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Decorsi i due anni dalla richiesta di cittadinanza italiana la mancanza di convivenza con il coniuge italiano o una separazione richiesta, non sono ostativi al rilascio della cittadinanza

Sentenza Tribunale di Genova N8909/2013 del 19/2/2015

S., cittadina nigeriana, vive in Italia da diversi anni, ove soggiorna regolarmente in forza di un permesso di soggiorno per motivi familiari, sempre ritualmente rinnovato e valido fino al 26 novembre 2015. In data 21 marzo 2009, in Genova, la medesima contraeva matrimonio con in sig. P., cittadino italiano e, insieme a questo, conviveva presso la casa coniugale sita in Genova.
Emergeva tuttavia ben presto una tendenza violenta del marito.

In data 5 novembre 2010, a seguito di uno degli episodi più eclatanti, la ricorrente era infatti condotta in ambulanza presso il P.O.U. Ospedale Villa Scassi, dopo aver subito dal coniuge, davanti all’abitazione di un’amica, un brutale colpo alla spalla sinistra; all’esito di esame obiettivo ed indagini radiologiche, veniva emessa diagnosi di un grave trauma contusivo e una prognosi di 30 giorni.

Il 12 ottobre 2012, la ricorrente istruiva una pratica di riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, l. 91/92, essendo coniugata e convivente da più di due anni con il proprio coniuge, cittadino italiano. La convivenza tra i coniugi perdurava infatti per oltre due anni fino a quando, esasperata e spaventata dalle continue aggressioni subite, e per salvaguardare la propria incolumità, la sig.ra S., dopo essersi rivolta al Centro Antiviolenza si allontanava dal tetto coniugale, trovando ospitalità presso un’amica connazionale.

Il marito, probabilmente credendo di porsi al riparo dalle conseguenze penali delle proprie azioni, o con semplice intento intimidatorio, denunciava la moglie, la quale veniva sottoposta in data 30 novembre 2011 ad interrogatorio nanti la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova.

Per le violenza subite, S. decideva di sporgere in tale sede querela nanti la Procura della Repubblica di Genova, a seguito della quale sono oggi in corso le relative indagini.

In data 3 aprile 2013, la Prefettura di Genova comunicava alla ricorrente i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, «per mancanza dei requisiti previsti dalla normativa vigente» e, in particolare perché dall’istruttoria esperita risultava che S. non fosse più convivente con il proprio coniuge Sig. P. e che fosse stata avviata causa di separazione giudiziale. Ciò non rendeva possibile, nell’opinione della P. A., l’attribuzione dell’invocato beneficio “in quanto, ai sensi dell’art. 11 della Legge 15.7.2009 n. 94, la cittadinanza italiana può essere concessa se fra i coniugi non sussista la separazione personale”.

In riscontro alla predetta, per il tramite della scrivente difesa, si osservava, in primo luogo, come con la semplice separazione legale i coniugi non ponessero fine al rapporto matrimoniale, non sciogliendo quindi gli effetti civili del matrimonio, ma ne sospendessero gli effetti nell’attesa o di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio. Tra S. e il Sig. P., peraltro, non era mai intervenuta alcuna separazione atteso che la stessa, in epoca coeva, non aveva neppure ricevuto notifica di ricorso per separazione. In secondo luogo, si sottolineava che S. aveva contratto matrimonio con il Sig. P. nel marzo 2009 e con quest’ultimo aveva vissuto in Genova per oltre due anni fino a quando, all’ennesima aggressione del marito, per salvaguardare la propria incolumità, si era dovuta allontanare dal tetto coniugale. Ritenendo sussistenti tutti i requisiti previsti dall’art. 5 Legge 91/92, si chiedeva di riconsiderare i presunti motivi ostativi e di voler pertanto procedere all’invocato beneficio.

Ignorando totalmente le osservazioni sopra riportate, tuttavia, il Prefetto di Genova, dichiarava l’istanza della sig.ra S. “inammissibile per carenza dei requisiti” rilevando come la Sig.ra S. fosse coniugata con cittadino italiano a far data dal 21 marzo 2009, ma altresì che la suddetta, a seguito degli accertamenti effettuati da personale della Questura di Genova, non risulta più convivente con il proprio coniuge Sig. P.,e ritenendo le osservazioni fatte pervenire non meritevoli di favorevole considerazione.

Ritenendo in ogni caso del tutto irrituale che l’Amministrazione decretasse un’istanza di acquisto della cittadinanza “inammissibile” all’esito di un’istruttoria di diversi mesi (giacché un simile riscontro della P.a. si giustifica generalmente su un’irregolarità o sull’incompletezza della domanda, ad es. mancata allegazione della ricevuta di pagamento del bollettino), ovvero su un insanabile difetto di forma della stessa, non esistendo una “terza via” tra l’accoglimento e il rifiuto dell’istanza, veniva presentato ricorso avverso il provvedimento della P.A. Già al momento dell’istanza, in effetti, la sig.ra S. aveva perfettamente maturato tutte le condizioni richieste dalla legge al fine dell’acquisto della cittadinanza italiana in seguito a matrimonio con cittadino.

Il Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sulla questione, ha dapprima operato un richiamo ad una sentenza della Suprema Corte, ricordando che “Secondo la Cassazione (sentenza sezioni unite n. 1000 del 1995), principio seguito dai TAR del Lazio sentenza n. 3913 del 2009 e delle Marche sentenza depositata il 10.10.2008 e da questo Tribunale in plurime precedenti decisioni, “il diritto soggettivo del coniuge affievolisce ad interesse legittimo solo in presenza dell’esercizio da parte delle P.A. del potere discrezionale di valutare l’esistenza di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica che ostino a detto acquisto, con la conseguenza che una volta precluso l’esercizio di tale potere, a seguito dell’inutile decorso del termine previsto per la conclusione del procedimento” – (due anni) – “in caso di mancata emissione del decreto di acquisto della cittadinanza, come di rigetto della relativa istanza, ove si contesti la ricorrenza degli altri presupposti tassativamente previsti dalla legge, sussiste il diritto soggettivo all’emanazione dello stesso per il richiedente”.

Ciò premesso, il Giudice ha applicato detto orientamento al caso sottoposto alla sua attenzione, ed ha sottolineato come “sembra emergere che, perché vi sia diritto soggettivo, è necessario o che trascorrano due anni dalla richiesta senza un provvedimento e dunque si consumi il potere della P.A., o che la stessa P.A. intervenga con un provvedimento emesso prima dei 2 anni, rigettando per motivi diversi da quelli inerenti alla sicurezza della Repubblica.

Nel caso in esame, il rigetto della domanda è intervenuto esclusivamente sulla base della ritenuta insussistenza di convivenza tra la ricorrente ed il marito cittadino italiana. Tale motivazione deve ritenersi del tutto infondata. Sul punto, invero, il tenore letterale della legge è chiaro, precludendosi l’emanazione del decreto ministeriale di acquisto della cittadinanza allorché sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. Nessun rilievo viene invece attribuito alla effettività della convivenza e alla pendenza o meno di un procedimento di separazione personale” accogliendo così l’orientamento suggerito da questa difesa nell’interpretazione del dettato normativo, al fine di concedere alla Sig.ra S., come suo diritto, la cittadinanza italiana.

Il Giudice di prime cure ha proseguito sottolineando alcuni punti fondamentali, sostenendo in particolare che: “L’interpretazione per la quale detta preclusione varrebbe anche nel caso di cessazione di fatto della convivenza, non è consentita, per il divieto di interpretazione oltre i casi in esse considerati, di norme eccezionali, quale quella richiamata che, ricorrendo ogni altro presupposto di legge, preclude l’acquisto della cittadinanza. (…) Tale interpretazione trova, d’altra parte, coerente riscontro, con la recente decisione della corte di cassazione, sez. 6 sentenza n. 12745 del 23.5.2013, secondo cui in tema di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare del coniuge del cittadino italiano, non è necessario il requisito della convivenza effettiva, anche alla luce del regime conseguente al recepimento della relativa direttiva europea 2004/38”.

Ed infatti, con specifico riferimento al caso in esame, riconosce che la Sig.ra S. “Al momento del deposito della richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana risultava essere sposata con cittadino italiano e risiedere legalmente in Italia da più di due anni, mentre la separazione, richiesta peraltro dal marito con contumacia della moglie per tutto il corso del procedimento, è stata pronunciata successivamente a tale data e comunque dopo i due anni normativamente previsti per l’acquisto della cittadinanza italiana”.

Il Tribunale ha quindi accolto i motivi della scrivente difesa, ritenendo che la separazione giudiziale – circostanza comunque nemmeno dedotta dalla Prefettura nel provvedimento impugnato – non potesse assumere in ogni caso rilievo nel procedimento in quanto intervenuta dopo i due anni previsti dall’art. 5 della legge n. 91 del 1992, anche considerata l’abrogazione del primo comma dell’art. 7 della stessa legge. L’istanza è stata accolta, e dichiarato il diritto di S. di acquisire la cittadinanza italiana.

É una vittoria, non di una difesa, non di una parte, nonostante il silenzio, la violenza, il rifiuto di cui è stata vittima, oggi la vittoria è di una donna, oggi, di una cittadina italiana.

Avv.ti Alessandra Ballerini e Matteo Buffa

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