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Costa libica: meno navi di soccorso più persone a rischio. Gli effetti dei nuovi accordi

Fulvio Vassallo Paleologo, Diritti e Frontiere - 29 novembre 2016

Photo credit: Sos Meditarreneé

Sono anni che, dopo ogni strage nel Mediterraneo, i vertici dell’Unione Europea e quindi le agenzie militari che vi corrispondono, come FRONTEX o EUNAVFOR MED, suggeriscono il rafforzamento delle missioni di contrasto della cd. immigrazione “illegale”, e questo affermando di voler salvare più vite umane in mare, quando in realtà il vero obiettivo perseguito, magari in collaborazione con le polizie dei paesi di transito e di origine, è quello di ridurre il numero delle partenze e di aumentare le operazioni di respingimento, le espulsioni con accompagnamento forzato, anche attraverso la detenzione in centri nei quali, come avviene in Libia, vengono sistematicamente violati i diritti umani.

Photo credit: Sea-Watch
Photo credit: Sea-Watch

Dovrebbe essere a tutti noto il fallimento sostanziale della missione EUNAVFOR MED che nasceva con l’obiettivo di contrastare le organizzazioni dei trafficanti entrando nelle acque territoriali libiche, con missioni lampo che si sarebbero dovute svolgere anche sul terreno. Obiettivi falliti per la mancata copertura dell’operazione, priva di basi legali, da parte di un deliberato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, o di una specifica richiesta di intervento da parte di uno dei due governi libici che nel tempo sono stati riconosciuti dalla Comunità internazionale. In assenza di una qualsiasi possibilità di svolgere “operazioni di contrasto dell’immigrazione illegale” nelle acque a nord della costa libica, la maggior parte delle attività di ricerca e salvataggio ( attività SAR – Search and Rescue) si è svolta sotto il coordinamento del Comando della Guardia Costiera italiana con un consistente coinvolgimento di navi umanitarie civili, supportate da Sos Meditarreneé, Medici senza Frontiere, Sea-Watch, MOASCroce Rossa internazionale, e più di recente da Save The Children. Anche per i mezzi di Eunavfor Med e di Frontex, alle originarie finalità di blocco e respingimento si sono presto sovrapposte finalità di ricerca e salvataggio, peraltro sancite e dunque obbligatorie in base al Regolamento dell’Unione Europea n.656/2014.

Negli ultimi mesi la risposta europea all’intensificarsi delle stragi al limite delle acque territoriali libiche – il 2016 è stato un anno record quanto a morti e dispersi nelle acque del Mediterraneo centrale, soprattutto nel Mar libico – è stato il lancio delle attività di “formazione teorico-operativa” di agenti della Guardia Costiera libica a bordo delle navi militari dell’operazione europea EUNAVFOR MED, tra queste la nave San Giorgio della Marina militare italiana.

Da agosto a settembre si erano succeduti diversi “incidenti” che avevano visto navi umanitarie delle organizzazioni Sea Watch e Medici senza Frontiere attaccate da mezzi della cd. Guardia Costiera libica mentre si trovavano in attività di ricerca e salvataggio di vite umane al limite delle acque territoriali libiche. Vicende mai completamente chiarite, dalle quali emergeva però che la garanzia per la presenza delle navi umanitarie che salvavano vite umane in una zona tanto vicina alla costa libica veniva fornita proprio dalle navi militari europee.

A partire dal mese di agosto, il ripetersi di attacchi a questi mezzi civili da parte di unità della sedicente “Guadia costiera libica”, la loro parziale riduzione, e la individuazione di porti di sbarco sempre più lontani, che imponevano lunghe rotte verso la Sicilia, la Sardegna o la Puglia, se non la Campania, hanno riportato alla ribalta interventi di navi commerciali, e subito si sono verificate altre tragedie, come il naufragio del 28 ottobre 2016 a ridosso di una petroliera il cui equipaggio si limitava a filmare la scena, con le persone che facevano ressa vicino alle due piccole scalette che erano state predisposte per l’arrampicata dei migranti a bordo, trattandosi di una nave il cui ponte di accesso stava ad almeno dieci metri sul livello dell’acqua. In quell’occasione, come in altre precedenti nelle quali erano rimaste coinvolte navi commerciali, non venivano gettati neppure salvagente o atolli autogonfiabili in mare, né tanto meno venivano calati verso i naufraghi gommoni o altri mezzi di soccorso in dotazione della nave, con la conseguenza che decine di migranti annegavano, in una situazione di panico e di ressa generale, proprio a pochi metri dalla scaletta che avrebbe permesso la loro salvezza.

Photo credit: Sos Meditarreneé
Photo credit: Sos Meditarreneé

A partire dalla fine di novembre sembra sensibilmente ridotto il numero delle navi umanitarie ancora inserite nelle attività di ricerca e salvataggio nella zona del Mediterraneo centrale più vicina alla costa libica, mentre risulta più intensa l’attività SAR affidata alle navi militari di Eunavfor Med, come la nave Navarra della marina Spagnola, attiva pochi giorni fa. Negli ultimi giorni, a ridosso della costa libica, sembra operativa soltanto la nave umanitaria Aquarius di SOS Meditarrenee, mentre la Bourbon Argos di Medici senza Frontiere ha sospeso temporaneamente la sua attività.

Non si hanno invece notizie dalle sette navi militari che dovrebbero ancora essere operative all’interno dell’operazione TRITON dell’agenzia Frontex. Periodicamente si assiste soltanto a qualche operazione di ricerca e soccorso svolta dalla SIEM PILOT di Frontex, sotto il coordinamento del Comando centrale della Guardia Costiera italiana, coordinamento che scatta in base alle convenzioni internazionali tutte le volte che, dopo una segnalazione o una richiesta di soccorso, viene dichiarato dalle autorità marittime un evento SAR ( Search and rescue). Il “successo” addotto da Frontex nel blocco della rotta balcanica, conseguenza degli accordi tra Unione Europea, paesi balcanici e Turchia, non può compensare le tragedie umane che si continuano a ripetere nelle acque del Mediterraneo centrale nel sostanziale disimpegno dell’Agenzia. Dove sono i nove mezzi navali che avrebbero dovuto costituire la missione TRITON di Frontex a nord delle coste libiche?

Sembra quasi che la riduzione delle navi umanitarie e di quelle impegnate nelle operazioni europee di Frontex corrisponda ad un maggiore coinvolgimento delle autorità libiche, almeno di quelle che fanno riferimento al governo di Tripoli, nella cd. esternalizzazione dei controlli di frontiera, in questo caso al limite delle acque territoriali libiche (12 miglia dalla costa).

Secondo i piani annunciati dagli alti comandi dell’operazione EUNAVFOR MED, condotta dall’ammiraglio Credendino, le attività di addestramento della cd. Guardia Costiera libica sarebbero necessarie per “garantire la sicurezza e i soccorsi nelle acque territoriali libiche” dove si svolge il traffico di migranti, “L’obiettivo è evitare che più di 3.000 persone muoiano davanti alle coste libiche”, dove la missione non può accedere senza la richiesta di Tripoli, ha aggiunto l’ammiraglio nel corso di una recente conferenza stampa.

Photo credit: Sea-Watch
Photo credit: Sea-Watch

A queste affermazioni, già smentite dai fatti, hanno replicato i rappresentanti dell’organizzazioni umanitaria tedesca Sea Watch, che ha ribattuto come l’apertura di canali legali di ingresso in Europa costituisca l’unica soluzione che consenta una riduzione dei morti e dispersi nelle acque del Mediterraneo centrale, su quella che nel corso dell’ultimo anno si è rivelata la rotta più pericolosa del mondo, con oltre 3700 morti e dispersi nei primi 10 mesi del 2016.

“We are not against a SAR mission also within the 12 nm zone, as indeed many accidents occur there, however the absolute priority of any training mission has to be an improvement of the humanitarian situation and the SAR capabilities and not to cut down the number of migrants arriving in Europe.” Sea-Watch board member Johannes Bayer states: “Sea-Watch was able to document cases, in which Libyan coastguard carried out forced returns – even far out of territorial waters. These deportations are dictated by the European Union and should be considered as a clear violation of the non-refoulement principle as lives are being put in danger.”

Certo la confusione rimane tanta, perché il nuovo Regolamento sulla Guardia costiera europea costituisce un rinforzo dell’agenzia Frontex ma non dedica neppure un paragrafo all’operazione militare EUNAVFOR MED, che pure qualcuno vorrebbe identificare con la nuova Guardia Costiera europea. Di fatto, l’operazione Sophia alias EUNAVFOR MED, in assenza di un avallo da parte del governo libico o di una copertura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, richiesta da oltre un anno dalla Commissaria UE Mogherini, ma non ancora pervenuta, non può passare alla fase operativa 2, in acque territoriali libiche. E nel quadro attuale della situazione politica e militare della Libia non si vede come gli accordi dei vertici di EUNAVFOR MED con la sedicente Guardia Costiera libica possano garantire una riduzione delle vittime in mare, o una qualsiasi tutela dei superstiti a terra.

Photo credit: Sea-Watch
Photo credit: Sea-Watch

Appare immediatamente evidente come la Libia non sia in grado di controllare o di garantire efficaci azioni di ricerca e salvataggio nella vastissima zona SAR che le è assegnata dalle Convenzioni internazionali, come del resto non è nelle condizioni di effettiva copertura delle chiamate di soccorso la piccolo Malta. Giova in proposito ricordare che, in base alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, e soprattutto secondo quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo del 1979 sulla ricerca e salvataggio delle vite umane in mare, se uno stato non riesce a garantire una immediata attività SAR in acque di sua competenza dovrebbe attivare accordi con i paesi limitrofi, all’esclusivo fine di salvaguardare la vita umana in mare. In questa prospettiva si osserva che “The State responsible for a SAR area is also responsible for the coordination of SAR operations in that area, and for the treatment of persons rescued at sea. The fulfilment of these obligations may be influenced by formal or informal bilateral agreements between states”.

Piuttosto che intese per istruire la Guardia Costiera libica nelle attività di blocco dei migranti e di riconduzione in Libia, si dovrebbero individuare metodi di collaborazione per soccorrere nel modo più efficace le persone a rischio di naufragio e nel ricondurle su un territorio nel quale possano fare valere una richiesta di asilo e non siano a rischio di subire abusi ed estorsioni. Territorio che oggi non è certo il tratto di costa che va da Zuwara a Sabratah, Zawiah Tripoli e Misurata in preda ad un sanguinoso conflitto tra milizie. Appare altresì evidente che le persone che in futuro dovessero essere sbarcate in territorio libico dovrebbero avere garantito il pieno ed effettivo accesso dei diritti fondamentali della persona,a partire dal diritto di asilo, e che, in assenza di tali condizioni, dovrebbero essere sbarcate in un altro luogo, dunque in un altro paese, definibile con certezza come “place of safety”.

Il porto di sbarco definibile come “place of safety” deve trovarsi all’interno di un paese che garantisca l’effettiva applicazione della Convenzione di Ginevra e delle altre Convenzioni internazionali che salvaguardano i diritti della persona umana. Questo paese oggi non è certo la Libia, o quello che ne rimane, nei diversi governi che si contendono il controllo del paese, anche perché la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Gli stati europei non possono scaricare soltanto sull’Italia e sulla Grecia gli obblighi di ricerca e salvataggio (.pdf) in un luogo sicuro.

Photo credit: Jugend Rettet
Photo credit: Jugend Rettet

I gommoni o le imbarcazioni più piccole usate dai trafficanti possono soltanto uscire dalle acque territoriali libiche ( 12 miglia dalla costa) ma non sono in grado di resistere ad una navigazione più lunga, potendo al massimo raggiungere 30-40 miglia dalla costa, anche per la carenza di rifornimenti e per la particolare esposizione delle persone che trasportano, agli eventi atmosferici. Chi riferisce dei compiti della missione EUNAVFOR MED citando il numero dei barconi dei trafficanti che sarebbero stati distrutti durante gli interventi delle navi europee non sa evidentemente di cosa sta parlando, o peggio vuole imbrogliare l’opinione pubblica, perché non c’è alcun bisogno di distruggere gommoni utilizzati per le partenze dalla Libia, mezzi che sono comunque destinati ad affondare da soli a poche ore dalla partenza dalla costa. In caso di burrasche il loro destino è segnato e possono fare naufragio anche pochi minuti dopo la partenza, comunque entro la fascia di acque territoriali libiche, nelle quali gli interventi delle diverse autorità che si autodefiniscono come “Guardia costiera libica”, hanno prevalenti funzione di arresto in vista di una successiva detenzione dei migranti “illegali”, piuttosto che di una vera e propria operazione di soccorso. Sono numerose le testimonianze delle violenze e degli abusi dei migranti “soccorsi” dalla Guardia Costiera libica e rigettati nei tanti centri di detenzione dove imperversano trafficanti e poliziotti senza scrupoli.

L’Italia e l’Unione Europea, sotto la spinta di elettorati sempre più condizionati dai partiti populisti e dai nazionalismi più beceri, non si possono sottrarre ad una attività di ricerca e soccorso che preveda comunque intese, anche con le autorità libiche, volte comunque a favorire lo sbarco dei naufraghi in porti “sicuri”, quali in questo momento non possono certo definirsi i porti libici. L’obiettivo principale dovrebbe essere costituito dalla messa in sicurezza dei migranti soccorsi in mare, non dal loro allontanamento dai confini europei. In questo senso desta allarme il contenuto del Regolamento Europeo che introduce la nuova Guardia costiera e di frontiera europea.

Photo credit: Save the Children Italia
Photo credit: Save the Children Italia

L’immediata apertura di canali legali di ingresso per i migranti in fuga dalla Libia e il rinforzo delle missioni civili di ricerca e soccorso in mare nelle acque limitrofe alle coste libiche costituiscono le uniche possibili soluzioni per una crisi migratoria che, se verrà ulteriormente accresciuta la pressione militare nella lotta contro i trafficanti, o peggio, se si praticheranno respingimenti collettivi avvalendosi della Guardia costiera libica addestrata per coordinarsi con i mezzi di Eunavfor Med e di Frontex nella ripresa dei gommoni in fuga verso l’Europa, rischia di tradursi in una serie ininterrotta di naufragi o di affondamenti, con migliaia di morti e dispersi. L’allontanamento, e comunque la oggettiva riduzione, delle navi umanitarie impegnate nelle attività SAR al largo delle coste libiche, e la delega di queste attività alla cd. Guardia costiera libica, costituiscono un pessimo segnale che lascia prevedere un ulteriore aumento delle vittime alle frontiere marittime, le frontiere impossibili.