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Distorsioni, stereotipi e pregiudizi della stampa italiana

Riflessioni e spunti dal convegno "Media e immigrazione" di Imola

“La signorina notizia è bianca, ha le gambe corte, una diffusa sordità, una grave miopia.”
Da questo preoccupante presupposto è partita la discussione proposta da rappresentanti di associazioni e giornalisti presenti al convegno tenutesi sabato scorso ad Imola e intitolato .
Quello che tutti i partecipanti hanno sottolineano è che l’informazione in Italia è spesso distorta, ricca di imprecisioni, omissioni ed errori, e che le notizie riguardanti gli immigrati, suscitando grande interesse, vengono ingigantite, stereotipate, a volte strumentalizzate.
Parlando di immigrazione, le tematiche più presenti nei giornali italiani sono criminalità, irregolarità, violenza, religione e lavoro. E tutto il resto?
Sono tante le contraddizioni a cui va incontro la stampa italiana. Per esempio, si lascia intuire che una persona senza documenti sia necessariamente un criminale, che l’immigrato sia un pericolo o quantomeno un fastidio per gli autoctoni, che immigrazione equivale a contaminazione (“Allarme immigrazione, triplicati gli albanesi!”). Questa impostazione, se a volte è frutto di superficialità o di assenza di sensibilità al fenomeno da parte dei giornalisti, molto più spesso è dovuto a scelte editoriali o politiche che fanno riflettere sull’attuale stato del giornalismo in Italia. Perchè lo straniero che commette un furto finisce in prima pagina mentre l’italiano, per lo stesso reato, non compare nemmeno? Avrebbe lo stesso impatto un titolone del tipo “Bolognese svaligia una panetteria?” o “Milanese pizzicato alla guida senza patente”? La nazionalità diviene una chiave di lettura e quindi un fattore di discriminazione che si ripercuote, anche incosciamente, tra chi legge il giornale, favorendo intolleranza e rifiuto della diversità.
Troppo spesso i media trattano di immigrazione solo nella cronaca, utilizzando un linguaggio forte e quasi sempre negativo e aumentando un immotivato allarme sociale. Quello che il giornalismo racconta è lo stereotipo dell’immigrato: quasi sempre uomo, dedito ad attività criminali, violento, con cultura e abitudini incomprensibili. Spesso si sottovaluta il peso che hanno le parole e le loro conseguenze nelle menti dei lettori, soprattutto di quelli con una coscienza critica poco sviluppata. Il termine extracomunitario richiama concetti quali diversità, estraneità, intromissione, paura (ma ci spaventerebbe l’incontro con extracomunitari quali dilomatici statunitensi o imprenditori australiani?), clandestino è diventato sinonimo di fuorilegge, criminale.
Appare necessario fare più attenzione all’uso delle parole, soprattutto nei titoli, e smorzare i toni allarmistici che vengono usati, smettere di sottolinerare gli aspetti negativi delle vicende tralasciando quelli positivi o le attenuanti, non generalizzare gli episodi (il popolo rumeno non è riconducibile al singolo che ruba una macchina!). Mancano, infine, le voci degli immigrati, le loro opinioni e riflessioni: gli stranieri sono soltanto oggetto delle notizie, non hanno spazio per spiegare o farsi conoscere.