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CPR, Hotspot e altri luoghi di confinamento

Una scheda sui CPR e gli altri luoghi di confinamento dei migranti

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Istituiti nel 1998 dalla legge sull’immigrazione Turco Napolitano (art. 12 della legge 40/1998), i centri furono inizialmente nominati Centri di Permanenza Temporanea, poi denominati CIE (Centri di identificazione ed espulsione) dalla legge Bossi Fini (L 189/2002), e infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla legge Minniti-Orlando (L 46/2017). Sono strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno.

I Centri di trattenimento, con le loro varie ridenominazioni e modifiche, rappresentano ancora oggi lo stato della detenzione amministrativa, sottoponendo a regime di privazione della libertà personale individui che hanno violato una disposizione amministrativa, come quella del necessario possesso di permesso di soggiorno.

Nel corso di questi anni, in base all’art. 14 del T.U. 286/1998 e tutte le successive modifiche (dalla Legge Bossi-Fini, ai diversi “pacchetti sicurezza”, al cd. decreto Salvini fino alle ultime modifiche normative del governo Meloni), sono variati sia il numero dei centri detentivi presenti in Italia e sia il periodo di trattenimento prorogabile. Il punto di massima estensione lo si è avuto con il “pacchetto sicurezza” del ministro Maroni quando la detenzione poteva essere prorogata per un massimo totale di 18 mesi. 

Nonostante i cittadini stranieri si trovino all’interno dei CPR con lo status di trattenuti o ospiti, la loro permanenza nella struttura corrisponde di fatto ad una detenzione, in quanto sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale.

Il funzionamento è di competenza del Prefetto, che attraverso dei bandi affida i servizi di gestione della struttura a soggetti privati, responsabili del rapporto con i detenuti e del funzionamento materiale del centro. Le forze dell’ordine presidiano lo spazio esterno delle strutture e possono entrare nelle zone dove vivono i detenuti solo su richiesta degli enti gestori in casi eccezionali e di emergenza anche se di fatto questo si verifica quotidianamente.

Le continue rivolte, le morti (più di trenta), gli atti di autolesionismo, i suicidi, le quotidiane vessazioni e abusi, tutte ampiamente documentate dal Garante delle persone private della libertà, da associazioni e attivisti in numerosi report e pubblicazioni, confermano che i CPR risultano del tutto inadeguati, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, a garantire il rispetto dei diritti fondamentali ed inutilmente dispendiosi. Nel periodo 2021-2023 le Prefetture hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro finalizzate alla gestione dei 10 CPR presenti in Italia, cui vanno ancora sommati ingenti costi relativi alla manutenzione delle strutture e delle forze dell’ordine. Nel periodo 2018-2021 i costi di gestione (anche questi parziali) sono stati di 44 milioni.

L’ubicazione e il numero dei centri detentivi in Italia è in costante aggiornamento, sia perché ogni nuovo governo oltre a modificare l’acronimo ne prevede un possibile ampiamento, sia per effetto delle proteste interne che ne pregiudicano l’agibilità fino alla chiusura definitiva.

Il decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, il cosiddetto decreto Lamorgese, ha modificato alcune disposizioni, tra cui la riduzione dei termini massimi di trattenimento da 180 a 90 giorni, ma prorogabili di ulteriori 30 giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri. Sulla base di questi accordi si introduce un elemento ancora più marcato rispetto all’etnicità dei cittadini stranieri, privilegiando il trattenimento di coloro che provengono da Paesi terzi con i quali risultino vigenti accordi in materia di cooperazione o altre intese in materia di rimpatri. L’esempio più evidente è quello dell’accordo con la Tunisia e il meccanismo di identificazione allo sbarco, trattenimento e successivo rimpatrio rivolto ai cittadini tunisini.

Altre modifiche rilevanti sono l’estensione dei casi di trattenimento del richiedente protezione internazionale limitatamente alla verifica della disponibilità di posti nei centri e – parzialmente positiva se effettivamente applicata – l’introduzione della possibilità, per lo straniero in condizioni di trattenimento, di rivolgere istanze o reclami al Garante nazionale ed ai garanti regionali e locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Il Garante nazionale, inoltre, può formulare specifiche raccomandazioni al Prefetto e all’ente gestore: rimane però del tutto irrisolto il problema di come farle applicare.

Nuove disposizioni sono però intervenute con il governo Meloni che ha impresso una nuova stretta securitaria e repressiva alle migrazioni e ai richiedenti asilo dapprima con il DL 10 marzo 2023, n. 20 (cd. Decreto Cutro) convertito in legge, poi con il Decreto 14 settembre 2023 del Ministero dell’interno Piantedosi e infine con il DL n. 124 artt. 20 e 21 del 19 settembre 2023: una sequela di norme che hanno riportato il periodo di trattenimento a 18 mesi, riproposto la scellerata ipotesi di realizzare “almeno un CPR in ogni regione”, di allargare la detenzione amministrativa in nuovi centri (CPRI) ai quei richiedenti asilo provenienti da cd. “Paesi terzi sicuri” che non dispongono risorse economiche pari a 4.938 euro. Tale disposizione è già stata ritenuta illegittima dal tribunale disapplicandola per tre richiedenti asilo tunisini. 

I CPR in Italia

Ecco dove sono i CPR

A ottobre 2023 risultano in funzione 10 CPR ubicati a:

La capienza complessiva è di circa 1.100 posti (fonte e mappa: rapporto “Buchi Neri“, 2021, a cura di CILD).

I CPR in Italia non sono gli unici luoghi di confinamento dei migranti

CARA, CPA, CPSA, gli Hotspot, gli Hub regionali, i CAS, disegnano una mappa più articolata, al pari della detenzione, in costante mutazione e per nulla trasparente di luoghi di approdo, attesa, accoglienza o trattenimento.

Sul sito del Ministero dell’Interno le informazioni sono sempre insufficienti, di fatto non esiste una cartina aggiornata che chiarisca tutte le strutture esistenti nella penisola: una paginetta scarna con didascaliche informazioni e una suddivisione tra hotspot e Centri di Prima Accoglienza. Anche questo rappresenta un segnale inequivocabile sulla mancanza di trasparenza e un certo senso di vaghezza che pervade l’accoglienza nei grandi centri italiani. Elementi che sono “lasciati al caso” dall’istituzione poiché prevedono la possibilità in ogni momento di modificare a suo piacimento la situazione, e dunque creare margini di violazione di legge e di arbitrarietà.

Gli hotspot attualmente attivi sono a:

Vai allo “Speciale Hotspot

Terminate le procedure di identificazione e foto-segnalamento, i migranti che hanno manifestato la volontà di chiedere asilo in Italia vengono trasferiti presso le strutture di accoglienza di primo livello, dislocate sull’intero territorio nazionale ove permangono in attesa della definizione della domanda di protezione internazionale, che si differenziano in:

Centri di Prima Accoglienza (CPA), ex art.9 D. Lgs. n. 142/2015, localizzati a:

  • Bari;
  • Brindisi;
  • Isola di Capo Rizzuto (KR);
  • Gradisca d’Isonzo (GO);
  • Udine;
  • Manfredonia (FG);
  • Caltanissetta;
  • Messina;
  • Treviso.

Centri Accoglienza Straordinaria (CAS), strutture reperite dai Prefetti a seguito di appositi bandi di gara (ex art. 11 D. Lgs. n. 142/15).

Attualmente i CAS sul territorio nazionale sono più di 5.000, con una capacità di più di 80.000 posti (fonte Ministero dell’interno, giugno 2020).

Per approfondire: Centri d’Italia, mappe dell’accoglienza. Piattaforma e rapporto realizzati da ActionAid e openpolis