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Costa d’Avorio – Riconoscimento dello status di rifugiato per una cittadina ivoriana vittima di mutilazioni genitali femminili e matrimonio forzato

Tribunale di Bologna, ordinanza del 1° ottobre 2016

Il Tribunale di Bologna con l’ordinanza dell’1 ottobre 2016 ha riconosciuto lo status di rifugiata ad una cittadina ivoriana alla quale la Commissione Territoriale aveva riconosciuto solo la protezione umanitaria. La richiedente aveva basato la propria domanda di protezione internazionale sul timore di rientrare in Costa d’Avorio ove da giovane era stata sottoposta alle mutilazioni genitali femminili e al matrimonio forzato, fenomeni che, a parere del Giudice del Tribunale di Bologna, devono essere considerati persecuzione verso determinato gruppo sociale (le donne).

Si legge nell’ordinanza: “Gli abusi subiti ed in particolare la mutilazione genitale femminile (MGF) sono da considerarsi sicuramente una grave violazione dei diritti umani. La gravità di tale forma di violenza è stata adeguatamente descritta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (Female Genital Mutilation, Trends, Department of Gender, Women and Health Report of a WHO Technical Consultation Geneva, 15-17 October 1997) e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (nota orientativa sulle domande d’asilo riguardanti la mutilazione genitale femminile, Ginevra Maggio 2009). […] Inoltre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ritiene che sottoporre una donna a MGF costituisce maltrattamento contrario all’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.(CEDU:Emily Collins and Ashley Akaziebie v. Sweden, Applicazione n. 23944/05, 8 marzo 2007). […]

Secondo l’UNHCR l’avere subito o volersi sottrarre a detta pratica costituisce un fondato timore di essere perseguitati, “per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”, in quanto collegato a ragioni di appartenenza a un determinato gruppo sociale, ma anche di opinione politica religione. La MGF viene inflitta a ragazze e donne perché sono di genere femminile, per raffermare potere su di loro e per controllare la loro sessualità. La pratica quindi fa parte di un più ampio modello di discriminazione contro ragazze e donne in una specifica società. […] Tanto premesso, va affermato che nel caso in esame la mutilazione subita rappresenta una grave violazione della vita umana ed essa unitamente alle altre violenze fisiche e morali subite per la sua condizione di donna siano da considerarsi una forma vera e propria forma di persecuzione e discriminazione, a cui la ricorrente correrebbe il rischio di essere nuovamente sottoposta nel caso di rientro in Costa d Avorio.

La rappresentazione della mutilazione genitale femminile quale atto di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale e’ palesemente compatibile con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuti negli artico 2 e 3 della Costituzione, con particolare riguardo alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo ed al principio di uguaglianza e di pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, alla stessa stregua dei motivi di razza, religione, nazionalità o di opinione politica.

Ne consegue che sussistono i presupposti per riconoscere alla ricorrente lo status di rifugiato, perché’ ella possa sottrarsi a questa violenza di genere e trattamento discriminatorio di cui e’ stata vittima e potrebbe fondatamente esserlo ancora rientrando in Costa d Avorio( nello stesso senso si veda Corte d’Appello di Roma 17 luglio 2012 , Corte d’Appello di Catania 27 novembre 2012, Tribunale di Cagliari ordinanza 3 aprile 2013 ,Tribunale di Roma ordinanza del 3 marzo 2014).”

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Tribunale di Bologna, ordinanza del 1° ottobre 2016