In quella occasione il Tribunale di Agrigento aveva
pronunciato una sentenza di assoluzione con formula piena “perché il
fatto non costituisce reato” nei confronti di Elias Bierdel , del
comandante Schmidt e del suo secondo, imputati di agevolazione dell’
ingresso di clandestini dopo avere soccorso, nel giugno 2004, 37
naufraghi alla deriva cento miglia a sud di Lampedusa. E’ stato anche
disposto il dissequestro del deposito cauzionale che era stato versato
dopo il sequestro della nave, restituita al comitato Cap Anamur e poi
venduta.
Chi effettua salvataggio a mare non commette nessun reato ed
il comandante è l’unica persona che può individuare il “luogo sicuro”,
anche da un punto di vista giuridico, per lo sbarco. Il messaggio
chiaro della sentenza di Agrigento è che gli stati devono rispettare il
diritto internazionale del mare, che vieta anche i respingimenti
collettivi, ed il divieto di refoulement affermato dalla Convenzione di
Ginevra.
Un arresto giurisprudenziale di grande importanza in un
momento nel quale a livello europeo si vorrebbero riscrivere le regole
del diritto internazionale del mare per giustificare le azioni di
respingimento collettivo che si vorrebbero affidare all’agenzia per l
controllo delle frontiere esterne FRONTEX.
Le motivazioni della
sentenza di assoluzione mettono bene in evidenza le responsabilità di
chi volle montare il caso a livello politico internazionale per
lanciare un messaggio dissuasivo verso gli interventi di salvataggio,
un messaggio che negli anni successivi ha comportato migliaia di morti.
Le stesse motivazioni enunciano principi di diritti, come l’obbligo di
condurre i naufraghi in un “place of safety”, e non nel porto più
vicino, che sono stati costantemente violati dalle autorità italiane
ancora lo scorso anno con la prassi dei respingimenti congiunti verso
la Libia. Una serie di vicende di soccorso e di respingimento lampo,
spesso un respingimento collettivo, dalle conseguenze tragiche per
migliaia di migranti, una politica di sbarramento che se ha permesso al
ministro Maroni di fregiarsi di un “successo storico nella lotta contro
l’immigrazione clandestina”, deve essere ancora oggetto di una
decisione da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Una
“cattiveria” quella praticata dal governo e dal ministro dell’interno
che oggi rimane sul banco degli imputati, una lesione senza precedenti
del diritto alla vita e della dignità umana, tutelati da tutte le
convenzioni internazionali, oltre che dalla Costituzione italiana.
E se
qualcuno oggi a Lampedusa plaude al blocco degli sbarchi, presto dovrà
tornare a fare i conti con la dura realtà dell’immigrazione, non appena
Gheddafi vorrà rialzare il prezzo del ricatto nei confronti
dell’Italia.
Dopo anni di indagini, e dopo la audizione di numerosi
testimoni, tutte le accuse formulate dalla Procura di Agrigento nei
confronti dei responsabili della cap Anamur sono risultate destituite
di ogni fondamento. E’ caduta la iniziale ipotesi accusatoria della
forzatura del blocco navale che era stato imposto alla Cap Anamur,
tenuta per due settimane al largo delle coste siciliane per decisione
del governo italiano, ed è emersa la situazione di stato di urgenza e
necessità, determinata a bordo della nave da una così lunga permanenza
dei naufraghi, ai quali venivano impediti lo sbarco e la possibilità di
fare valere la loro richiesta di asilo o di protezione umanitaria.
E’
apparsa inoltre evidente la pretestuosità della ricostruzione dei fatti
che – per contestare le aggravanti derivanti dalla ipotesi associativa-
è giunta a coinvolgere anche il “secondo di bordo”, soggetto del tutto
privo di autonoma capacità decisionale sulla condotta della nave,
rimessa esclusivamente ai poteri del comandante. In questa prospettiva
appare ancora più ingiustificata la carcerazione preventiva imposta
agli imputati nei primi giorni dopo lo sbarco. Ma tanto si doveva
chiedere per soddisfare le richieste del ministero dell’interno
dell’epoca, che pretendeva una condanna esemplare di chi aveva avuto il
coraggio di disobbedire agli ordini giunti da Roma, ed impartiti dalle
autorità militari senza alcuna considerazione per la vita e la dignità
delle persone che erano state soccorse in pericolo di vita.
Il periodo
di tempo trascorso tra la azione di salvataggio e la richiesta di
attracco della Cap Anamur a Porto Empedocle, non era certo imputabile
ad una scelta nell’interesse personale dei responsabili della cap
Anamur, o alla ricerca di un profitto ( il cd. dolo di profitto). In
quello stesso periodo vi erano stati contatti tra i governi italiano,
tedesco, maltese e la nave, i cui responsabili cercavano di fare
sbarcare i naufraghi in un “place of safety” nel pieno rispetto delle
Convenzioni internazionali a salvaguardia della vita umana a mare e del
diritto di asilo.
I ritardi ed il clamore derivante da questa vicenda
sulla stampa di tutto il mondo derivava esclusivamente dalle scelte di
sbarramento dei governi coinvolti, una responsabilità che porta i nomi
dell’allora ministro Pisanu, e dei suoi omologhi tedesco Schily e
inglese Blunkett.
. Scelte sulle quali si è costruita in questi anni la
Fortezza Europa, senza arrestare significativamente l’immigrazione
clandestina, ma producendo un numero incalcolabile di morti e di
dispersi. Quanto questo abbia giovato alla sicurezza dei cittadini
europei, quanto queste politiche abbiano ridotto l’immigrazione
clandestina o evitato la minaccia terroristica, lo scriveranno presto i
libri di storia, anche se le opinioni pubbliche dei paesi interessati
sembrano ancora sotto il ricatto degli imprenditori della paura.
Una
importante affermazione della giurisdizione, la sentenza del Tribunale
di Agrigento, contro lo strapotere delle forze di polizia, ai limiti
dell’arbitrio ed oltre, a terra come in mare, e le manovre tendenziose
del ministero dell’interno. Le motivazioni adesso rese note forniscono
finalmente il chiarimento definitivo di circostanze che nei primi
rapporti di polizia, talora contraddittori, anche alla luce delle
successive deposizioni rese in aula dai massimi vertici del ministero
dell’interno, tendevano ad addossare ai responsabili della Cap Anamur
sia i ritardi nelle comunicazioni che lo stato di emergenza che si
viveva a bordo della nave dopo che i ministri dell’interno di Germania
e Italia non erano riusciti a trovare una intesa sulla richiesta di
ingresso e di asilo presentata dai naufraghi.
La vicenda processuale,
con il concorso di tutte le parti, ha permesso di accertare come i
dinieghi frapposti per settimane all’ingresso della Cap Anamur nelle
acque territoriali fossero destituiti di qualsiasi fondamento
giuridico, derivando da “scelte politiche” dell’allora ministro dell’
interno Pisanu, concordate in un vertice europeo con la Germania e la
Gran Bretagna a Sheffield, “scelte politiche” che sul piano interno si
sono poi tradotte nel ritiro “in autotutela” dei permessi di protezione
umanitaria concessi a 21 dei rifugiati dopo lo sbarco in Sicilia, ed
ancora nella espulsione sommaria di tutti i naufraghi, meno due,
malgrado le decisioni di sospensiva provenienti da giudici diversi ed
un ricorso pendente alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
La
sentenza di Agrigento costituisce una importante affermazione dello
stato di diritto di fronte al tentativo delle autorità amministrative
italiane di configurare “a posteriori” una fattispecie di
responsabilità penale, in violazione del principio di legalità e della
responsabilità personale sui quali si basa nel nostro sistema il
diritto penale. Un tentativo che si è dispiegato ancora nel corso del
2009 con la prassi dei respingimenti collettivi, che violano il diritto
interno e le Convenzioni internazionali, e con la introduzione del
reato di immigrazione clandestina, una fattispecie che nella sua
concreta attuazione viola il principio di parità di trattamento ed è
rimessa sostanzialmente alla discrezionalità delle autorità di polizia.
E pensare che oggi è proprio Berlusconi che lamenta i rischi per lo
stato di diritto in caso di una sua disfatta elettorale.
Per questo
governo, lo stesso di oggi come allora, lo “stato di diritto”
corrisponde solo ai propri interessi di bottega ed al controllo
dell’opinione pubblica, sotto la minaccia costante dell’”emergenza
immigrazione”e dell’allarme sicurezza.
Le motivazioni della sentenza
sul caso Cap Anamur contraddicono la successiva sentenza del Tribunale
di Agrigento nel processo a carico dei sette pescatori tunisini che nel
2007 salvarono altri naufraghi alla deriva nel Canale di Sicilia. Una
sentenza che, se ha affermato l’assoluzione degli equipaggi, ha
condannato i due comandanti dei pescherecci che operarono l’ntervento
di salvataggio, una sentenza resa sulla base di motivazioni che sono
oggi ribaltate dalle motivazioni fornite dai giudici dello stesso
tribunale con riferimento agli imputati responsabili della Cap Anamur.
Lo stato di necessità in caso di salvataggio in mare aperto non può
dipendere dalla nazionalità dei soccorritori, né dalle determinazioni
discrezionali e successive delle autorità di polizia. La Corte di
Appello di Palermo, presso la quale è pendente il ricorso contro la
sentenza del tribunale di Agrigento che condanna i due comandanti
tunisini autori di un intervento di salvataggio, non potrà non tenere
conto delle motivazioni della sentenza sul caso Cap Anamur.
Una
sentenza quella che dovrà emettere la Corte di Appello di Palermo che
sarà altrettanto importante di quella pronunciata nei confronti dei
responsabili della cap Anamur, una sentenza che se non farà giustizia
sull’intervento di salvataggio posto in essere dai pescherecci tunisini
nel 2007, avrà sicuramente ripercussioni negative sul comportamento
dei pescherecci operanti nel canale di Sicilia.
Leggendo le motivazioni
fornite dai giudici di Agrigento nella loro sentenza di assoluzione il
pensiero va ancora una volta a quel migrante salvato dalla Cap Anamur e
poi espulso dal governo italiano, perito nell’estate del 2006, insieme
ad altri migranti naufragati nel Canale di Sicilia. Una vita che, se
non ci fosse stato il divieto di ingresso violento ed immotivato
frapposto alla Cap Anamur dal governo italiano nel 2004, e poi una
espulsione sommaria, forse non sarebbe stata spezzata in questo modo.
La politica dei respingimenti collettivi, ed anche nella vicenda della
Cap Anamur si verificarono fasi di respingimento collettivo, continua a
produrre vittime ed è urgente che presto la Corte Europea dei diritti
dell’Uomo e la Commissione Europea si pronuncino sulle denunce che sono
state presentate contro l’Italia lo scorso anno.
Le associazioni ed i
movimenti, che sono stati accanto ai componenti della Cap Anamur,
seguiranno tutte le fasi dei prossimi processi nei confronti di autori
di azioni di salvataggio imputati per il reato di agevolazione dell’
ingresso di clandestini, a partire dal processo di appello contro i
pescatori tunisini che nel 2007 salvarono altre vite umane nelle acque
del canale di Sicilia, processi dai quali non potranno che emergere le
gravissime responsabilità, anche a livello politico ed istituzionale,
nella gestione del controllo delle frontiere e delle espulsioni nel
Canale di Sicilia da parte del governo italiane e delle unità navali
impegnate nelle operazioni FRONTEX.
Sarebbe tempo che l’Unione Europea
rifletta sulla utilità e sui costi umani delle operazioni di
pattugliamento e di respingimento adesso affidate alle unità di
Frontex. Sarebbe anche tempo che i responsabili di comportamenti
abusivi, in violazione del diritto internazionale del mare e degli
obblighi di salvataggio, fossero chiamati sul banco degli imputati a
rispondere per gli ordini di respingimento collettivo che hanno
impartito o che hanno eseguito nella consapevolezza delle gravissime
violazioni dei diritti fondamentali della persona che ne sarebbero
scaturite.
– Scarca la Sentenza del Tribunale di Agrigento (sez penale) del 15 febbraio 2010