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Border force, il modello franco-britannico che uccide i migranti a Calais

di Marina Nebbiolo

Parigi La Gran Bretagna e l’Irlanda non fanno parte dello spazio Schengen sulla libera circolazione dei cittadini europei, controllano le frontiere senza integrare la giurisdizione europea sui visti e l’asilo ma stipulano accordi diretti con la Francia per rifiutare i migranti.

I migranti che aspettano tra mille drammatiche e pericolose vicissitudini di passare in Inghilterra sanno che messo piede sulla ‘terra promessa‘, rischiando la vita, corrono un altro pericolo ancora più grande, quello di essere ‘rispediti al mittente‘ come pacchi non desiderati. Ma questo non impedisce loro di tentare la sorte, di sperare che il destino sia bendato almeno nel loro caso e che l’arsenale tecnologico e militare messo in campo, da un parte e dall’altra della frontiera, dimostri la sua inefficacia e, alla fine, inutilità.

E succede. Ma il prezzo invece per decine di migranti è la vita. Mentre il costo del dispositivo bilaterale di controllo delle frontiere nei porti della Manica e del mare del Nord tra Francia, Regno Unito e Irlanda del Nord ammonta a decine di milioni dal 2003, dal “Trattato di Touquet” che impone allo Stato che ‘accoglie‘ un migrante di riprenderselo se l’altro Stato lo rifiuta. In pratica, Il Regno Unito non intende farsi carico della maggior parte degli immigrati provenienti dalla Francia e li respinge a Calais. E la Francia li ‘recupera‘ perché non può rifiutare l”accoglienza‘ di questi migranti.

Questa gestione priva non solo di umanità e di rispetto dei diritti della persone ma di immaginazione economica e politica, passa attraverso gli uffici immigrazione di entrambi i paesi: un migrante ha il diritto di passare dalla Francia al Regno Unito, e vice-versa, dopo il “controllo nazionale incrociato” che esisteva già prima di Schegen.

Questa formula copre in realtà uffici immigrazione e dogane extraterritoriali.
La Gran Bretagna opera su territorio francese nelle stazioni ferroviarie (Gare du Nord a Parigi, a Calais, a Lille) e nei porti di Calais, Boulogne e Dunkerque, e la Francia ha i suoi uffici nelle stazioni ferroviarie di Londra, Ashford e a Dover. Tutto unificato nonostante le querelles populiste e poliziesche degli ultimi mesi per far salire i prezzi (in borsa) sul mercato del traffico di essere umani europeo in forte crescita.

Il rinforzo, sempre a suon di milioni che appartengono alla comunità europea, del nuovo prodotto, il “Centro operativo di controllo comune” per “lottare contro i passeurs“, annunciato ufficialmente lal ministro dell’interno francese, Bernard Cazeneuve, e dalla sua omologa, Theresa May, il 20 agosto a Calais non è altro che un accordo di cooperazione per incrementare la presenza della polizia alle frontiere, da entrambe le parti senza che la Francia giochi il ruolo del ‘contractor‘, in appalto economico e politico della Gran Bretagna per 35 milioni di Euro in due anni. Contenti tutti, soprattutto il Ministero dell’Interno francese che fino al 2014 non aveva visto l’ombra di una sterlina.

Decine di milioni per la sicurezza, oboli per (le associazioni che garantiscono) l’accoglienza’: 1.300 poliziotti e gendarmi stanziali, oltre le unità speciali antisommossa regolarmente impiegate per dare la caccia all’uomo, o donna, o bambino, e intervenire in caso di saturazione umana delle “jungles“, barriere, videosorveglianza, proiettori che illuminano a distanza, tecnologia con sistemi di controllo sempre più sofisticati e, putroppo, innovativi per essere destinati all’insieme del territorio,

L’intervento umanitario si declina in “facilitazione del ritorno volontario“, cioé respingimento al paese d’origine o di provenienza extra-europeo. E un fondo speciale destinato all'”allontanamento forzato” (1.000 a Calais dall’inizio dell’anno). La buona volontà, la carità, è inversamente proporzionale all’investimento nell’uso della forza: 1.000 posti per i richiedenti asilo , deportati “ad una distanza significativa da Calais“.

Vuol dire che i migranti che restano in attesa, tra i tre e i sei mesi, per sapere se hanno il diritto o no di essere ‘accolti’ e ospitati, vivono rinchiusi, controllati, malnutriti, vilipesi, minacciati, aggrediti, umiliati e isolati. Chi può scappa e non aspetta, non non vuole immaginare una prospettiva in un affollatissimo e insalubre “alloggio protetto“, in condizioni “inumane e indegne” come ricorda persino l’alto commissariato ONU per i rifugiati e i diritti umani, che è arrivato al punto di proporre le caserme abbandonate piuttosto che i centri d’accoglienza nazionali.

Ma non basta, Médecins du Monde, con le numerose cliniche mobili per le urgenze nei ‘campi‘, accampamenti e bidonvilles, non è in grado di sostiuirsi ad un piano per l’accoglienza di cui il governo francese dovrebbe farsi carico ed esserne responsabile.

Nessuna delle strutture associative che storicamente e/o attualmente intervengono a Calais ha i mezzi, pur avendo le competenze, per occuparsi dell’arrivo e del passaggio dei migranti a Calais. Il sistema di ripartizione volontario che dipende dalla Francia e dall’Inghilterra separatamente ha dimostrato i suoi tragici limiti con decine di morti. La Commissione europea promette di intervenire ma il commissario all’immigrazione, dichiaratosi disponibile, non è manco stato invitato la scorsa settimana all’incontro franco-britannico a Calais.

Se c’è un problema, c’è anche una soluzione, ma qui pare che il problema non esista, che ci sia solo un mercato di corpi da veicolare, sopprimere o eliminare, rifiutando di vedere che al posto delle macchine da guerra contro la miseria c’è urgenza di “aprire una via europea all’immigrazione” come invitano tutti i collettivi di aiuto e solidarietà ai migranti in Francia e alle frontiere.

Foto di copertina: Eros Sana