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Bari: reportage dal centro di accoglienza per richiedenti asilo

Sulla vecchia pista dell’aeroporto militare di Bari Palese è cresciuta l’erba. Le 250 roulotte che dal 1991 ogni estate erano destinate alla prima accoglienza dei migranti che sbarcavano in Puglia, Calabria e Sicilia, non ci sono più. Al loro posto sorge un nuovo centro. Sempre all’interno della base dell’aeronautica militare. Un piccolo villaggio di 124 moduli prefabbricati montati su un grande piazzale di cemento, intorno ad una grande cupola di tela, usata come mensa e sala comune. Ci sono campi da calcio e da pallavolo. C’è l’ufficio immigrazione della polizia. Ogni modulo ha l’aria condizionata, c’è un infermeria, i bagni sono puliti e gli spazi comuni ben curati. C’è una ludoteca, una scuola di italiano. E tuttavia si respira una certa tensione.

Il centro è stato inaugurato il 28 aprile 2008. Inizialmente i posti disponibili erano 744, che vuol dire 6 persone per ogni modulo, ovvero due letti in ognuna delle tre piccole stanze. Gli ospiti presenti alla data del sei agosto sono 928. Quasi 200 in più. In alcune stanze sono stati montati letti a castello. Ai 20 nuclei familiari presenti è comunque garantita la possibilità di condividere la stessa stanza. Ci sono 109 donne (due su tre sono somale) e 14 minori, tutti con meno di 14 anni. Due bambini sono nati qui a Bari. Una donna sta per terminare la gravidanza. La maggior parte degli ospiti arrivano da Lampedusa e sono stati portati a Bari con un ponte aereo. La prima nazionalità è quella somala con 380 presenze, tra cui 69 donne. Segue quella nigeriana (163, di cui 34 donne) e poi quella eritrea (134) e ghanese (82). Gli afgani sono solo 18. Dall’inizio dell’anno sono transitati dal Cara 1.247 ospiti, tra cui 171 donne e 24 minori. Dei 319 ospiti che hanno lasciato il centro, in molti casi si tratta di allontanamenti non autorizzati. Così hanno fatto 64 tunisini, 6 algerini, ma anche 31 eritrei. Dal centro si può uscire dalle 8:00 alle 22:00. Così chi sa di non avere le carte per chiedere asilo abbandona la struttura. E lo stesso fa chi invece l’asilo non lo vuole chiedere in Italia, ma in Inghilterra o in Nord Europa. I pochi che hanno avuto i documenti invece sono accompagnati alla stazione con un biglietto per le città del nord. Lo Sprar (Servizio di protezione nazionale per richiedenti asilo) ha infatti affidato al Cara di Bari soltanto 70 posti all’anno, su 978 richiedenti asilo attualmente ospitati. In pratica vengono usati solo per nuclei familiari e casi vulnerabili. Per adesso una trentina di persone sono state accolte. Per gli altri c’è la strada, il ritorno al via. Arrivati da soli in terra straniera, saranno di nuovo abbandonati a se stessi. Con o senza un documenti. Con la differenza che nel frattempo lo Stato avrà speso migliaia di euro per ognuno di loro. L’ente gestore del Cara di Bari, la cooperativa sociale Auxilium – che tra operatori sociali, mediatori, personale sanitario e amministrativo, impiega 160 persone nella struttura – riceve un’indennità di 49 euro al giorno per ogni ospite. Che fanno 45.000 euro al giorno; un milione trecento mila euro al mese, 16 milioni all’anno. Una montagna di denaro che, nonostante la buona volontà degli operatori e la qualità della struttura, rischia di essere speso inutilmente, visto il giro di vite sulla seconda accoglienza.

Tuttavia la maggior parte degli ospiti di Bari Palese sta ancora aspettando di essere intervistato dalla Commissione per il riconoscimento per lo status di rifugiato. I lavori vanno a rilento. Molti sono qui da oltre tre mesi. E intanto iniziano ad arrivare i primi dinieghi. Nigeriani, ghanesi, maliani, nigerini, difficilmente saranno riconosciuti come rifugiati politici. Vengono da paesi che non sono in guerra. E salvo rari casi, non hanno prove che dimostrino la loro persecuzione personale. E spesso non lo sono affatto. Dire che i loro paesi sono in mano a governi corrotti, che mafie, corruzione e impunità li hanno costretti a partire per garantire un futuro libero ai propri figli non li aiuterà a strappare un permesso di soggiorno alla Commissione. Le prime risposte negative hanno diffuso la paura. E adesso tutti temono un decreto di espulsione. Per questo hanno protestato, lunedì scorso, bloccando l’auto blu del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, in visita al Cara, e esponendo cartelli contro il razzismo. E hanno presentato le stesse richieste al sindaco di Bari, Michele Emiliano, che ha visitato il centro martedì scorso. Nessuno si lamenta delle condizioni del centro. “Very good!” dicono, molto buone. Sono i tempi di attesa e la paura di un diniego a far montare la protesta. I somali, che sono la comunità più numerosa, chiedono tempi più celeri per le interviste, che ad oggi procedono ad un ritmo di 10 al giorno. Ghanesi e nigeriani chiedono invece di riconoscere il loro bisogno di protezione, anche se i loro paesi non sono in guerra. Ma le loro richieste difficilmente saranno accettate. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati è chiara, e parla di persecuzioni personali. Usciranno dal centro senza documenti e andranno ad alimentare le fila del lavoro nero. Entrati nei Cara come richiedenti asilo, usciranno come clandestini. E intanto lo stesso governo che ne ordina l’espulsione ha già annunciato che chiederà l’ingresso di 170.000 lavoratori stranieri non comunitari entro la fine dell’anno.