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Balcani, sulle rotte dei rifugiati

Testo e foto sono di Sara Prestianni per Arci, Left

La gestione del passaggio dei profughi nella rotta balcanica diventa sempre più strutturata ed organizzata. Mezzi di trasporto coordinati dai vari Governi accompagnano i rifugiati da un punto all’altro della frontiera, facendoli transitare solo qualche ora in centri dove sono identificati. Al ritmo della costruzione dei muri e delle tensioni tra stati vicini, alcune frontiere si chiudono ed altre se ne aprono, le rotte cambiano, ma restano sempre pilotate e controllate dai vari Governi. I migranti, convogliati da un estremo all’altro del paese, diventano invisibili.

Foto di Sara Prestianni - Ciglana, Subotica (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Ciglana, Subotica (Serbia)

Fino ad oggi la rotta più battuta, dopo l’annuncio del completamento del ‘muro di Orban’ al confine tra Serbia e Ungheria, é quella che attraversa Macedonia, Serbia, Croazia, Ungheria, Austria e Germania. Arrivati in Germania, i rifugiati decidono se restare o continuare verso nord.
Ma lo scacchiere delle frontiere balcaniche è in continuo movimento. Da qualche giorno corre voce di una possibile chiusura della frontiera Croato-Ungherese, in seguito al completamento del secondo muro di Orban. Due gli scenari possibili che si aprono: dalla Croazia i rifugiati saranno portati in Slovenia e da lì in Austria, escludendo quindi l’Ungheria dalle rotte, oppure la Serbia si accorda con la Romania che apre il confine e diventa il nuovo punto di passaggio.

Foto di Sara Prestianni - Belgrado (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Belgrado (Serbia)

Diretta conseguenza della gestione in ‘convogli’ dei profughi è lo svuotamento del parco Bristol a Belgrado. Ora ne restano solo qualche centinaio rispetto alle migliaia che transitavano prima. Sono spesso quelli più vulnerabili. Nonostante siano diminuiti, l’assetto dell’accampamento resta uguale: tende ovunque, ma qui i profughi possono ricevere vari tipi di servizi: informazioni di ogni natura, vestiario, cibo, cure mediche, ricarica del telefono e intrattenimento per i bambini. Sono centinaia i volontari che affiancano le numerose organizzazioni internazionali e nazionali presenti. Molti i cittadini che offrono vestiti o cibo.

Foto di Sara Prestianni - Belgrado (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Belgrado (Serbia)
Foto di Sara Prestianni - Belgrado (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Belgrado (Serbia)

La visione di questi profughi – racconta una giovane volontaria – riapre una ferita non ancora rimarginata, quando erano gli stessi serbi a fuggire dalla guerra. Una forma empatica di identificazione.
La solidarietà arriva fino alla frontiera. Al valico di Babska, dove sono convogliati la maggior parte dei rifugiati che entra in Croazia, ci sono decine di organizzazioni in un campo coordinato dalla Croce Rossa, da MSF, da UNHCR e da varie associazioni locali.

Ci sono anche decine di volontari venuti da altre città della Serbia. Uno di loro – viene da un paesino a 130 km da Sid – ci racconta di aver raccolto vestiti e scarpe per i profughi attraverso la moschea. Poco prima della barriera con la frontiera croata, ci sono un gruppo di cittadini della Repubblica Cecoslovacca. Ci dicono di essere venuti per solidarietà con i rifugiati, non appartengono a nessuna associazione. Offrono té caldo ed un sorriso, ma anche informazioni che hanno scritto in varie lingue sui cartoni sistemati vicino alla frontiera. Viene spiegato che, superati i 150 metri che separano la Croazia dalla Serbia, i profughi devono percorrere 1 km a piedi, saranno poi portati negli ‘shelter’ croati, identificati ed accompagnati alla frontiera ungherese. Da li passeranno “illegalmente” a piedi la frontiera, e continueranno il loro cammino verso l’Austria.

Foto di Sara Prestianni - Confine Croazia
Foto di Sara Prestianni – Confine Croazia
Foto di Sara Prestianni - Confine Croazia
Foto di Sara Prestianni – Confine Croazia
Foto di Sara Prestianni - Belgrado (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Belgrado (Serbia)

Nei punti non ufficiali di passaggio, come Subotica da cui sono passati migliaia di uomini, donne e bambini, non resta quasi più nessuno. In mezzo ai rifiuti dell’accampamento di Subotica, restano solo qualche decina di persone. Pachistani. Sono passati dalla Bulgaria. Il resto entra nel sistema ufficiale. Anche gli ‘shelter’, centri di identificazione di chi entra e di chi esce dal paese, si strutturano sempre di più. Uno è in costruzione vicino a Subotica, nell’eventualità della riapertura della frontiera serbo-ungherese. Un cartello all’entrata del cantiere precisa che il ‘Subotica camp’ è finanziato dal Governo Tedesco. C’è pero una minaccia che si fa sempre più reale e che potrebbe stravolgere questi meccanismi di passaggio dei rifugiati attraverso la rotta Balcanica verso nord: la firma di un accordo tra Ue e Turchia per chiudere le frontiere. Gli incontri tra il governo di Erdogan e la Commissione Europea si infittiscono. Dalle prime dichiarazioni si tratterebbe di un controllo rinforzato della frontiera greco-turca in cambio di un finanziamento massivo dei campi profughi dove la Turchia accoglie oggi più di 2 milioni di rifugiati siriani ed una eventuale quota per accessi legali al territorio.

Foto di Sara Prestianni - Ciglana, Subotica (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Ciglana, Subotica (Serbia)
Foto di Sara Prestianni - Ciglana, Subotica (Serbia)
Foto di Sara Prestianni – Ciglana, Subotica (Serbia)