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da Il Manifesto del 19 luglio 2006

Cpt bocciati in parlamento

Un Libro Bianco stilato da un gruppo di parlamentari del centrosinistra denuncia le violazioni nei centri di permanenza. Oggi parte la Commissione voluta da Amato.

Cinzia Gubbini

Violazioni sistematiche della Costituzione, delle Convenzioni internazionali, del diritto d’asilo. Per questo chiudere i centri di permanenza temporanea non solo si può, ma soprattutto si deve. A dirlo questa volta non sono le «solite» associazioni, ma un nutrito gruppo di parlamentari del centrosinistra che in tempi non sospetti – cioè prima di diventare maggioranza politica nel paese – hanno deciso di prendere di petto il problema dei cpt e di andare a vedere cosa succede lì dentro.

Ieri, finalmente, il «Libro Bianco sui cpta» è stato reso pubblico, proprio alla vigilia dell’avvio dei lavori della Commissione voluta dal ministro dell’Interno Giuliano Amato per fornire proposte su come superarli (oggi la prima visita al centro di Lampedusa). Superamento è una parola piuttosto ambigua, ma è quanto sta scritto nel programma dell’Unione. Nel documento politico che accompagna il «Libro bianco» un po’ si gioca su quello che a tutti era sembrato un éscamotage: «Secondo la definizione del dizionario Devoto-Oli – scrive il gruppo di lavoro – superamento sta a significare “definitivo accantonamento di vecchie idee”». Ed è quello che chiede il documento, suggerendo un menu di soluzioni per cambiare definitivamente le politiche migratorie del paese e giungere alla chiusura dei centri, considerati senza troppi giri di parole «un fallimento della democrazia».
Il lavoro di regia – curato da Nicoletta Dentico e Maurizio Gressi – non è stato facile, ma ha permesso di avviare «una nuova capacità di mobilitazione istituzionale», in grado di «interagire con la società civile e con i territori». I parlamentari hanno cercato di darsi una disciplina, munendosi di un questionario, ma anche decidendo di valorizzare il «controllo» sul funzionamento dei cpt con una serie di interviste a testimoni privilegiati. E’ stato insomma un lavoro in itinere che ha incrociato associazioni, organismi per la tutela dei diritti umani anche internazionali, giornalisti, avvocati, semplici attivisti.

Lungo la strada sono stati «arruolati» parlamentari che fino ad allora poco o nulla sapevano di immigrazione. E’ il caso di Maria Chiara Acciarini, attuale sottosegretaria al ministero della Famiglia, e all’epoca delle ispezioni senatrice dei Ds. «Diciamoci la verità – ha raccontato ieri – all’inizio ero utilizzata come “veicolo” per l’ingresso nei centri». Finché non si è trovata proiettata in mezzo all’emergenza Lampedusa, quando, tra il 2004 e il 2005, furono espulsi migliaia di immigrati verso la Libia: «E’ un’esperienza che mi ha segnato moltissimo – ha raccontato ieri – abbiamo visto i fogli delle presunte identificazioni, dove c’erano sempre gli stessi nomi. E quando abbiamo saputo ciò che accadeva in Libia, ho ripensato a quei volti. Avevo visto in faccia dei condannati a morte». Per questo ora Acciarini chiede che «i responsabili rispondano di ciò che è accaduto», perché solo così «è possibile evitare che certe cose si ripetano».
Di resoconti dall’interno delle mura dei cpt ce ne sono stati tanti, ma questa volta c’è un valore aggiunto: la costanza delle visite, che permette di avere uno sguardo più preciso. Al cpt di Torino (di cui il gruppo chiede la chiusura) non è mai stato possibile parlare con i detenuti per più di venti minuti «perché così prevedono le disposizioni interne». Nel cpt di Modena una donna ha partorito all’interno, perché nessuno credeva che fosse incinta, in quello di Caltanissetta la deputata dei Verdi Tana De Zulueta incontra un uomo che da tre settimane non riesce a cominciare nessuno: è cinese, e a Caltanissetta non ci sono interpreti di cinese. Ma ci sono anche le appassionate testimonianze dell’avvocato Alessandra Ballerini, che racconta di come sia impossibile parlare con i propri assistiti prima delle udienze, e di come nelle questure siano custoditi misteriosi fogli che informano sulle disponibilità di posti nei diversi centri, e che sembrano «guidare» le retate che ogni tanto scoppiano nelle città. E poi l’intervista al prefetto Anna Maria D’Ascenzo, capo del Dipartimento per le l’immigrazione del Viminale – curata da Stefano Galieni del Prc e Nicoletta Dentico – che oltre a dirla lunga sull’atteggiamento dei più alti in carica («ma lei crede che questi in Africa riescano a mangiare tre volte al giorno?»), rivela che l’ex ministro dell’Interno Pisanu aveva dato precise disposizioni di non divulgare le voci dettagliate di spesa nei cpt. Sarà perché – come sottolinea un’analisi dei costi affidata a Grazia Naletto di Lunaria – il sistema cpt in sei anni (dal ’99 al 2006) ci è costato più di 500 milioni di euro. Nello stesso periodo sono state trattenute poco più di 98 mila persone, di queste solo il 44,42% è stato effettivamente rimpatriato.

Come ha detto Tana De Zulueta: «Questo è un lavoro che consegniamo al governo, al parlamento e all’opinione pubblica in un momento in cui si attendono cambiamenti drastici nella gestione dell’immigrazione».