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Atene, la solidarietà dal basso ai migranti

Un report di Francesca, Marco e Patricia

19- 23 maggio. Autonomia ed autogestione per un’accoglienza degna. Le esperienze di Atene.

Migliaia di profughi siriani, iracheni e afghani sono bloccati ormai da mesi alla frontiera greca-macedone con la speranza di poter varcare quel confine, ma quasi altrettanti si trovano ad Atene, e qualche migliaia in condizioni disumane, senza servizi e prospettive al porto del Pireo.
Dall’estate del 2015, infatti, il numero dei rifugiati accolti sulle isole e trasferiti ad Atene è aumentato in maniera esponenziale. Flussi di persone dirette al nord Europa, che però dai primi mesi del 2016, a causa della progressiva chiusura delle frontiere, della creazione di vere e proprie barriere sono costrette a rimanere in Grecia.
E mentre si preparano i primi campi per rifugiati, container e tendopoli per ospitare intere famiglie, donne e bambini, mentre si attrezza l’aeroporto Ellinikon Glyfada e il campo di baseball delle Olimpiadi 2004, ad Atene si moltiplicano le iniziative di solidarietà per tutti gli immigrati, economici o politici che siano.
Gran parte dell’accoglienza e della gestione della crisi comincia a essere garantita dalla solidarietà di gruppi, collettivi, associazioni e singoli della città di Atene. Una solidarietà incredibile che proviene da una popolazione a sua volta stremata da anni di politiche di austerità e tagli ai diritti basilari di salute, istruzione, casa e reddito.
Le reti sociali, i gruppi studenteschi, i collettivi di quartiere cominciano a occupare palazzi e scuole per accogliere temporaneamente famiglie in fuga dalle guerre e dirette in nord Europa, che vivono nelle piazze e nelle strade della capitale ellenica.
Ed è per comprendere meglio cosa sta succedendo in Grecia che ai primi giorni di maggio decidiamo di partire.
Arrivati ad Atene, ci siamo resi conto che quasi tutte le iniziative di solidarietà si trovano nel quartiere di Exarchia o nelle vicinanze. Non è un caso che questo sia il quartiere di Atene degli anarchici e dei libertari. A pochi passi uno dall’altro ci sono la sede del Diktyo, lo spazio sociale Nosotros, lo squat di via Dervenion, il “5º Lyceo” (Liceo n.5) e la prima occupazione per migranti di Atene, la Notara 26, dal nome della via. Quest’ultima da punto di ristoro e nodo della rete transeuropea, che forniva informazioni ai migranti su come e dove proseguire il loro viaggio, si è trasformata oggi in occupazione stabile per varie famiglie e persone singole, rimaste intrappolate in Grecia dopo la crisi dei confini.

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Il nostro primo contatto è stato con il City Plaza Hotel, una recente occupazione ad Atene di cui ci avevano parlato compagni dei movimenti in Italia. È lì che abbiamo conosciuto Nasim, afghano di origine ma cosmopolita di formazione: nato in India con studi in Pakistan e da anni in Grecia, iscritto alla facoltà di sociologia e prestato all’attivismo, “la vera scuola” come ci ha detto lui scherzando durante la chiacchierata che ci siamo fatti davanti ad un piatto di legumi e verdure cucinate e offerteci dagli occupanti del City. Dopo averci mostrato la struttura, Nasim ci ha spiegato la storia del progetto e come funziona l’occupazione.

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Reception, media center, roof garden, centro medico, cucina, sala pranzo, ludoteca, tea room e splendida vista sull’Acropoli. Chiuso nel 2009 a seguito della crisi, riapre nel 2016 non per turisti in visita ad Atene ma per accogliere 380 persone, delle quali 176 bambini, in fuga dalla guerra, che come prima ospitalità dell’Europa avevano ricevuto un posto all’aperto in Platia Victoria. È stato proprio nei caotici primi giorni del 2016 che l’Iniziativa di Solidarietà agli Immigrati Economici e Politici, costituita dalla rete Diktyo, da gruppi studenteschi e di iniziativa anarco-sindacalista, da collettivi di quartiere e semplici attivisti, ha deciso insieme a 80 famiglie di richiedenti asilo di iniziare a discutere, a proporre, a ipotizzare una diversa forma di accoglienza.

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È così che ha inizio la storia del City Plaza Hotel. Risolto il problema “di un tetto sulla testa”, quello più urgente, si sono fissate regole di convivenza condivise, si è proceduto con il fornire informazioni legali, ma non ci si è fermati qui. Si è iniziato a creare una rete sociale e di integrazione con gli altri collettivi e le altre realtà di occupazione, per non fermare queste esperienze all’interno delle mura di accoglienza. C’è stata la partecipazione alle manifestazioni del primo maggio e all’evento “Donne in lotta”, incontro tra donne rifugiate, donne lavoratrici non pagate e donne attiviste.
A oggi nel City Plaza Hotel vivono richiedenti e rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Palestina, dal Kurdistan; sono soprattutto famiglie, delle quali ben 10/15 monoparentali.

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Tutto è condiviso: scuola, cucina, pulizie, iniziative. Ci sono corsi di lingua, spazi per bambini, un centro medico, un magazzino con prodotti per l’igiene dove ognuno accede secondo le proprie necessità. E ci sono attivisti e volontari greci ed europei che condividono tutta l’organizzazione. Settimanalmente si tengono due riunioni: una di rifugiati alla quale partecipano rappresentanti degli attivisti e una degli attivisti alla quale partecipa una rappresentanza dei rifugiati. Tutto è frutto di autofinanziamento e solidarietà economica e politica anche internazionale.
Incontriamo visi rilassati, famiglie che chiacchierano e soprattutto bambini che giocano chiassosi. Ti aspetteresti visi provati da viaggi terrificanti e invece quel che colpisce è la speranza disegnata nei volti delle persone con cui parliamo. Ancora non sanno quale sarà il loro futuro, c’è chi ha marito o figli in Germania, chi non sa bene dove andare, ma tutti qui hanno trovato un momento di pace o chissà una certezza.

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Alcuni volontari greci vivono qui, ma chiunque può partecipare e dare una mano. Nasim ci indica anche alcune stanze vuote per possibili emergenze (sapremo poi che una sarà occupata nei giorni successivi da una donna incinta con due bambini, proveniente dal Pireo). Altre ospitano attivisti internazionali che contribuiscono a realizzare questo modello alternativo di accoglienza e di autorganizzazione. Il City Plaza Hotel vuole essere una risposta concreta ai campi per i rifugiati, alle tendopoli, ad un’agenda politica europea che ad oggi ha saputo promuovere un accordo aberrante come quello con la Turchia. È per questo che la partecipazione degli attivisti internazionali è gradita, perché il City Plaza Hotel, come le molte realtà sparse per Atene, non hanno bisogno solo di solidarietà economica, ma soprattutto di solidarietà politica.

Sempre nel quartiere di Exarchia, a pochi isolati si trova il Liceo n.5, dove la situazione ci appare già diversa. La struttura è una vera e propria scuola. All’interno di ogni aula sono montate tende da campeggio che ospitano diverse famiglie. Una giovane donna ci invita a visitare lo spazio che condivide con altre donne. Una di loro, proveniente dalla Siria, con i figli cerca di arrivare in Norvegia, dove li aspetta suo marito. Un’altra anche lei con figlie vuole arrivare in Germania. Tutti ci indicano poi una donna, scopriremo una specie di miracolata, perché unica tra più di trecento persone presenti nella scuola a essere riuscita ad avere un appuntamento per fare richiesta di asilo tramite skype. Tutti vogliono vedere se quel giorno riuscirà davvero a presentare la domanda. Nel cortile troviamo bambini che giocano e un gruppo di volontari che stanno cucinando. Appare subito evidente che qui c’è una condivisione forzata degli spazi, ci sono bagni in comune e quasi nessuna riservatezza. I volontari ci dicono che a settembre con l’apertura delle scuole si porrà il grande problema di trovare una struttura alternativa e tutti si augurano che finalmente si possa fornire un’accoglienza degna di questo nome.

Tutt’altra realtà ci appare al Pireo, raggiunto con l’autobus 40 da piazza Syntagma in circa un’ora per lo sciopero di metropolitana e tram contro la legge sulla riforma delle pensioni. Nonostante governi Syriza, la Grecia non è pacificata. Arriviamo al porto e all’apparenza sembra non ci sia nessuno, l’entrata è libera, i terminal segnano partenze dei traghetti nel pomeriggio. Terminal 7, 6, 5, 4… non c’è nessuno, appare solo un gruppo di poliziotti all’entrata del terminal 1. Dall’ingresso si percepisce che quelle tende che spuntano non sono di turisti in partenza per le isole, ma sono comunque di persone in transito. Il loro “viaggio”, anzi la loro fuga, è iniziata in Siria, in Iraq e in Afghanistan. Ci troviamo di fronte a una realtà che è difficile da credere in uno dei porti più importanti del Mediterraneo. Ci sono donne, bambini, ragazzi che si muovono con cassette di plastica in mano che trasportano cibo e acqua. Arriva un’automobile che distribuisce palloncini e se ne va. Troviamo alcuni volontari e attivisti, c’è un gazebo che funge da posto medico, una roulotte che fornisce assistenza a donne incinte e a neonati e si capisce che se ci sono è perché ci sono donne incinte e neonati in un posto come questo.
I volontari ci spiegano davanti a cosa ci stiamo trovando, 1.500 persone (fino a qualche settimana fa quasi 6.000) che trovano rifugio sotto tende da campeggio, in magazzini abbandonati. Sono donne, ragazzi e soprattutto bambini, alcuni con evidenti segni di trauma psicologico. Ce n’è uno in particolare che ci colpisce, ci si avvicina col suo quaderno a quadretti e fa le operazioni matematiche, ci sorride e ripete che “Syria is beautiful”. Le volontarie che lo assistono dicono che come lui tanti bambini sono qui traumatizzati. Gli attivisti cercano di fare quel che possono, corsi di lingua, giochi con i bambini, ma tutti sanno che a breve con la stagione estiva il Pireo sarà sgomberato e per chi resta ci sarà solo il campo profughi, quello stesso dal quale alcuni sono andati via per tornare qui, per cercare il modo di ripartire e continuare il loro viaggio, interrotto da frontiere tirate su improvvisamente che non gli permettono di raggiungere padri, fratelli, mariti, i propri familiari in nord Europa. Si avvicinano ragazzi, sembrano minorenni a vederli, ragazzi che ti chiedono come poter raggiungere la Germania. Che lo sgombero sia prossimo lo capiamo anche dal fatto che tutti ci dicono che qui ormai non viene più nessuno, ce lo dice una volontaria italiana, qui da tre settimane e che non ha incontrato nessuna associazione di tutela legale per i rifugiati con cui parlare. Se la visita al City Plaza è stata una giornata di chiacchiere tranquille e visi rilassati, di bambini chiassosi e sorridenti, se i visi delle persone esprimevano speranza, al Pireo i visi lasciano trasparire rassegnazione, un senso di sconfitta per tutti. Non scattiamo foto, non perché qualcuno ce lo vieti, ma perché di fronte a tanta rassegnazione ci sembra di rubare anche un po’ della loro dignità, proviamo un senso d’impotenza e tanta vergogna. Andiamo via ponendoci una domanda.. arriverà lo sgombero, forse è anche giusto, non si può tollerare che qualcuno viva in queste condizioni, certo, andranno via..ma dove?

Il nostro ultimo incontro è stato con i compagni dello spazio sociale Nosotros, attivi in diverse occupazioni di Atene, da Notara 26 al 5ºLyceo. Hanno da poco occupato un palazzo in via Kaningos a Exarchia. Il loro progetto è quello d’ospitare prevalentemente famiglie che, stanche di esporre le loro vite ai pericoli del viaggio verso il nord Europa, hanno deciso di fermarsi. Un’occupazione che parli però non solo di migranti, ma che includa la loro condizione tra quelle dei nuovi sfruttati: studenti, precari, sottopagati, disoccupati e vittime della crisi in genere, sul modello del Progetto del Mutuo Soccorso di Milano.
Il progetto nasce dalla circostanza che l’accoglienza, che solitamente si protraeva per due/tre giorni, è cominciata a essere di settimane prima e mesi poi. Insieme alle famiglie di rifugiati le reti solidali hanno iniziato a discutere sulla base del fatto che i migranti devono essere soggetti attivi e non passivi del proprio futuro.
Si tratta di realtà completamente autofinanziate e autorganizzate, nel centro della città, perché non è in zone isolate e prive di rapporto con le realtà urbane che si può pensare di accogliere. Le difficoltà non mancano, servirebbero fondi per ristrutturare, per rendere una soluzione abitativa temporanea più stabile; né si può pensare che accogliere in una scuola possa essere una soluzione, ma in un’Europa in cui qualcuno ha pensato che migliaia di persone potessero richiedere asilo con Skype, che sia normale blindare una frontiera e lasciare migliaia di persone in mezzo al nulla di Idomeni o al porto del Pireo, dove si parla di ricollocare 40.000 rifugiati dalla Grecia ma in realtà sono partiti poche centinaia di persone in un anno, gli attivisti delle reti sociali greche hanno pensato di lanciare una sfida politica, che non vuole limitarsi alla Grecia e hanno già organizzato a metà luglio a Salonicco il No border camp, che vedrà il confronto delle diverse realtà greche ed europee sul tema dell’immigrazione e dell’asilo.
Notara 26, il “Liceo”, il City Plaza Hotel, Diktyo, Nosotros, una visione alternativa e contrapposta a quella europea dell’agenda dell’asilo e ai piani di ristrutturazione economica.