogni individuo di poter contestare il proprio trasferimento e di poter far esaminare la propria situazione. Non dovrebbe detenere i migranti in modo arbitrario né sottoporli a trattamenti disumani e degradanti.

L’Algeria ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati (1951) e la Convenzione del 1987 contro la tortura: nessuno dovrebbe essere trasferito in luoghi in cui rischia di essere perseguitato, torturato, o dove subisce un trattamento disumano e degradante. Le richieste di chi teme per la propria vita dovrebbero essere esaminate secondo procedimenti completi e giusti mentre la persona si trova sul territorio dello stato.

L’Algeria inoltre ha sottoscritto la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, che vieta le espulsioni collettive dei lavoratori migranti e delle famiglie e prevede che ognuno abbia il diritto di presentare e di vedere esaminata la propria situazione. La convenzione si applica a tutti i lavoratori immigrati e alle loro famiglie, senza distinzioni di status e di condizione lavorativa.

La detenzione amministrativa è l’unica forma di detenzione accettata, e dovrebbe avvenire nel pieno rispetto dei diritti e dell’applicazione delle leggi e delle procedure; la detenzione dovrebbe inoltre essere prevista solo in ultima istanza e durare il minor tempo possibile. Nel periodo di detenzione dovrebbe essere garantita ai detenuti la possibilità di comunicare con i familiari, di contattare l’HCR, l’organo delle Nazioni Unite per la protezione dei rifugiati e i consolati di riferimento. Il tutto nel pieno rispetto dei diritti umani.

Testimonianze

Human Rights Watch ha raccolto tre testimonianze di persone arrestate durante le recenti retate. I nomi riportati qui sotto sono fittizi, per proteggere i testimoni

Slimane

Slimane, 27 anni, originario del Camerun, ha dichiarato di essere in Algeria da 8 mesi. Ha lasciato il Camerun dopo aver rifiutato di unirsi a Boko Haram, che ha minacciato di morte lui e la sua famiglia a causa di questo rifiuto. In Algeria, a Sidi Abdallah, Slimane lavorava come agente di sicurezza in un cantiere.
Il 10 febbraio, alle 22, mentre sorvegliava il cantiere insieme ad un altro camerunese, Mohamed, Slimane ha visto arrivare alcune forze dell’ordine, che hanno fermato i due uomini e li hanno portati, a bordo di un furgone, in una stazione di polizia. Hanno chiesto spiegazioni, ma i poliziotti, urlando, li hanno obbligati a tacere. Hanno anche impedito a Slimane di portare con sé il passaporto e qualche risparmio.
Slimane e il suo collega sono stati lasciati sul furgone davanti alla stazione di polizia per quasi un’ora, prima di essere trasferiti nel campo di Zeralda. Slimane ha dichiarato che nel campo di Zeralda erano presenti centinaia di uomini provenienti dal Mali, dal Camerun, dalla Liberia e dal Niger, e di avere visto anche donne e bambini. È rimasto nel campo di Zeralda per due notti, dormendo su pezzi di cartone, per terra, senza nessuna coperta e con pochissimo cibo.
Il 12 febbraio, la polizia ha fatto salire tutti, uomini donne e bambini, su una ventina di autobus.
Durante il tragitto, uno dei viaggiatori ha tentato di fotografare l’interno del mezzo. Un poliziotto ha fatto fermare l’autobus, ha fatto scendere l’uomo, l’ha picchiato al viso e all’addome, insieme ad altri poliziotti, e l’ha caricato su un altro mezzo.
L’autobus sul quale si trovava Slimane è arrivato a Tamanrasset il 13 febbraio alle 14. Le autorità hanno condotto i migranti in un campo fuori dalla città, e li hanno detenuti in container adibiti ad uso marittimo. Slimane ha riportato che i poliziotti colpivano i migranti alle gambe e alla schiena, mentre scendevano dai bus.
Le condizioni del campo di Tamanrasset, secondo Slimane, sono “terribili – materassi ripugnanti, servizi igienici disgustosi all’interno della stanza, rifiuti ovunque”. Slimane ha inviato due foto dai container: una mostra le condizioni deplorevoli del container, in un’altra si vedono bambini in piedi sui materassi.
In un video inviato da Slimane a Human Rights Watch, il 13 febbraio alle 22:40, dichiara che lo stanno trasferendo, insieme ad altri migranti, su una decina di mezzi, verso il Niger. “Guardate le condizioni del nostro trasferimento, siamo stipati come animali”. Il video mostra decine di uomini seduti o in piedi in un camion scoperto.

Mohamed

Mohamed, 21 anni, arrestato insieme a Slimane, porta una testimonianza molto simile sulle condizioni di Zeralda e di Tamanrasset. A Zeralda, secondo quanto ha riportato, c’erano molti africani in una grande stanza. Le donne e i bambini erano in un’altra stanza. Mohamed è stato picchiato durante il trasferimento da Zeralda a Tamanrasset:
“Quando siamo arrivati a Ghardaia (una città lungo il percorso) mi sono sentito male, mi girava la testa, visto che avevamo mangiato solo qualche biscotto e qualche pezzo di pane per 3 giorni. Quando ho chiesto ad un poliziotto di poter avere una medicina, mi ha colpito in testa con un manganello. Sono svenuto. E quando mi sono svegliato mi sono reso conto di essere su un altro autobus”.

Salif

Salif è un ragazzo maliano di 24 anni. È arrivato in Algeria 4 anni fa e stava frequentando l’università di Bab Ezzouar. Ha dichiarato di essere stato arrestato a mezzogiorno, il 10 febbraio, mentre si trovava in una via vicino all’università. Salif voleva mostrare ai poliziotti il suo passaporto e l’iscrizione all’università, che si trovavano nel suo alloggio universitario, ma i poliziotti gli hanno sferrato un pugno all’addome, l’hanno ammanettato e spinto sul furgone, dove c’erano altri 12 uomini, tutti di pelle nera. I poliziotti li hanno portati alla stazione di polizia di Bab Ezzouar, dove hanno raccolto le loro impronte digitali. Poi li hanno caricati su autobus in direzione di Zeralda, e da là verso Tamanrasset.