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Bologna – No Cie, no Cara per un’accoglienza degna

Corteo meticcio attraversa il centro città, per un'Europa di diritti e senza confini

Mai più CIE, né a Bologna né altrove. Un messaggio chiaro e deciso, arrivato oggi dalle strade di Bologna attraversate da una manifestazione in cui oltre un migliaio di persone hanno preso parola contro la vergogna dei centri di detenzione amministrativa e le politiche sull’immigrazione ad essi collegate.

Partito da Piazza XX Settembre, il corteo ha visto partecipare migranti e rifugiati, attivisti di centri sociali, case e spazi occupati, coordinamenti, associazioni, collettivi, ma anche cittadine e cittadini animati da una indignazione profonda per le continue stragi in mare e dall’inadeguatezza delle ipocrite risposte istituzionali.

Con gli interventi dal camion, striscioni e cartelli è stata sottolineata infatti la continuità tra le politiche che hanno istituito i CIE nel 1998 e le continue morti nel mar Mediterraneo e in tutte le zone di confine più lontane dai nostri occhi, conseguenza diretta di un governo della mobilità delle persone che si esercita attraverso il controllo e la selezione non solo all’arrivo in Europa, ma in tutto il percorso nella società. Frontiere materiali e immateriali accompagnano l’intera esistenza di chi arriva in Italia ed Europa, perché dopo aver sfidato Frontex e i rischi di viaggi sempre più pericolosi, si ripropongono mille barriere ed ostacoli che puntano a differenziare e selezionare l’accesso ai diritti e alla ricchezza.

Moltissimi i migranti che intervenendo al microfono hanno infatti spiegato come i CIE rappresentino il ricatto della legge Bossi-Fini e condizionino l’intero percorso migratorio, imponendo ai migranti condizioni di lavoro e di retribuzione para-schiavistiche.

Una funziona simbolica e culturale di criminalizzazione dei migranti che va ben oltre la funzione di macchina di identificazione ed espulsione di queste carceri etniche, ma che si estende sul posto di lavoro e nella vita quotidiana ammonendo chiunque si ribelli e si sottragga alla condizione di sfruttamento che gli è imposta. Ma Bologna è una città con una storia di radicale opposizione al CIEe alle leggi ad esso correlate: dentro e fuori il CIE si sono susseguite ed organizzate battaglie, anche prima della sua apertura, grazie alle quali la critica ai dispositivi di confinamento introdotti dalle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini, sono diventate terreno di convergenza di realtà diverse, che sembrano andare oggi verso la direzione di una possibile chiusura definitiva della struttura. “Dovranno passare sul corpo dell’amministrazione comunale” ha dichiarato l’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Bologna, ribadendo il rifiuto Comune all’ipotesi di riapertura avanzata dal Prefetto, e anche l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna ha votato a maggioranza una risoluzione contro la riapertura di Via Mattei.

Un risultato importante, merito dei percorsi di lotta che in questi quindici anni non hanno ignorato le continue storie di violazioni e violenze provenienti da Via Mattei e di tutti quei migranti che nonostante la minaccia della reclusione hanno condotto battaglie per la regolarizzazione permanente, per il diritto di asilo e contro lo sfruttamento sul lavoro, come ad esempio i facchini del settore della logistica, anche loro presenti in corteo oggi insieme ai sindacati autorganizzati con cui conducono una lotta quotidiana contro la precarietà e lo sfruttamento da parte delle lobby delle cooperative.

Fortissima la condanna espressa verso sistema di accoglienza emergenziale, risposta ancora una volta improvvisata e inadeguata alla fuga da conflitti e guerre per sottrarsi ad un presente di distruzione e miseria. “Occorrono canali di arrivo regolari, una nuova politica dell’accoglienza, e un sistema di asilo europeo che garantisca la libertà di circolazione e di scelta”, è stato gridato davanti alla sede della Prefettura, dove sono state affisse le immagini dei migranti annegati insieme allo striscione “Le vostre frontiere uccidono. Libertà di circolazione e accoglienza degna”. Una rivendicazione, quella della libertà di scelta e della libertà di restare contenute nella Carta di Lampedusa, che in particolare i i rifugiati delle occupazioni di case a Rimini e Reggio Emilia hanno portato anche attraverso le testimonianze individuali di “reduci” dell’Emergenza Nord Africa, “speculazione umanitaria” che ha condotto all’invisibilità migliaia di persone fuggite dalla guerra in Libia. E in vista delle elezioni, molti interventi hanno rivendicato il carattere europeo di questa battaglia, che si inserisce nella campagna di mobilitazione #may of solidarity indetta dal coordinamento Blockupy Europe. Il governo delle migrazioni risponde infatti alle esigenze delle politiche di austerity, funzionali a precarizzare sempre più fasce della popolazione, restringendo l’accesso ai diritti, alle libertà, alla ricchezza. Un destino di povertà ed invisibilità che non riguarda solo i migranti, ma un numero crescente di persone, perché la gestione economica, sociale e politica della crisi punta a condannare alla povertà e al silenzio sempre più cittadini, siano essi comunitari o migranti.

Arrivato in Piazza Maggiore, il corteo si è concluso con la performance interattiva della compagnia di italiani e rifugiati Cantieri Meticci, che ha posto ancora una volta l’urgenza di ripensare da capo un sistema dell’accoglienza improntato alla transitorietà e alla temporaneità. “A Bologna vogliamo vivere e restare”, dicono i titolari di protezione internazionale della compagnia teatrale, e la loro storia è già una risposta al progetto di trasformare il CIE di Via Mattei in un ennesimo campo profughi.