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Centro Oasi di Carpineto di Ascoli: un CAS all’olio di ricino

Un'inchiesta mette in luce le gravissime carenze dell'accoglienza e gli abusi che si compiono nel Cas. Proprietario dell'immobile è l'Istituto Seminario Vescovile, l'ente gestore del centro è una cooperativa vicina agli ambienti della destra cittadina

La prima cosa che viene in mente, quando si cerca di visitare un Cas, è che se fosse solo quel che afferma di essere – cioè un centro di accoglienza straordinaria per aiutare i migranti ad ottenere lo status di rifugiati ed inserirli in un percorso di inserimento sociale – le porte sarebbero spalancate e non ci sarebbe bisogno di nessuna segretezza.
Non è così, invece.

Per metterci anche solo il naso dentro c’è bisogno di mesi di preavviso, autorizzazioni della prefettura e dei responsabili delle cooperative che gestiscono la struttura. E tante volte non basta neppure questo. Puoi essere un operatore sociale specializzato, un giornalista professionista, un deputato o anche un senatore che non ci sono santi. Inutile invocare diritti sanciti dalla Costituzione, come quello di cronaca per il giornalista o quello di controllo per l’onorevole. Più facile, paradossalmente, entrare in un carcere. E non è un caso. Un detenuto infatti, in molti centri d’accoglienza straordinaria, ha più diritti di un richiedente asilo.

I Cas, così come i Cie, sono isole al di là del confine di ogni giurisdizione civile. Fabbriche di paure, di degrado e di esclusione sociale. Chi ci entra, lascia i suoi diritti fuori della porta. Non è un caso neppure leggere periodicamente nei titoli della cronaca giudiziaria notizie di arresti e indagini nei confronti delle società che li gestiscono. Non si vuole certo generalizzare, ci sono esperienze positive di centri che pur nelle difficoltà odierne di fare accoglienza, complice l’assenza di una visione dello Stato a lungo termine, cercano con tutte le loro risorse di garantire qualità ed eticità pari agli enti gestori dello Sprar, il servizio “ufficiale” dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Ma il Cas “Oasi” non rappresenta di certo quell’area fertile che vorremmo trovare se fossimo nel deserto.

Il tentativo abortito di entrare nel Cas Oasi di Carpineto di Ascoli Piceno per verificare alcune pesanti segnalazioni che avevo ricevuto, assieme ad attivisti di LasciateCientrare, di Melting Pot e dell’Ambasciata dei Diritti, non ha fatto che confermare queste supposizioni.
Ma andiamo con ordine, e cominciamo a raccontare la triste ma veritiera storia di una struttura nata per ospitare un centro vacanze per bambini e trasformata in una invalicabile prigione.
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L’Oasi che non ti aspetti

Siamo ad Ascoli Piceno, a non più di 10 minuti dal centro della città marchigiana. La struttura in questione, se non esattamente elegante, è senz’altro ampia e probabilmente anche funzionale, perlomeno a vederla dall’esterno. Qualche idiota, aggiungerebbe di sicuro che è uno dei tanti hotel a cinque stelle che l’Italia regala ai migranti mentre i poveri italiani terremotati sono costretti alle tendopoli. Il centro vacanze Oasi Carpineto – scritta che ancora campeggia all’entrata del Cas – se non è certo a cinque stelle, rimane comunque un complesso di buon livello, immerso com’è in un bucolico paesaggio collinare. Ma se il luogo è ideale per avviarci un campo estivo pieno di bambini festanti, la prospettiva cambia di botto se lo trasformi in una galera dove è vietatissimo anche scattare una foto dal cancello.

Diventare gestori di un Cas è facile!
Diversi anni fa, infatti, la struttura è stata presa in gestione dalla Giocamondo. Una cooperativa fondata nel ’96 che si occupa di turismo giovanile, campi estivi per bimbi e ragazzi, servizi all’infanzia e turismo scolastico. Un settore che permette di agganciarsi a vantaggiose convenzioni con Inps, Progetto Leonardo, Telecom e via discorrendo. Non mancate di farvi qualche clic sul coloratissimo sito della cooperativa pieno di buoni propositi e facce sorridenti. Meno sorridenti sono le 104 persone finite all’ospedale per una presunta salmonellosi dopo aver partecipato al cenone di capodanno che la cooperativa ha organizzato proprio all’Oasi Carpineto.
Il referto medico parla di salmonellosi. La procura sta indagando e ha rinviato a giudizio il direttore della Giocamondo, Stefano De Angelis. Gli intossicati hanno fondato anche una imperdibile pagina Facebook che si chiama “avvelenati al ristorante”. Tutto fa web.

Considerato come andavano le cose sulla ristorazione, la Giocamondo deve aver pensato bene di cambiare mercato e di rivolgere le loro attenzioni ad una clientela meno esigente: i profughi.

Dai bambini ai richiedenti asilo il passo non è breve, ma se c’è la convenienza e la buona volontà, si fa anche questo. Così la cooperativa si è gettata sul business dei migranti. Siccome non aveva nessuna competenza in materia, si è valsa del “tutoraggio” dell’associazione On The Road 1 e naturalmente del sostegno della Chiesa. Abbiamo scordato di riferire che l’Oasi è di proprietà della curia locale. Quella guidata dal vescovo Giovanni D’Ercole. Sì. Quello finito sotto inchiesta per i fondi per la ricostruzione del terremoto dell’Aquila. 2

A questo punto, nessuno si stupirà se sottolineiamo che Giocamondo faceva comparsate ufficiali all’interno dello stand del Comune di Ascoli ai meeting ciellini di Rimini. L’attuale presidente del consiglio comunale, Marco Fioravanti, all’epoca consigliere di Fratelli d’Italia, era anche sales manager di Giocamondo. Non possiamo fare a meno di notare che, salendo le scale gerarchiche delle tante cooperative che gestiscono l’affare migranti, compaiano persone con un piede nelle altre sfere della politica e con un passato – e talvolta anche un presente – nell’estrema destra. Senza scomodare Mafia Capitale, anche l’altra cooperativa picena che si occupa di profughi, l’UNITALSI, annovera nel suo organigramma Anna Saveria Capriotti, moglie del Sindaco di Ascoli Guido Castelli, e Giuseppe Pieristé, ex militante di Ordine Nuovo, condannato negli anni ’70 per un attentato ad un giudice.

Qui non si risponde a nessuna domanda
Ma torniamo a Giocamondo, al “grand hotel a cinque stelle” di Carpineto ed ai suoi “ospiti” forzati. Bella struttura, dicevamo. Quel che lascia a desiderare è il servizio. Quello per gli “ospiti” e quello per i visitatori.

Le richieste di ingresso, erano state spedite per tempo. E con tanto di carte di identità e di tessere dell’Ordine dei Giornalisti, come previsto per legge. Le risposte mai arrivate. Certo. La legislazione prevede il diritto di ispezione. Ma è anche vero che le scuse per rinviarlo all’infinito – “motivi di sicurezza” – non mancano mai. Così abbiamo deciso di andare ugualmente a bussare alle porte sempre sbarrate del Cas.
Quello che ne abbiamo ottenuto è stata una sceneggiata avvilente per tutti gli attori. Il cancello rimane chiuso. Neppure in anticamera ci hanno fatto entrare. Tutti fuori al freddo e con la pioggia. “Motivi di sicurezza“, naturalmente. E poi sostengono che non sono galere! Esce un operatore che dice di chiamarsi Andrea.

Dice anche che non può lasciarci neppure mettere il naso nel cortile. Perché? “E che ne so io che non siete Teste rasate?“. La domanda di ingresso? Mai ricevuta. La responsabile del centro? Non c’è. Afferma di essere un “compagno” e lo sottolinea più volte. Dice che si dà un gran daffare per il bene dei loro “ospiti”. Non vuole essere fotografato. Eppure, le persone che mi hanno segnalato le brutture che accadono dentro quelle mura mi hanno inviato un selfie che questo bel tipo si è scattato in questura, dopo aver fatto arrestare un “ospite” dell’Oasi. Parlare con lui non solo è tempo perso, ma è anche svilente. Finalmente esce la responsabile, Elisa Farina. Quella che secondo Andrea non c’era. Dice di non avere tempo. Lei è lì “per occuparmi dei miei ragazzi” e non per parlare con i giornalisti. “Eppoi uno dei miei ospiti è in pronto soccorso e io devo seguirlo“. Lei è medico? “No“. E allora…? “Non sono tenuta a rispondere alle sue domande“. Me lo scodella tre o quattro volte e alla fine mi stufo anche di fargliele, le mie domande.
Tanti saluti.
Mi viene da pensare a Primo Levi quando racconta di aver chiesto in un lager a un soldato nazista che lo aveva picchiato “perché?” e quello gli risponde “qui non ci sono perché“.
I Cas non sono nient’altro che lager.

Nomi di fantasia, ovviamente
Per sapere cosa accade davvero dentro le impenetrabili mura dell’Oasi, dobbiamo farcelo raccontare da alcuni operatori che hanno deciso di violare la consegna del silenzio e anche dai suoi “ospiti“. Non è difficile trovarli in giro per Ascoli. E se ne conosci uno, te li presenta tutti. Una sola raccomandazione, avvertono tutti. Non scrivete il mio nome vero, perché le ritorsioni sarebbero assai pesanti. Useremo quindi nomi di fantasia per le nostre interviste.

Ecco cosa avviene dentro quelle mura

Incontriamo Marina che – non proprio entusiasticamente – lavora all’interno del servizio accoglienza come “socia lavoratrice” (termine che potremmo tradurre con “lavoratrice sfruttata”) della cooperativa.

Come si svolge il tuo lavoro?
Il Cas ha una responsabile, Elisa Farina, che all’interno dell’azienda ha paradossalmente la qualifica di Responsabile sia dei servizi educativi che della parte legale. Sotto di lei, ci sono tutti i dipendenti che assumono la qualifica di operatori sociali pur non avendo nessuna competenza specifica. C’è solo una infermiera che però lavora con gli stessi turni degli altri quindi può capitare che se c’è da fare un’iniezione in sua assenza l’iniezione non venga fatta. Come ho detto, gli operatori lavorano su turni ma, come si evidenzia dall’orario, non esiste un criterio specifico; ci sono infatti molti di loro che erano dipendenti di Giocamondo ben prima dell’avvio del Cas e perciò possono trovarsi nella singolare situazione di avere più mansioni anche totalmente avulse l’una dall’altra. Un caso su tutti: un operatore che la notte accompagna alcuni immigrati in commissione a Bari, durante il giorno guida il trenino che scarrozza i turisti per le vie della città ed a volte fa il piano bar in un albergo. Credo che questo possa dare l’idea della serietà con cui la cooperativa ha avviato questo progetto di accoglienza.

Quanti “ospiti” gestite?
Gli ospiti sono 161, in grande maggioranza maschi maggiorenni, per lo più centroafricani e pakistani. Circa un mese e mezzo fa c’erano 30 persone in più ma sono state trasferite. Abbiamo anche delle ragazze nigeriane di cui una minorenne e un bambino di pochi mesi. Abbiamo già sollevato le nostre preoccupazioni per loro in quanto non sembra la scelta migliore ospitare poche ragazze in mezzo a tanti uomini. Inoltre la minorenne ha partorito due gemelli il 3 settembre nell’ospedale di Ascoli ma poi l’hanno subito riportata nel Cas.

Come operate con i migranti più problematici?
Ti racconto soltanto il caso delle due ragazze nigeriane. La più grande ha il virus dell’Hiv, pur se negativizzato, e c’è il sospetto che si prostituisca fuori dal Cas. È nostra “ospite” assieme ad una persona che afferma di essere suo zio. Parentela che sarebbe tutta da verificare perché hanno tutti cognomi diversi e con loro c’è anche una minorenne che è terrorizzata dallo stare sola con il presunto zio. Il sospetto di violenze è forte ma nessuno fa niente.
Anche quando lo zio ha dato di matto e ha urlato per tutto un pomeriggio, era il 3 di agosto, gli operatori se ne sono strafregati e si sono limitati a chiamare la polizia ed a denunciare l’uomo per violenza privata. Denuncia fatta direttamente dalla responsabile del centro che ha raccontato di essere stata aggredita.

Il giorno dopo i giornali locali hanno scritto addirittura che è stata percossa con un bastone, fatto totalmente falso ma non smentito da Giocamondo. Da segnalare un vergognoso selfie scattato in caserma e che ritrae la responsabile e alcuni operatori sorridenti e soddisfatti per quello che, secondo loro era un evidente lieto fine. Si sono sbarazzati di un problema senza neppure cercare di risolverlo.

Olio di ricino di antica memoria
Angelo è un altro operatore. Se pensa che all’inizio credeva davvero di poter aiutare i migranti operando all’interno di una simile struttura, gli viene da ridere e di darsi del fesso. A lui chiediamo come sono gestite le cure sanitarie nel centro.

In maniera a dir poco terrificante! Sia dal punto di vista psicologico, lo dimostrano le grandi richieste di farmaci come Cipralex, Depakin e Tavor che abbiamo dagli ospiti, che da quello della profilassi, che è inadeguata o assente. E non solo per i migranti, ma anche per noi. Ti faccio un esempio. Tutti gli ospiti fanno il controllo Mantoux per la TBC ma quando risultano positivi non vengono spostati altrove né noi veniamo avvisati di rischi di contagio.

Nei mesi passati c’è stata una piccola epidemia di varicella che è stata l’occasione per instillare nella mente della responsabile il dubbio che forse ci fosse bisogno di una stanza per la quarantena. È stata approntata in poco tempo alla bell’e meglio in un corridoio in cui ci sono sale funzionali e camere di servizio, separato dal resto della struttura da una porta tagliafuoco sempre chiusa. Il problema è che in quel corridoio ci sono le camere degli operatori e anche la camera della famiglia di un dipendente di Giocamondo che vive lì con la moglie e la figlia di 6 anni!
Del resto, sono stati visti malati di tubercolosi portati in ospedale e poi ricondotti al Cas. Io non so se ci sia rischio di contagio, ma certo l’informazione in merito è totalmente assente.

Pur non essendo infermieri, somministrate molti farmaci?

Sì, anche se la tendenza è di ricorrere sempre a patologizzare qualunque tipo di problema piuttosto che risolverlo in altri modi.
Non abbiamo un dottore fisso e per tutte le necessità dobbiamo ricorrere ai medici di riferimento dell’Asur Marche. Ma la questione più grave è la gestione sanitaria interna. C’è un quaderno sui cui tutti gli operatori annotano le terapie il cui nome è “Medicina 33”. Da “dica 33” … una cosa che dovrebbe farci ridere. Già a leggerlo si deduce la superficialità con cui vengono affrontati i malesseri degli ospiti e l’estrema disinvoltura con cui si somministrano farmaci da banco. Anche nel caso di malanni leggeri dove non ce ne sarebbe assolutamente bisogno, gli operatori preferiscono levarsi di impaccio imbottendoli di tachipirina, aspirina e antidolorifici vari, piuttosto che cercare una soluzione alternativa o spiegargli il danno che comporta l’abuso di medicinali. Mi è capitata tra le mani la scheda di un ragazzo che a giugno ha assunto questa tipologia di farmaci per quasi tutto il mese, somministrata ovviamente dagli operatori che non mancano di firmarsi ogni qualvolta compiono queste imprese. Accade persino che considerino febbre una temperatura a 35,6 o a 36, misurata in maniera che definire approssimativa è fargli un complimento, e “prescrivono” come fossero laureati in medicina, i farmaci che gli paiono più appropriati. Quando invece qualche ospite presenta un problema più serio il primo approccio è sempre l’incredulità seguita da una certa indolenza nella sua risoluzione. È accaduto che un ospite afflitto da calcoli, trauma renale e incrinatura di una costola abbia dovuto soffrire per mesi a causa dell’incuria degli operatori prima di essere mandato in un ospedale.

Altra cosa sconvolgente: i farmaci vengono custoditi nel retro della reception senza alcun riguardo per le prescrizioni della legislazione farmaceutica. Su una scaffalatura costruita utilizzando pezzi di altri mobili ci sono farmaci da banco, psicofarmaci vari e persino qualche oppiaceo. Non ci sono scomparti, né vetrinette né tantomeno serrature che una qualunque farmacia adotterebbe. Una menzione a parte la meritano le sostanze che vengono usate come placebo. Così… tanto per dare qualcosa. La responsabile ha avuto la bella idea di adottare come placebo l’olio di ricino! E sapete perché? Perché essendo disgustoso fa passare la voglia agli “ospiti” di chiedere altre medicine! E poi, come avviene in tutti i Cie, si fa un uso smodato di sostanze atte a calmare gli animi.

L’olio di ricino mi riporta alla mente un certo regime che, certamente, avrebbe approvato tutto questo! Raccontami della cucina. Come è il cibo?
Le foto della cucina che posso fornirvi sono eloquenti. Obbrobriose le condizioni igieniche come la qualità, la conservazione e la tipologia del cibo che viene prodotto. E non mi soffermo su alcuni membri del personale (tra cui il cuoco) che è un condensato di razzismo e di astio.

Come è il clima tra voi operatori e i vostri “ospiti”?
In un posto come questo, chiamarli “ospiti” è una intollerabile ipocrisia! La verità è che queste sono solo persone forzate a vivere in gabbia. Logico che tra loro e noi si erga una barriera che fa sì che, anche nel caso che qualcuno fosse venuto a lavorare con le migliori intenzioni del mondo, rischierebbe di convertirsi a quell’odio, quel disprezzo e quel menefreghismo che emergono ogni giorno dai messaggi che ci scambiamo e che, a parer mio, non hanno giustificazioni pure se le condizioni in cui dobbiamo operare sono terrificanti.

L’organizzazione oltre ad essere assolutamente carente, sfiora il ridicolo: sono tutti burocrati, tra l’incosciente e l’incapace, tutti a parlare del metodo e mai del merito. La struttura è sporca e maleodorante, l’igiene sconosciuto. Basta pensare che i cestini dell’immondizia traboccano di rifiuti per molti giorni prima che a qualcuno venga in mente di svuotarli. Del resto, sul cortile retrostante la struttura, potete ammirare tutti una magnifica discarica a cielo aperto! I vestiti non vengono distribuiti con regolarità anzi la responsabile ha avuto la faccia tosta di proporre di regalarli ai terremotati visto che “a noi non servono”.

L’infamia e la bugia sono all’ordine del giorno, qualunque cosa accada viene rivoltata contro gli ospiti e amplificata in maniera iperbolica. E poi, leggo di gente che si scandalizza perché il Governo Italiano regalerebbe 32 euro al giorno ad ogni migrante. E nessuno si chiede mai dove vanno a finire questi, 32 euro. No. Bisogna lavorarci dentro per rendersi davvero conto che strutture come queste servono solo a regalare denaro a certe cooperative che non se lo meritano proprio ed a fomentare astio, odio e razzismo.
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Voci dal di dentro

Alemseged – altro nome di fantasia – viene dall’Africa centrale dove è scappato dalla guerra. Come ti trovo al centro?
Come tutti. Male.

Quali sono i problemi?
Come veniamo trattati, soprattutto. Il resto sono conseguenze. Viene da chiederci che ci stiamo a fare qua. A cosa serva questo Cas. Dovrebbero aiutarci a compilare le domande per ottenere lo status di rifugiati ed invece non ci viene passata nessuna informazione. Non c’è preparazione per l’incontro con la commissione, non ci spiegano come compilare i moduli C3 per la richiesta. L’avvocato viene una volta al mese, riunisce tutti in una sala e raccoglie le firme. I ricorsi sono fatti in fotocopia senza rispetto per la mia vita e per quello che ho passato. Impossibile parlargli personalmente.

Woyingi è dell’Africa orientale. Racconta che passa tutto quello che guadagna con dei piccoli lavori al mercato di Ascoli per spedirlo alla famiglia. Solo per questo cerca di resistere al “centro vacanze”. Vi lamentate anche del cibo?
Non pretendiamo manicaretti ma neppure roba andata a male. Usano prodotti mal conservati, lo stesso piatto viene tenuto sul tavolo, neppure messo in frigo, anche cinque giorni, fino a che qualcuno non lo mangia spinto dalla fame. Abbiamo anche organizzato uno sciopero della colazione. Ci siamo seduti per terra e loro hanno chiamato la polizia come se stessimo distruggendo il centro! Ma è tutto l’insieme che ci fa pensare di essere trattati da bestie. Neppure il ristorante hanno aperto. Ci tocca mangiare nella sala della reception.

Corsi di inserimento sociale o lavorativo…
Figurati! Un ospite che vive all’Oasi da più tempo di me, racconta che una volta ne avevano organizzato uno, ma da quando ci sono io…

Reesom è maggiorenne da poco. Anche lui è fuggito da uno Stato del centro Africa. Gli chiediamo come funziona l’assistenza sanitaria.
C’è un ragazzo con pochi anni più di me che collassa. Ogni tanto casca per terra. La maggior parte degli operatori insinua che faccia finta, che sia una sceneggiata. Così funziona l’assistenza all’Oasi. Medicine? Te le danno a loro discrezione e secondo me, te le danno a caso perché non sono né medici né infermieri. Prima che ti portino da un vero medico o in ospedale, devono essere sicuri che stai per morire. La verità è che di te non gliene frega niente. Cercano solo di evitarsi le rogne. Se imbottendoti di tranquillanti e di antidolorifici stai più tranquillo, loro ti imbottiscono di tranquillanti e di antidolorifici. Credo anche che abbiano finte medicine da somministrarci per liberarsi di noi il prima possibile e pretendono anche di prenderci per stupidi dicendo che la stessa pasticca fa bene per la testa, la tosse, lo stomaco e chissà cos’altro. Hanno anche una specie di olio scuro, non serve a niente per calmare il dolore, ma fa talmente schifo che lo chiedi una volta e poi non lo chiedi più. E ti tieni il dolore.

La tessera sanitaria, che è un vostro diritto, ve l’hanno data? Lo sapete chi è il vostro medico di base?
Alcuni la tessera ce l’hanno, altri no. Non danno mai informazioni su questo punto, come su tutti gli altri, come ad esempio sull’iscrizione anagrafica. So di persone che gli è stata negata oppure che non sono stati avvisati. Altri invece, come me, sono riusciti a farsela dare. È così che funzionano le cose in un posto come il Cas Oasi: i diritti, anche quelli fondamentali come la salute, sono sospesi e concessi con criteri totalmente arbitrari. Ma allora non chiamiamoli più diritti.

E non chiamiamola neppure “accoglienza“. Perché dove non ci sono diritti, dove le porte sono sbarrate, dove non si può parlare e discutere, dove la gente che più ha bisogno più sta male, questa parola non può essere utilizzata.


In data 12.11.2016 abbiamo ricevuto una nota dall’Ufficio stampa della Giocamondo. La pubblichiamo integralmente facendo notare che i responsabili della cooperativa, anche questa volta, non entrano nel merito delle inadempienze e degli abusi che l’articolo contesta, ma si limitano a rispondere informando di aver ricevuto una visita dell’Unhcr. Quando è avvenuta l’ispezione e il referente che ha redatto il rapporto di tali verifiche non è dato saperlo. (ndr)

Si intende precisare che la descrizione della situazione come riferita nell’articolo non corrisponde affatto alla realtà della gestione del Centro, la quale avviene nella massima correttezza, nel rispetto delle norme, dei diritti dei singoli e nel rispetto del capitolato di gara della Prefettura di Ascoli Piceno. A conferma della qualità del nostro operato si fa presente che è stata recentemente portata a termine un’ispezione da parte dell’ UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) il quale ha rilevato la più completa idoneità della gestione del Centro.

  1. In data 9.11.2016 abbiamo ricevuto una richiesta di precisazione dall’ufficio stampa dell’associazione: “Scriviamo in riferimento all’articolo «Centro Oasi di Carpineto di Ascoli: un CAS all’olio di ricino» pubblicato su www.meltingpot.org con la firma di Riccardo Bottazzo in data 8 novembre 2016.
    Poiché associazione On the Road viene citata all’interno dell’articolo nella seguente dichiarazione: «Siccome non aveva nessuna competenza in materia, si è valsa del “tutoraggio” dell’associazione On The Road» ci sentiamo chiamati a fare una precisazione.
    La collaborazione tra On the Road e Giocamondo all’interno del Centro Oasi di Carpineto di Ascoli è durata da settembre a dicembre 2015, e si è successivamente interrotta anche a causa di divergenze di vedute rispetto alle modalità di gestione del centro. Da gennaio 2016 On the Road non ha nessun ruolo nella gestione del Centro Oasi di Carpineto.
    Vi chiediamo pertanto, se possibile, di aggiungere questa informazione in una nota all’interno dell’articolo per esigenze di completezza.
  2. In data 9.11.2016 abbiamo ricevuto una nota dalla segreteria di Mons. Giovanni D’Ercole:
    In merito all’articolo apparso sul sito progetto Melting Pot Europa sul centro Oasi di Carpineto di Ascoli Piceno, si sottolineano, esclusivamente a onore della verità, alcune imprecisioni e affermazioni inesatte contenute nel testo e nel titolo introduttivo. In primo luogo si fa presente che la proprietaria dell’immobile Oasi di Carpineto menzionata nell’articolo non è la Curia di Ascoli Piceno bensì l’istituto Seminario Vescovile, ente distinto dalla Curia.
    In secondo luogo si evidenzia che il Vescovo di Ascoli Piceno Mons. Giovanni D’Ercole non è mai stato inquisito per i fondi di ricostruzione del terremoto dell’Aquila. L’accusa riguardava una presunta rivelazione del segreto istruttorio. A ulteriore precisazione, si fa presente che il reato sarebbe consistito nella circostanza che Mons. D’Ercole, essendo stato informato che un collaboratore avrebbe avuto l’intenzione di compiere una truffa, lo ha ripreso e ammonito severamente di non farlo. Rinviato a giudizio con rito abbreviato, monsignor D’Ercole è stato assolto sia in primo grado perché il fatto non costituisce reato, sia in secondo grado in quanto il fatto non sussiste
    “.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.