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Don Favarin: «Cona era una bomba a orologeria»

Attilio De Alberi, Lettera43.it - 4 gennaio 2017

La morte della giovane ivoriana Sandrine Bayakoko nel centro di accoglienza di Cona, comune di 170 anime nella provincia di Venezia, ha scatenato la rabbia dei residenti, in maggior parte africani, riportando alla ribalta il tema di un’accoglienza che “scoppia“. Da tempo nel centro – ex base missilistica – che ospita 1.400 immigrati, ma che in realtà ha una capienza per soli 500, c’era una crescente insofferenza per le condizioni igienico-sanitarie e logistiche in generale.

Il “Don Gallo veneto“. «Una struttura come quella di Cona, con tutte le sue problematiche, non può essere che una bomba a orologeria», dice a Lettera43.it Don Luca Favarin, il “Don Gallo veneto”, che si dedica da anni al ”problema” immigrazione con la sua onlus Percorso di Vita a Padova e dintorni, dove gestisce ormai 12 centri di accoglienza per rifugiati, soprattutto africani. «Come si fa a stipare centinaia di persone di cultura ed etnia diverse, già traumatizzate da un viaggio pericoloso, in strutture inadeguate, e in una situazione di totale incertezza per il futuro?».

Domanda. Cona pare la dimostrazione che i grandi centri non sono la migliore soluzione per l’accoglienza dei migranti.
Risposta. Assolutamente. Sono realtà difficili da gestire perché creano “l’effetto pollaio“. Gli ospiti non si sentono bene accolti e si finisce per dare vita a un circolo vizioso.

D. Ovvero?
R. Più i migranti si sentono male accolti e più causano scompiglio e più la gente e i Comuni hanno paura e finiscono per ostacolare l’accoglienza diffusa.

D. Qual è la soluzione alternativa?
R. Spacchettare il flusso dei migranti in piccoli centri di accoglienza con 20, 30, massimo 50 persone che sarebbero molto più facilmente gestibili.

D. C’è stato un incontro tra Marco Minniti, il nuovo ministro dell’Interno, e l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani, ndr) per cercare nuove risposte.
R. Sì, ma c’è un problema a monte: questo flusso migratorio è considerato dalla nostra classe politica come un’emergenza.

D. Non lo è?
R. Il problema è strutturale, non emergenziale. Lo stesso vale per la distinzione tra ‘rifugiati politici‘ e ‘rifugiati economici‘. Ci vuole un nuovo modo di pensare: occorrono nuove idee, altrimenti i problemi continueranno a ripetersi.

D. Su 8 mila Comuni italiani solo 2.600 sono pronti all’accoglienza.
R. Lo so ed è grave. Tutti quelli che dicono “no” all’accoglienza diffusa sono corresponsabili di una situazione caotica.

D. In Veneto lei si oppone attivamente al caporalato…
R. Il caporalato è un problema italiano e non esclusivamente relegato a una Regione o al Meridione. Qui nel Nord-Est dove c’è la voglia di far soldi in maniera rapida è una tentazione molto forte.

D. In quali settori specificatamente?
R. Nella coltivazione del tabacco, delle patate e nell’allevamento di pollame e bestiame. E qui vengono fatti lavorare gli stranieri esattamente secondo i dettami del caporalato.

D. Quindi senza contratto e con paghe molto basse?
R. Sì, ed esiste anche la figura del caporale: l’agricoltore veneto utilizza un intermediario che gli procura manodopera a basso costo. Questo intermediario si fa dare una tangente dal profugo che porta all’agricoltore e ha anche una squadra di sotto-caporali, come in un sistema a piramide.

D. Come vi state muovendo?
R. Abbiamo contattato alcuni agricoltori invitandoli a offrire agli immigrati sotto la nostra tutela un contratto regolare standard, dicendo che il lavoro come bracciante con la madre Terra è un lavoro nobile e dignitoso, ma che va trattato nell’ambito della legalità. La pratica del caporalato mostra tutta l’ipocrisia, il doppio standard di certa gente, contraria all’immigrazione ma favorevole quando gli fa comodo, che si tratti di sfruttamento della forza lavoro o di prostituzione (Don Luca si batte da anni contro la tratta delle schiave del sesso nigeriane, ndr).

D. E quali risultati avete ottenuto?
R. Siamo riusciti a far assumere con un contratto regolare dei ragazzi africani per la raccolta delle patate, facendo notare che quelle che presentiamo sono persone già in qualche modo inserite nel tessuto sociale.

D. Questo può quindi divenire un modello?
R. Certo, e infatti continuiamo a contattare altri agricoltori per allargare il giro in positivo.

D. Avete anche inoltrato una proposta per bypassare le commissioni una volta che certi prerequisiti vengano soddisfatti.
R. Ho incontrato recentemente il prefetto Mario Morcone (Capo Dipartimento per l’Immigrazione, ndr) e gli ho fatto notare la seconda parte del nostro lavoro, cioè l’inserimento degli immigrati nella comunità per velocizzare il più possibile l’uscita dai centri di accoglienza, dove i nostri migranti possono rimanere fino a più di due anni, e far posto ai nuovi arrivati.

D. E questo eviterebbe anche la distinzione tra immigrati politici e immigrati economici…
R. Esatto, il che è una grossa fesseria. Distinguiamo piuttosto tra immigrati minimamente integrati e immigrati reticenti all’integrazione.

D. Qualcuno potrebbe obiettare che non possiamo accogliere tutti indiscriminatamente.
R. Sì, ma concretamente poi è difficile rimandarli indietro. Dobbiamo agire su due piani: da un lato dar loro un’accoglienza dignitosa e sostenibile, dall’altra lavorare sui Paesi di origine eliminando i motivi per cui partono, siano essi di natura politica, bellica o economica. Certo che se continuiamo a esportare armi, a sostenere la corruzione locale e a sfruttare le risorse di certi Paesi in Africa, il fenomeno si perpetua.

D. Come ha reagito Morcone alla vostra proposta?
R. Positivamente. Ora si sta concentrando sui Comuni, dove a causa di un razzismo diffuso si ripetono problemi con l’accoglienza.

D. Ci sono anche esempi positivi: basta pensare a Mimmo Lucano, il sindaco che ha fatto rinascere Riace accogliendo gli immigrati.
R. Possiamo fare tutti i progetti che vogliamo, ma prima serve un passaggio fondamentale che è quello della volontà. E bisogna poi far capire agli italiani che qui non c’è nessuna invasione. Secondo le ultime statistiche sono quasi più gli italiani che se ne vanno all’estero che gli stranieri in arrivo. Che poi sono in realtà dei richiedenti asilo, tutti da valutare.

D. L’ignoranza sui numeri aiuta le strumentalizzazioni…
R. C’è dietro una volontà politica: siamo in una continua campagna aiutata dall’ignoranza.