La visita di Alfano, Letta e Barroso a Lampedusa è stata occasione per l’ennesima parata di buone intenzioni, non ancora seguite da fatti concreti che possano modificare la situazione indegna del centro di primo soccorso ed accoglienza di Contrada Imbriacola. Mentre il paese si sta avvitando in un dibattito sterile sull’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, un reato che anche la Procura di Agrigento ha definito contrario alla nostra Costituzione, nulla si sta facendo per ristrutturare il sistema di prima accoglienza.
Dopo l’aumento (annunciato) dei posti nel sistema di seconda accoglienza, gli SPRAR, del servizio per la protezione dei richiedenti asilo e rifugiati, non si sa quando e in quale misura questi nuovi posti saranno effettivamente disponibili. Intanto, anche a Lampedusa, Barroso ha fatto intendere che, a parte la somma relativamente modesta destinata all’Italia per l’emergenza profughi per il 2013, ben difficilmente l’Unione Europea potrà darsi nuove politiche in materia di accoglienza e di asilo, a fronte delle divisioni tra i diversi stati, in molti dei quali, come la Norvegia, hanno vinto partiti populisti apertamente xenofobi. Ed in Francia il Fronte nazionale in grande crescita ha indotto Hollande a presentare un piano di rinforzo delle funzioni di sbarramento di Frontex su cui deciderà il prossimo Consiglio Europeo, altro che salvataggio… Anche perché i paesi del nordeuropea non vogliono condividere l’onere dell’accoglienza dei profughi che sbarcano nei paesi meridionali come l’Italia, perché accolgono già un numero assai più alto di rifugiati ( 550.000 la Germania contro 56.000 l’Italia). L’Italia dovrebbe dunque mettersi con le carte in regola per avere voce in Europa, dotarsi di un vero sistema di accoglienza, almeno per 20.000 posti, in atto non sono più di 6.000, e abrogare quelle norme introdotte dalla Bossi Fini e dai pacchetti sicurezza di Maroni che penalizzano l’ingresso ed il soggiorno irregolare anche per i potenziali richiedenti asilo.
Non si possono consentire ancora trattenimenti prolungati ( fino a 18 mesi) nei centri di detenzione, contro le previsioni della Direttiva rimpatri 2008/115/CE e in violazione dell’art.4 della Carta dei diritti fondamentali UE, e trattamenti disumani o degradanti nei luoghi di trattenimento amministrativo, come si può definire pure il Centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa, dal momento che gli immigrati non sono liberi di uscire e quando si allontanano devono forare le reti di recinzione. Un luogo in condizioni indegne nel quale vengono trattenuti in totale promiscuità donne e minori, anche non accompagnati, in violazione della legge che imporrebbe il tempestivo intervento del tribunale minorile, l’intervento di figure di sostegno e la nomina di un tutore specializzato, che non può essere una figura fittizia come un dipendente comunale o il gestore di un centro di accoglienza.
E sui minori stanno arrivando tanti soldi che possono fare davvero gola ai professionisti dell’accoglienza. Le immagini riprese da un inviato RAI che ha trascorso la notte nel centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola a Lampedusa, pubblicate in rete il 7 ottobre scorso, hanno fatto il giro del mondo. Il ministro dell’interno Alfano ed i gestori del centro non possono più dire che si tratta solo di sovraffollamento ma che il sistema di accoglienza in Italia funziona. Sono materiali sui quali gli organi di controllo dovrebbero indagare. Non si può certo continuare a dire che si tratta solo di invenzioni dei giornalisti. L’intero sistema di accoglienza in Sicilia non regge più. L’accoglienza affidata ai prefetti che hanno utilizzato ancora la legge Puglia del 1995 con la creazione di una miriade di strutture di accoglienza improvvisate, come scuole e palestre, ma anche capannoni industriali e tende in un mercato ittico, ha moltiplicato centri di trattenimento informale al di fuori del diritto. La legge Puglia era stata adottata in un momento nel quale si trattava di respingere dall’Italia verso il paese di origine il maggior numero di immigrati ( allora erano gli Albanesi). Non si può continuare a pensare che la soluzione del problema si trovi nell’allontanamento dei profughi che arrivano in Italia, in particolare dei siriani e degli eritrei.
Per molti migranti l’imperativo categorico è diventato fuggire dall’Italia senza farsi rilevare le impronte digitali, per riuscire ad accedere alla procedura di asilo in un paese capace davvero di accogliere ed integrare. La maggior parte dei 5000 siriani arrivati quest’anno in Sicilia è così fuggita verso i paesi del nordeuropa dove ha potuto presentare una richiesta di asilo e trovare una accoglienza dignitosa. Molti sono stati percossi mentre tentavano di fuggire, o perché rifiutavano di farsi prendere le impronte digitali, come si è verificato in base a numerose testimonianze a Catania e a Pozzallo. E questo lo sanno anche i superstiti della strage di Lampedusa che adesso hanno anche paura di farsi trasferire verso strutture, come il CPSA di Pozzallo nel quale si sono verificati gravi abusi ai danni dei migranti, in alcuni casi anche ai danni di minori non accompagnati. Oggi con i Siriani, con gli Egiziani, con i Somali, con gli Eritrei, il problema dell’espulsione non si pone, perché per coloro che provengono da zone di guerra, o dove dominano feroci dittature, l’art. 19 del Testo unico sull’immigrazione vieta categoricamente sia il respingimento che l’espulsione. Per questo motivo i centri aperti e gestiti dai prefetti in base alla legge Puglia non sono idonei ad accogliere persone che non possono essere respinte e che meriterebbero comunque un permesso di soggiorno temporaneo o un visto di transito per raggiungere altri paesi europei, sempre che l’Italia fosse capace di rinegoziare il regolamento Dublino II o di ottenerne una temporanea sospensione. Così come non si possono utilizzare i centri di prima accoglienza e soccorso per trattenere giorni e giorni, addirittura settimane, persone che non possono restare bloccate in strutture di transito dove dovrebbero restare in base alla legge ed ai regolamenti italiani non oltre 72 ore. Temi questi che sono rimasti fuori dai colloqui tra Letta, Alfano e Barroso. E non sembra che dal Parlamento possano arrivare nuove leggi che migliorino la situazione attuale.
Si deve intervenire subito sulle prassi amministrative, e se non lo faranno i vertici dei ministeri competenti ci si dovrà rivolgere all’autorità giudiziaria. A Lampedusa si verifica ancora una volta la stessa situazione indegna di mala accoglienza che denunciamo dal 2003, documentata in video e rapporti facilmente reperibili in rete, una situazione che puntualmente si ripresenta con ciclicità, a seconda delle crisi internazionali, una emergenza ricorrente. Ormai arrivano quasi esclusivamente potenziali richiedenti asilo, potenziali, perché in realtà nessuno di loro vuole presentare domanda di asilo e rimanere in Italia, dove si sa che le procedure durano anche anni, manca il lavoro e l’alloggio, vengono sistematicamente negate quelle possibilità di integrazione che in altri paesi europei si possono ancora sfruttare.
Ancora una volta il fallimento del sistema di accoglienza italiano ha la sua punta dell’iceberg e la rappresentazione più tragica nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa. Solo nel 2008 con il “modello Lampedusa”, un sistema integrato di trasferimenti rapidi e di seconda accoglienza, ideato dal prefetto Morcone, con l’avvio del progetto Praesidium , in convenzione con il ministero dell’interno, si riuscì a garantire nell’isola il transito rapido di 30.000 naufraghi, molti più di quanti ne sono arrivati quest’anno, con tempi massimi di permanenza di 72 ore, e quindi il rapido trasferimento in centri di seconda accoglienza in tutta Italia. Ma con l’avvento di Maroni al Ministero dell’interno quel modello è stato smantellato e Lampedusa è tornata ad essere nel 2009, nel 2011 ed ancora oggi, luogo di contenimento, anche per le disfunzioni crescenti nel sistema di seconda accoglienza e nel sistema di accoglienza per i minori non accompagnati. Adesso siamo ad una situazione di degrado avvilente che colpisce anche i superstiti della strage più grave che si sia mai verificata nel Mediterraneo. Anche dopo il documento di denuncia dell’UNHCR, di pochi giorni fa, che chiede la chiusura e la ristrutturazione del centro e la sua destinazione ad una funzione di prima accoglienza (due giorni massimo) sembra che non debba cambiare niente. Il centro di Imbriacola viene così utilizzato come un “centro chiuso”, per giorni senza fine, anche se è una struttura dalla quale non è difficile uscire e rientrare, malgrado le continue attività di ripristino dei reticolati che lo circondano. Dall’esterno appare come una grande gabbia in fondo ad un fosso, all’interno mancano posti letto al coperto, spesso donne e minori sono costretti alla promiscuità, una situazione che denunciamo da anni, ma che molti hanno ignorato fino a quando su Lampedusa non si sono accesi i riflettori dei grandi media. Questa volta, con tanti morti, nessuno ha potuto ignorare quello che era successo e le condizioni indegne nelle quali viene trattenuto chi si è salvato, peraltro sottoposto ad indagini penali che mettono in tutta evidenza il carattere inutilmente vessatorio delle norme della legge sull’immigrazione del 1998 come è stata riformulata con la Bossi Fini del 2002 e con i pacchetti sicurezza di Maroni, che nel 2009 ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. E la Procura di Agrigento ha più volto proposto archiviazioni per procedimenti penali ex art. 10 bis, richieste che i giudici di pace non hanno accolto, continuando i procedimenti penali al solo scopo di giungere ad una condanna per una contravvenzione che nessuno paga ma che macchia indelebilmente la fedina penale, oltre a fare statistica. Una condanna che può macchiare anche chi non vuole fare richiesta di asilo in Italia. Il reato di immigrazione clandestina va abrogato, senza gli equivoci giochetti parlamentari che non ne modificano la sostanza ma che in questi giorni fanno solo audience. Ma l’abrogazione del reato di clandestinità non risolve il problema della mala accoglienza. Il centro di prima accoglienza e soccorso di Contrada Imbriacola va svuotato e ristrutturato, come chiede adessol’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ancora ci sono i segni del rogo che ne distrusse una parte nel 2011, i profughi vanno trasferiti urgentemente in veri centri di accoglienza, o in alberghi da requisire, assistiti dalle professionalità che servono, mediatori, legali, psicologi, medici, e non deportati nel CPSA di Pozzallo, che presenta condizioni analoghe, quando è sovraffollato come in questo periodo, a quello di Lampedusa, e tanto meno nel mega-Cara di Mineo che produce l’inabissamento in una comunità senza tempo e senza storia di 3000 persone.
Ci vogliono altri centri di vera accoglienza, ubicati in tutte le regioni italiane, con le professionalità adeguate, per realizzare una vera accoglienza decentrata, ci vogliono soldi e progettualità, occorre togliere di mano a prefetti e questori, ed a gestori troppo interessati, la gestione di una materia che non può rientrare sempre e soltanto nella sfera dell’ordine pubblico. Per documentare le clamorose e ricorrenti condizioni indegne in cui versano in Italia i centri di prima accoglienza e soccorso (CPSA) per stranieri in Sicilia ( Pozzallo e Lampedusa) si possono consultare diversi materiali diffusi in rete a partire dal rapporto coordinato dall’ASGI “Il diritto alla protezione”. Altre informazioni preziose si ritrovano nel rapporto “Lampedusa non è un isola” pubblicato dall’Associazione “A buon diritto”. Potranno ripulire e sgomberare i centri di accoglienza in occasione delle prossime visite ispettive già annunciate da diversi parlamentari, ma non riusciranno a nascondere la vergogna di cui sono responsabili. Ancora una volta saranno i cittadini a fare la loro parte ed a dimostrare al mondo che in Italia, ed in particolare a Lampedusa, la solidarietà esiste ancora.