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Annullamento del decreto Questorile recante l’annullamento in autotutela del permesso di soggiorno rilasciato per attesa occupazione

TAR per la Lombardia, sentenza n. 302 del 12 marzo 2018

Photo credit: Angelo Aprile

La fattispecie oggetto del presente esame attiene al procedimento incardinato dinanzi il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia – Sezione distaccata di Brescia – da un cittadino di origini cinesi al fine di richiedere l’annullamento del provvedimento del Questore della provincia di Bergamo che aveva decretato l’annullamento, in autotutela, del proprio permesso di soggiorno.

Il cittadino cinese era titolare di regolare permesso di soggiorno per lavoro subordinato/attesa occupazione, rilasciato a norma del D.Lgs. n. 109/2012 che offriva la possibilità al datore di lavoro, italiano o straniero, che aveva alle proprie dipendenze un lavoratore extracomunitario da almeno tre mesi di poterlo regolarizzare.
Veniva successivamente assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e presentava, nei termini, istanza di rinnovo del proprio titolo di soggiorno.
In seguito alla richiesta di rinnovo, con provvedimento della Questura di Roma, mai formalmente notificato al ricorrente, si decretava l’annullamento in autotutela del suo permesso di soggiorno, con contestuale ordine di allontanamento dal territorio nazionale entro 15 giorni lavorativi.

Le motivazioni alla base del provvedimento di rigetto consistevano in un’asserita e non meglio specificata “non corretta applicazione delle disposizioni introdotte dall’art. 9 comma 10 D.L. 76/2013 c.d. Decreto Fare” che avevano determinato l’illegittimità originaria dell’autorizzazione al soggiorno già rilasciata.
Nel provvedimento impugnato, inoltre, si legge che la Questura aveva ritenuto di non dover dare avviso all’interessato dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi degli artt. 7 e 8 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, in quanto l’omissione di tale comunicazione non avrebbe comunque modificato l’esito del procedimento.

In via preliminare, avverso il detto provvedimento il ricorrente eccepiva la mancata notifica dello stesso nonché la mancata traduzione in una lingua effettivamente conosciuta dallo straniero, formulando richiesta di rimessone in termini.
Nel merito, eccepiva il manifesto vizio di violazione di legge ed eccesso di potere da cui era affetto il provvedimento, in quanto:

i) la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, che ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90 deve precedere ogni provvedimento di diniego della Pubblica amministrazione, aveva determinato un’effettiva lesione del diritto del ricorrente alla partecipazione nel procedimento finalizzato al rilascio del titolo di soggiorno;

ii) l’apporto partecipativo dell’interessato avrebbe palesemente inciso sul contenuto del provvedimento della Questura della Provincia di Bergamo;

ravvisando, quindi, la concreta incidenza della violazione formale sul contenuto del provvedimento impugnato, in quanto la decisione della Pubblica Amministrazione Procedente si sarebbe formata in termini sostanzialmente diversi, se il ricorrente fosse venuto a conoscenza del preavviso di rigetto.

Il ricorrente, infatti, non era stato messo in grado di integrare la documentazione richiesta, e per la quale l’Amministrazione Procedente ha sommariamente emesso il provvedimento ivi impugnato.
Le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato avrebbero infatti contribuito ad orientare gli organi competenti ad una diversa determinazione finale, qualora si fosse instaurato un contraddittorio effettivo con la sostanziale comunicazione del preavviso di rigetto ed al ricorrente fosse stato consentito di documentare che è stato titolare, senza soluzione di continuità, di rapporti di lavoro, che al momento della presentazione dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno, così come al momento del deposito del ricorso avverso il provvedimento impugnato era ugualmente regolarmente impiegato con regolare rapporto di lavoro e che nel corso degli anni ha percepito una retribuzione annua superiore all’importo dell’assegno sociale ed ampiamente sufficiente per il suo sostentamento.

Il provvedimento in commento, dopo aver accolto la richiesta di rimessione in termini per mancata prova della notifica del provvedimento nonché, in ogni caso, in quanto non è stata fornita la prova della regolare notifica dello stesso, si è conformato alle eccezioni in diritto formulate dal ricorrente in ordine alla:

i) “omessa valutazione delle sopravvenienze” da parte dell’Ufficio;
ii) grave carenza di motivazione in ordine all’interesse privato alla conservazione dell’atto (“che si concreta nell’attuale situazione dello straniero, il quale dispone di un lavoro”) che si sarebbe dovuto comparare con l’interesse pubblico al ripristino della legalità.

Il TAR nel richiamare anche Cons. Stato, n. 1053 dell’8.2.2011, il quale ha ammesso la possibilità di valorizzare i fatti nuovi, intervenuti anche dopo l’adozione del provvedimento, ma prima della sua notificazione (ovvero in un momento in cui lo stesso può essere ritenuto non ancora efficace) ha quindi concluso per l’illegittimità del provvedimento impugnato, rappresentato dal ritiro, in autotutela, da parte della Questura, dell’originario titolo legittimante la presenza in Italia dello straniero “in quanto adottato senza essere stato preceduto da una compiuta
valutazione dell’affidamento ingenerato nello straniero, dell’attuale situazione lavorativa dello stesso e dell’effettiva sussistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, alla rimozione del titolo concesso, pur in difformità dalla previsione di legge
”.

A conforto di tale determinazione, il TAR ha inoltre considerato come indicativo il contegno processuale della Questura, la quale non ha ottemperato alle richieste istruttorie e non ha fornito i chiarimenti richiesti dalla Corte (vedi l’ordinanza con le richieste).
L’inottemperanza dell’amministrazione ai doveri della di collaborazione istruttoria ha concretizzato, secondo il TAR, una condotta che ha reso applicabile l’art. 116 c. 2 c.p.c., applicando il principio di diritto statuito dal TAR Lazio Roma, Sez. II-quater, 23.20.2017 n. 10632, secondo il quale “la mancata ottemperanza da parte dell’Amministrazione alla richiesta rivoltagli dal giudice in sede istruttoria di fornire documentati chiarimenti in ordine a quanto asserito dai ricorrenti rileva come comportamento omissivo del tutto ingiustificato e pertanto tale da indurre a far applicazione del disposto dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 64, comma 4 c.p.a. che, in analogia a quanto previsto – relativamente ai giudizi civili – dall’art. 116, comma 2, c.p.c., autorizza il giudice amministrativo a desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti”.

In quanto Autorità pubblica che deve collaborare con il Giudice al fine di accertare la verità dei fatti, l’Amministrazione ha infatti un preciso dovere giuridico di adempiere agli incombenti istruttori disposti dal Giudice amministrativo.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il Tribunale amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione distaccata di Brescia – ha quindi accolto il ricorso e annullato l’impugnato provvedimento.

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TAR per la Lombardia, sentenza n. 302 del 12 marzo 2018