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Rubrica: Confini e barriere

Cronache dalla Jungla di Calais

di Fuad Alakbarov*, Open Democracy - novembre 2015

Pubblichiamo questo articolo (link originale) uscito su Open Democracy il 1° novembre 2015.

Traduzione a cura di: Sheila Fidelio

La popolazione del campo profughi di Calais noto come “La Jungla” non dà segni di decrescita. Un attivista dei diritti umani ci racconta la situazione.

Lontano dagli scenari affollati dei porti e delle autostrade di Calais, il campo profughi noto col nome di “The Jungle” cresce velocemente ed inizia ad assumere le caratteristiche di una struttura permanente. Il 17 settembre 2015, una delegazione di 28 volontari provenienti dalla Scozia ha trascorso una giornata per seguire le vite delle 6.000 persone che risiedono nel campo.

La delegazione ha fornito informazioni uniche e dettagliate che fanno luce sui crescenti costi umani della crisi e sulle sfide che devono affrontare i rifugiati e gli immigrati che cercano di raggiungere la Gran Bretagna. I delegati scozzesi si sono uniti ad un gruppo più ampio di volontari provenienti dal Regno Unito e diretti a Calais composta da 50 automobili e 500 volontari britannici. Sono inoltre state donate £12.000 alle organizzazioni che lavorano nel campo con i rifugiati.

Hakem, infermiere Sudanese e ammiratore di Florence Nightingale (considerata la fondatrice della moderna assistenza infermieristica) e della “cultura Scozzese” ha impiegato quattro giorni per cercare di riparare una tenda nella boscaglia spazzata dal vento di una discarica di Calais, servendosi di stracci, teli di plastica, qualche pietra e un bancale di legno.

“Questo deve essere il posto peggiore che abbia mai visto, non è adatto neanche agli animali”, ha affermato Hakem. Dopo che la pioggia aveva inondato la sua tenda durante a notte, alle 4 di mattina si era alzato e aveva percorso 3 miglia, completamente zuppo, per tornare alla sua vecchia tenda al centro di Calais. Nel percorso, tra l’altro, era stato bersagliato da un camionista che aveva rallentato per urlargli contro insulti razzisti e lanciargli delle mele.

Il posto dove viveva prima, una baracca occupata in un impianto per la lavorazione dei metalli, era un luogo putrido, ma almeno aveva un tetto, un fornelletto arrugginito e delle coperte. Sfortunatamente, però, dei poliziotti francesi in tenuta antisommossa avevano minacciato di demolire la baracca e aveva comunicato ad Hakem, così come a migliaia di altri, che ormai non avevano altra scelta se non quella di recarsi al luogo della discarica e arrangiarsi come potevano.

“Ho pagato $4.000 (€3.600) per lasciare il Sudan, ho rischiato la mia vita su una barca fino a Lampedusa, passando settimane in mare”, ha raccontato Hakem “non voglio i soldi dei contribuenti britannici, voglio solo una vita dignitosa. Ma quello che mi distrugge veramente è questo orribile pezzo di terra dove ho dovuto costruirmi una tenda”.

A pochi passi di distanza, più di 1.500 uomini sono stati costretti ad accamparsi nella landa desolata circostante. Casi di scabbia, diarrea, malattie della pelle e stress post traumatico sono all’ordine del giorno. Uno studio condotto da Medici del Mondo rivela la realtà impressionante all’interno di quella che è una delle più grandi baraccopoli d’Europa, dove circa 6.000 persone, tra cui un numero crescente di donne e bambini, vivono in condizioni “decisamente al di sotto degli standard minimi dei campi profughi”.

Le organizzazioni benefiche e umanitarie avvertono che spingere i profughi ad accamparsi nelle discariche, esposti agli elementi, rischia di creare gli stessi problemi presentatisi a Sangatte: una concentrazione troppo alta di diverse nazionalità portò scontri e tensioni tra i rifugiati rendendo i profughi facile obiettivo dei trafficanti.

Fuad Alakbarov, attivista dei diritti umani, ha dichiarato: “Questo è sicuramente il campo profughi peggiore del mondo. Non è altro che una landa desolata, ci sono sempre più persone, e la situazione sta diventando sempre più disperata e rischiosa”.

“Come esseri umani è nostro compito aiutare chi sta combattendo per una battaglia più difficile. L’inverno è alle porte e sono veramente preoccupato per la sopravvivenza di queste persone.”

L’attivista Emily Burns ha raccontato: “Nonostante tutto i rifugiati sono stati così gentili ed accoglienti verso di me e le altre persone arrivate col convoglio”.

L’Europa dovrebbe vergognarsi di una situazione come quella di Calais. I politici britannici dovrebbero rendersi conto che la crisi di Calais è innanzitutto un’emergenza umanitaria.

Nonostante tutto ciò, David Cameron sta pianificando di sfruttare le sofferenze del popolo siriano per bombardare la Siria e uccidere altri Alan Kurdis. Se non facciamo subito qualcosa e iniziamo ad impedire alle nostre classi dirigenti di portare avanti politiche che spingono alla creazione di nuovi immigrati allora stiamo tradendo milioni di persone che non sono ancora profughi ma sicuramente presto lo saranno.

I nomi dei rifugiati sono stati modificati.

* Fuad Alakbarov, azero-scozzese, è un attivista politco per la difesa delle comunità internazionali e un fotoreporter. E’ noto principalmente per le campagne a difesa dei diritti umani dei rifugiati e per le campagne contro la povertà e il razzismo. Si è battuto a lungo contro il centro di Detenzione di Dungavel in Scozia per richiedenti asilo politico respinti.

Foto di copertina: The Worldwide Tribe

Vedi anche

  • La giungla di Calais: l’appello degli 800
  • Francia - 700 migranti evacuati dal Liceo occupato a Parigi. Rastrellamenti a Calais
  • Calais - I confini dell’Europa e la bidonville di Stato
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  • No, il movimento No Border non è responsabile dell’aumento delle tensioni a Calais
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[ 9 novembre 2015 ]
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