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Benvenuti ad Agadez, capitale africana del contrabbando

Lucas Destrijcker, Politico.eu - 17 ottobre 2016

traduzione di Marianna De Stefano

AGADEZ, Niger – Un tempo le carovane portavano oro e sale in questa cittadina di mattoni d’argilla nel deserto. Oggi è diventata un importante luogo di smercio di armi, droga e soprattutto essere umani. Dopo la caduta del leader libico Muammar Gheddafi nel 2011, le rotte di contrabbando tra Niger e Libia, bloccate da tempo, furono subito riaperte e la cittadina deserta di circa 120.000 abitanti divenne di fatto la capitale del contrabbando della regione sub-sahariana.

Una volta a settimana, di lunedì, avviene l’esodo. Centinaia di furgoni e camioncini si dirigono verso orizzonte. Seguono il convoglio militare, viaggiando in colonna per questioni di sicurezza. Il rischio di incorrere in un guasto, di perdersi nella confusione o di incontrare dei banditi è alto.

La maggior parte dei viaggiatori ha viaggi drammatici alle spalle e di peggiori di fronte. Ma la traversata del Sahara è quello che fa più paura. “Il Mediterraneo? È il capolinea, un gioco da ragazzi”, dice un ivoriano di 21 anni che si sta preparando per lasciare Agadez.

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), quest’anno 170.000 migranti sono passati da questa città. Ogni settimana arrivano più di 6.000 persone, fermandosi per alcuni giorni prima di ripartire. A volte, se non possiedono i mezzi per continuare il viaggio, vi rimangono per settimane o mesi. Nove su dieci sono uomini; uno su 10 sono minori – per la maggior parte non accompagnati.
Un camioncino di migranti si affretta ad attraversare il Sahara, a nord di Agadez, Niger. Foto di Mackenzie Knowles-Coursin
Molti vengono rapiti da contrabbandieri o banditi e subiscono abusi fisici e sessuali. Secondo il Regional Mixed Migration Secretariat (RMMS), sono di più le persone che perdono la vita cercando di attraversare il deserto piuttosto che il Mediterraneo, uccisi dalle malattie, dalla fame e dalla disidratazione. È quasi impossibile fare una stima dei morti. “La maggioranza si dilegua senza che nessuno se ne accorga”, mi dice il rappresentante dell’OIM, Giuseppe Loprete, quando lo incontro nel suo ufficio a Niamey, la capitale del Niger.

Secondo una ricerca del RMMS sulle “vittime dimenticate” del Sahara, almeno 1.700 migranti e rifugiati sono morti in Sudan, Libia ed Egitto. Lungo la rotta del Niger nessuno ha tenuto il conto.
Le rotte dei trafficanti attraverso il Sahara. Fonte: RHIPTO (Norwegian centre for Global analysis)

Arrivo ad Agadez dopo un turbolento viaggio in autobus di 20 ore da Niamey. I miei compagni di viaggio provengono dalla Repubblica del Benin, Costa d’Avorio, Senegal ,Gambia, Mali e Nigeria. Conosciuti come les aventuriers, gli avventurieri, sono per lo più giovani uomini, migranti economici diretti in Europa.

Mentre mi registro in uno dei pochi hotel della cittadina, gli avventurieri setacciano le strade alla ricerca di un trafficante affidabile. I più fortunati trovano rifugio nei cosiddetti ghetti, edifici nascosti dove attendono l’inizio della prossima tappa del loro nuovo viaggio. Ce ne sono a dozzine in città, ma nessuno sa esattamente quanti siano.

Un tempo Agadez ospitava una fiorente industria turistica. Ma da quando i gruppi armati e terroristi hanno cominciato ad operare nei rischiosi territori settentrionali del Mali e del Niger, i turisti sono tutti spariti. I membri delle tribù nomadi che per molto tempo hanno fatto da guida turistica nel deserto del Ténéré faticano a trovare nuove opportunità lavorative, quasi del tutto inesistenti in quest’area desolata. Perciò, quando è cominciato il flusso di migranti, molti si sono dati al contrabbando.

Stavo girovagando per i vicoli color ocra di Agadez da alcuni giorni quando incontrai un trafficate libico di 27 anni – lo chiamerò Tareq – che sembrava tanto curioso di conoscermi quanto lo ero io di conoscere lui.

Mi diede il benvenuto nel suo ghetto in uno dei quartieri poveri fuori dal centro della città. Il ricco padrone nigerino era fuori città, quindi mi assicurò che “non ci sono problemi“.

Circa 20 persone erano stese a incastro in cortile, dormendo o sorseggiando tè di fianco al furgoncinoToyota Hilux bianco di Tareq – “il mezzo più affidabile per la traversata“, mi disse.
Migranti diretti in Libia accalcati nel vano posteriore del furgone che li porta a nord del Sahara, a 1.000 km da Agadez, Niger. Foto di Mackenzie Knowles-Coursin
Ogni settimana fino a 30 persone si accalcano nel vano posteriore del furgone, insieme a tre grandi taniche di carburante. Tareq permette ai passeggeri di portare con sè una bottiglia d’acqua e uno zaino con i propri effetti personali. Una volta posizionatisi, si aggrappano a delle stecche di legno inchiodate al telaio del veicolo, loro unico appiglio lungo la strada dissestata.

Un biglietto di sola andata per il confine costa circa 250€ a persona, senza contare le tangenti per poliziotti e posti di blocco lungo la tratta. Tareq afferma di guadagnare circa 1000€ per ogni viaggio di andata e ritorno settimanale. Il resto va per il carburante e per le molte persone con cui lavora: il proprietario del ghetto e le persone che gli portano i migranti.

La maggior parte dei migranti che incontro nel rifugio di Tareq sono contadini privi di istruzione provenienti dal Mali e dalla Costa d’Avorio. Non hanno la minima idea di come possa essere la vita in Europa, ma sono abbastanza fiduciosi nel fatto che presto guadagneranno denaro a sufficienza da poter mandare alle loro famiglie.
Migranti dormono in un edificio di Agadez, durante il caldo torrido di mezzogiorno. Foto di Mackenzie Knowles-Coursin
Un trentaduenne senegalese di nome Ibrahim fa eccezione: lui non viaggia solamente per questioni economiche. Lavorava come infermiere per la Croce Rossa in situazioni di crisi umanitarie in Liberia e nella Repubblica Centrafricana, ma ha deciso di lasciare dopo alcuni anni perché il lavoro era diventato troppo stressante. “Per me, farcela vuol dire poter viaggiare legalmente tra il Senegal e l’Europa“, dice. “Significherebbe che i miei figli, un domani, potranno godere della libertà di movimento che io non ho mai avuto“.

Dopo la terza tazza di tè nel rifugio di Tareq, ho chiesto al giovane libico come avesse fatto a diventare un trafficante in questa baraccopoli. La sua storia mi sorprende. Ha studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali in Ucraina, tornando poi in Libia con la speranza di aiutare a ricostruire la sua città dopo la Primavera araba. I suoi sogni si sono infranti quando è scoppiata la guerra civile. Si è trovato completamente isolato nella punta meridionale del Paese e sotto il controllo del suo clan.

Per colpa della crisi non mi è rimasto molto da fare, [a parte] portare la gente al di là del deserto” mi dice. “Quando avrò messo da parte abbastanza denaro, tornerò in Europa“.

Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha investito milioni di finanziamenti in Niger e nel 2015 il governo nigerino, sotto la pressione dei donatori europei, ha bandito il traffico di umani.

In fondo alla classifica nell’indice di sviluppo elaborato dalle Nazioni Unite, il Niger rischia di cadere nelle mani dei jihadisti o dei movimenti ribelli. Il territorio di Boko Haram si estende proprio al di là del confine meridionale con la Nigeria. Lo Stato Islamico si trova a nord, in Libia, e Al Qaeda opera nelle vicine Algeria e Mali.

Migliorare la sicurezza nazionale è, ovviamente, fondamentale, come ha detto un diplomatico europeo a Niamey. Migliorare i controlli alle frontiere e combattere il traffico di esseri umani in Niger ridurrebbe anche il numero di barconi che arrivano sulle coste della “Fortezza Europa” – un continente sempre più diviso dalla questione immigrazione. Dato che l’Unione Europea non riesce a trovare un accordo con la Libia, il Niger è il prossimo in lista.

Eppure ad Agadez sembra che poco sia cambiato da quando il governo ha varato nuove leggi per combattere i trafficanti. Le nuove restrizioni non sono percepite come un ostacolo, ma solo come un costo extra. “Paghiamo tutti le tangenti richieste“, racconta un trafficante. “Dal poliziotto in strada, al sindaco nel suo ufficio, tutti approfittano dell’industria della migrazione e preferiscono mantenerla le cose come stanno“.
Un migrante prega sotto i fari del camioncino che lo porterà in Libia dalla città di Agadez, Niger. Foto di Mackenzie Knowles-Coursin
Sono i miei ultimi giorni ad Agadez, le strade polverose sono piene di furgonciniToyota, alcuni già pieni di passeggeri, altri che girano nervosamente per le strade per racimolare le ultime cose prima del viaggio. Alcuni migranti girano per il mercato, acquistando turbanti e occhiali da sole, indispensabili contro le tempeste di sabbia e il sole infuocato.

Poi, proprio un attimo prima della grande partenza, la polizia fa irruzione in diversi ghetti, arrestando migranti e trafficanti. La maggior parte dei viaggi viene cancellata, mentre alcune auto partono di nascosto con il favore delle tenebre.

Il mattino seguente ricevo una telefonata da un indignato Tareq. Hanno confiscato la sua auto, ma lui è riuscito a scappare. “Accade sempre più spesso“, si lamenta. “Nessun problema, farò qualche telefonata e lo riavrò entro qualche giorno“.

Gli chiedo se per caso avesse considerato di guadagnarsi da vivere in un altro modo, ma lui si mette a ridere. “No, dobbiamo solo aumentare le spese per le autorità“.