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Catania: nati sotto un accento sbagliato

Li abbiamo visti i “bambini nati sotto un accento sbagliato”

Li abbiamo visti i “bambini nati sotto un accento sbagliato” che cantava Pino Daniele. Non li abbiamo visti morire ma abbiamo visto i mille tentativi messi in atto per uccidere la loro infanzia.

di Stefano Galieni e Agata Ronsivalle
Campagna LasciateCIEntrare

Stazione ferroviaria di Catania, il sole è abbagliante e il mare rende ancora più brillante il giardino. Saranno una decina. Uno di loro, il più piccolo – non avrà 12 anni – ha freddo ed indossa un giaccone trovato chissà dove. Eppure il caldo sembra sciogliere l’asfalto e seccare il poco verde. Lo sguardo degli altri è forte. In corpi e lineamenti di ragazzi si scorge da un’occhiata, da una ruga, da un silenzio, percorsi di cui vorresti non sapere nulla, di passati inaccettabili per qualsiasi essere umano, figuriamoci per un minore. Ma è un attimo. Basta altrettanto poco per suscitare la risata, la battuta, il gesto complice. Basta lo sguardo alto e fiero con cui escono dagli internet point dopo aver parlato con genitori e parenti. Basta la piccola gioia di poter acquistare una golosità da nulla al supermercato, il biglietto del pullman in mano con su scritto Roma. Ti parlano, più con i gesti e con gli occhi che con le parole, di diritto alla libertà, di voler scegliere il proprio destino e te ne parlano quando intorno a loro volteggiano come corvi chi ne vorrebbe fare merce di scambio o fonte di guadagno e di sfruttamento. E devi acquistare la loro fiducia e il loro rispetto, devono potersi passare la voce, attendere che di te si dica che sei “uno buono” “uno che non ti ruba”, “che non ti porta alla polizia ma non ti lascia a dormire per strada”. Significa starci, saper sorridere e imprecare, sapersi schierare e saper anche a volte alzare la voce, ma soprattutto saper rispettare storie di cui si conoscono soltanto le superfici marginali. Durante i mesi passati sono stati tanti coloro che sono passati in questa stazione, vissuta come oasi temporanea prima di ripiombare nuovamente nel deserto. Prima erano soprattutto siriani. Arrivavano spesso con i mezzi e le risorse per ripartire immediatamente e l’esercito di coloro che si avvicinavano a loro sapeva che comunque ne avrebbe tratto facile profitto. Oggi arrivano soprattutto dal Corno D’Africa, spesso sono poveri e comunque considerano quel poco che son riusciti a salvare dalla prigionia o dall’attesa in Libia, come l’ultima risorsa da utilizzare solo in caso di necessità estrema. E dall’altra parte del mare le famiglie chiedono non solo notizie ma anche aiuti. Vogliono che i loro figli garantiscano un minimo di rimesse. Non possono aspettare molto. Debiti contratti o miseria diffusa non permettono lunghe attese.

E le file dei ragazzi si formano e si frantumano: davanti alle biglietterie dei bus 36 euro per una notte di viaggio e forse un appoggio a Roma, davanti al supermarket, dove la nutella e le patatine fanno ricordare al mondo intero che anche di queste piccole gioie da adolescenti, si sorride. Si formano malgrado il lento passare delle volanti della polizia che ogni tanto si fermano e da cui li si guarda con indifferenza, si frantumano in base alle mille sollecitazioni offerte o imposte dal brulicare di vita della stazione, si smaterializzano a volte di fronte ad alcune organizzazioni umanitarie che sembrano non vedere e tornano concrete e cariche di bisogni quando si affacciano i volti di persone che cercano di rimboccarsi le maniche.

Negli ultimi sbarchi la percentuale di minori stranieri non accompagnati è sempre più alta. Nei centri di accoglienza, già al collasso, nessuno ha l’interesse o la volontà di vigilare affinché vengano impedite le fughe dei ragazzini. Alla stazione di Catania arrivano da tutta la Sicilia orientale, puntualmente disinformati dei loro diritti. Molti sono casi vulnerabili. Spesso ci si arrende subito alla loro volontà di non volere rientrare nel sistema di accoglienza ufficiale: “Tanto loro se ne vogliono andare” è una frase che si sente dire spesso da chi prova a parlare con i ragazzini. Questa frase pervasa da un senso di fallimento, diventa anche la giustificazione per non fare più niente per loro, e quindi li si lascia nello stesso giardinetto dove sono stati incontrati. I più sfortunati sono i bambini che non riescono a partire subito, costretti a dormire per strada per giorni. Cercano qualsiasi espediente per ricevere i soldi o per fare una telefonata. Ad aiutarli ci sono di solito i “malacarne” della stazione, altre vittime della società a cui contestano l’indifferenza e tutti i mali del mondo ma poi, improbabili benefattori, rifilano ai ragazzini già senza soldi biglietti a 45 euro.

Ai minori più piccoli non vengono rilevate le impronte. Questo li rende ancora più vulnerabili, perché se vengono inghiottiti dal traffico di organi o dalla prostituzioni o da qualsiasi attività criminale, non vengono cercati da nessuno e sono destinati a scomparire nel nulla. Uno dei tanti giorni passati dalla stazione di Catania, abbiamo rincontrato a distanza di pochi giorni due piccoli bambini eritrei di poco più di dieci anni e siamo rimasti sconvolti quando uno di loro ci ha esibito una banconota di 20 euro, frutto della sua prostituzione, come ci hanno confermato gli altri ragazzi che stavano nella stazione.

Difficile capire quante persone sono passate e quante ne passano ogni giorno. Difficile, se non impossibile, scoprirne il futuro. Si perderanno in qualche metropoli del nord? varcheranno le frontiere per raggiungere amici o parenti che vivono già in condizioni migliori? torneranno sconfitti alla ricerca di qualche volto noto?

La stazione di Catania è uno degli emblemi della sconfitta dei sistemi di accoglienza italiani, soprattutto per le persone più vulnerabili. Ci vorrebbe poco per ridurre il problema: un centro in stazione con delle figure specializzate sui minori e con la possibilità di offrire pasti, docce, vestiti puliti e ospitalità per qualche giorno in attesa che il bambino prenda fiducia. É necessario creare percorsi individuali di rimessa in cammino. Bisogna sviluppare il concetto dell’accolto, come soggetto carico di una propria capacità decisionale e non di oggetto da spostare indistintamente da un luogo all’altro, assicurandosi solo che sia lavato e gonfiato di maccheroni scotti, perché soggetto portatori di una propria dignità che è assoluta.

Accoglirete” un’associazione che tenta di intervenire quando può rispetto ad un disastro annunciato, ha fatto tutti i passi necessari per coinvolgere le istituzioni: hanno bussato alla procura, alla prefettura, all’Acnur, ai Servizi Sociali. Ci sono state risposte il giorno dopo ma poi è ricalato il silenzio, non ci si è presi la briga di dare ad un intervento il necessario carattere continuativo e la vita dura della stazione ha ripreso i suoi ritmi fondati sull’invisibilità.

L’esperienza vera e concreta ci permette di suggerire a chi ne ha competenza istituzionale che l’accoglienza dei minori deve essere monitorata. I comuni non sono attrezzati a sufficienza per affrontare questa situazione. Bisogna garantire la risposta immediata delle istituzioni al bisogno, con mediatori culturali comunali e assistenti sociali, con preparazione adeguata, in grado di verificare le situazioni da cui fuggono.

Ci vorrebbero forse meno risorse e più intelligenza, più capacità di pensare oltre. Ma per questi ragazzi è in certi contesti, nel misero egoismo europeo, inaccettabile pensare oltre.

Nota: Come Campagna LasciateCIEntrare e con le nostre reti territoriali, accanto ai luoghi istituzionalizzati di trattenimento e di accoglienza abbiamo incontrato anche spazi totalmente informali come la Stazione di Catania. La situazione che abbiamo provato a raccontare e su cui da mesi si prova ad intervenire, spesso in maniera isolata, è solo un flash rispetto a destini vulnerabili e violati messi a rischio ogni giorno e ogni notte.

Campagna LasciateCIEntrare

La campagna LasciateCIEntrare è nata nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e nei C.A.R.A. (Centri di accoglienza per richiedenti asilo): appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte contro la detenzione amministrativa dei migranti continua »