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Dublino è morto, lunga vita a Dublino

Dr. Constantin Hruschka, docente all’Università di Bielefeld

Foto di Angelo Aprile, Idomeni

omnia-project-logo-1024x300.pngIl sistema di Dublino è stato dichiarato morto in numerose occasioni nell’arco di un decennio. Si è dimostrato altamente disfunzionale fin dall’inizio, poiché l’assegnazione delle responsabilità non ha avuto gli effetti previsti (come ad esempio la prevenzione dei “rifugiati in orbita” e dell’ “asylum shopping”). Nondimeno, procedure e trasferimenti secondo il regolamento Dublino continuano ad avvenire e il sistema è ancora operativo. E continuerà ad esserlo, visto che la proposta della Commissione divulgata il 4 maggio 2016 costituisce un cambiamento nella continuità, piuttosto che la riforma che sarebbe necessaria per un sistema più efficiente ed agile.

Nella valutazione del sistema di Dublino del 2007, la Commissione Europea ha già descritto questi effetti e suggerito una riforma, che all’epoca consistette nel Regolamento (CE) n. 343/2003 (“Regolamento Dublino II”) e nel Regolamento (CE) n. 2725/2000 (“Regolamento Eurodac”), nonché nei relativi Regolamenti di Esecuzione (Regolamento (CE) n. 1560/2003 e Regolamento (CE) n. 407/2002). La riforma suggerita è stata discussa tra il 2008 e il 2013, e ha portato all’adozione di Regolamenti redatti per Dublino (Regolamento (UE) n. 604/2013 (“Regolamento Dublino III”)) e per Eurodac (Regolamento (UE) n. 603/2013) nel 2013, e a cambiamenti nel Regolamento di Esecuzione di Dublino (Regolamento (UE) 118/2014). Gli scopi principali delle modifiche erano aumentare l’efficienza del sistema e fornire standard di protezione più alti per i richiedenti asilo.

Le sfide di carattere pratico sono rimaste: dalle difficoltà nella cooperazione tra i singoli stati membri nelle procedure di assegnazione di responsabilità, alle questioni pratiche per l’aumento di trasferimenti, fino al problema del reale accesso dei richiedenti asilo alle procedure per ottenere protezione internazionale. A seconda delle prospettive degli analisti, i capri espiatori per questi malfunzionamenti erano gli stati membri, le amministrazioni nazionali, i tribunali, i richiedenti asilo o il sistema di per sé.

Messa sotto pressione dalla cosiddetta “crisi migratoria” del 2015, la Commissione ha annunciato il 4 maggio 2016, come primo passo di una revisione completa del CEAS (Sistema di Asilo Comune Europeo), una redazione del Regolamento di Dublino (“Dublino IV”), una redazione del Regolamento Eurodac e una proposta per istituite una Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo. Le ultime due proposte sono meno rilevanti per il meccanismo di assegnazione delle responsabilità, in quanto sarebbero usate solo come strumenti per aumentare l’efficienza dell’intero CEAS in un contesto migratorio più ampio, e perciò non verranno analizzate in questo articolo. Questo, infatti, vuole spiegare ed analizzare le nuove proposte da una duplice prospettiva sulla base degli scopi che le rifusioni del 2013 si erano poste: ovvero capire se la nuova proposta porterà ad una maggiore l’efficienza, e se, in secondo luogo, questa garantirà il rispetto dei diritti umani.

La proposta Dublino IV mira a preservare il sistema Dublino come “pietra angolare” del CEAS. I cambi proposti dovrebbero:

  • i. snellire le regole di Dublino “per permettere l’effettiva operatività del sistema, in relazione sia ad un accesso più agevole dei richiedenti alla procedura per richiedere protezione internazionale sia alla capacità delle amministrazioni degli stati membri di applicare il meccanismo”;
  • ii. contribuire alla prevenzione “di movimenti secondari attraverso l’UE, anche scoraggiando abusi e asylum shopping”;
  • iii. fornire “strumenti che rendano possibili risposte adeguate a situazioni di pressione sproporzionata sui sistemi di asilo degli stati membri” attraverso un “meccanismo di distribuzione correttiva” che assicuri un “alto grado di solidarietà e condivisione equa delle responsabilità” tra gli stati membri.

Lo scopo ultimo è quello di costruire una base solida per una politica di asilo europea equa e sostenibile.

Questo post spiega e analizza perché la nuova proposta probabilmente non aumenterà l’efficienza pratica del sistema, e fino a che punto è incompatibile con i diritti fondamentali e i principi generali della Comunità Europea, oltre che con il diritto internazionale.

Lo snellimento delle regole di Dublino è destinato a fallire

La proposta identifica – in linea con la comunicazione del 6 aprile 2016 – la mancanza di regole più agili e i movimenti secondari come la sfida primaria per il sistema di Dublino. Perciò, le misure atte a snellire le regole e a prevenire i movimenti secondari costituiscono una parte fondamentale della proposta. La varietà di queste proposte va dalla semplice eliminazione di misure obsolete o di fatto irrilevanti a cambiamenti sostanziali. Esempi del primo tipo sono l’abolizione del criterio di permanenza illegale (Articolo 13 (2) del Regolamento Dublino III) e del meccanismo di conciliazione (Articolo 37 del Regolamento Dublino III). Esempi del secondo tipo sono la possibilità di trasferire i beneficiari della protezione internazionale seguendo le regole di Dublino (Articolo 18 (1)(e) della proposta), i cambiamenti riguardanti i limiti temporali e le nuove regole per le procedure di take-back, ossia di rientro in uno stato che ha già cominciato ad esaminare la richiesta di asilo del soggetto interessato.

Dal punto di vista del miglioramento pratico, alcuni cambiamenti proposti sono destinati a fallire. Questo vale soprattutto per la nuova proposta di “procedura pre-Dublino”. L’articolo 3(3) della proposta stabilisce l’obbligo, per lo stato membro dove è stata originariamente inoltrata la domanda di asilo, di decidere se ci sono motivi per dichiarare l’inammissibilità o per avviare procedure accelerate – come previsto dalla Direttiva sulle Procedure per l’Asilo – prima di portare avanti l’iter per la determinazione della responsabilità. Queste procedure saranno avviate se potranno essere applicate le norme del paese terzo sicuro, del primo paese ospitante o del paese sicuro di origine, oppure se il richiedente asilo verrà considerato, per ragioni serie, un pericolo per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico. Lo stato membro che porti avanti una procedura simile sarà anche responsabile per la procedura di asilo (articoli 3(4) e 5 della proposta). Questa conseguenza sarà d’ostacolo alla rilevanza pratica dell’inammissibilità e delle procedure accelerate, poiché gli stati membri, come evidenziato ad esempio dalla valutazione del 2007, in genere sono riluttanti ad assumersi responsabilità che esulino dall’ordine consueto.

Molti dei cambiamenti proposti menzionano la necessità di informare chiaramente il richiedente asilo “che il diritto di richiedere la protezione internazionale non implica, da parte del richiedente, il diritto di decidere quale stato membro sarà responsabile ad esaminare la domanda di protezione internazionale” (con aggiunta di enfasi). Come primo passo, la proposta prevede l’obbligo per lo stato membro che conduca la procedura di Dublino di informare il richiedente riguardo questo aspetto del sistema (Articolo 6 (1)(a) della proposta).

Ulteriori misure amministrative a questo riguardo sono:

– l’abolizione del limite di 12 mesi per l’applicabilità del criterio di entrata illegale (articolo 15 della proposta),

– l’introduzione degli “avvisi di take-back” invece delle “richieste di take-back” (articolo 26 della proposta),

– l’abolizione delle condizioni per una “cessazione di responsabilità” al momento contenute nell’articolo 19 del Regolamento Dublino III, e

– l’abolizione dei vincoli temporali nelle procedure di take-back e di trasferimento (articoli 26 e 30 della proposta).

L’articolo 19 al momento contempla la possibilità di una cessazione di responsabilità se il richiedente asilo ha ricevuto un documento di residenza al di fuori dello schema di asilo, o se si è allontanato per un certo periodo dal territorio degli stati membri, o dopo una decisione di rimpatrio o in seguito ad un ordine di rimozione. I cambiamenti ai limiti temporali prevedono anche una significativa riduzione dei limiti per i passaggi procedurali (articolo 21pp della proposta).

Queste proposte porterebbero al ritorno della situazione della Convenzione di Dublino, con limiti di tempo più brevi ma non vincolanti. Uno dei motivi principali per l’introduzione di tali limiti fu la constatazione che l’assenza di essi creava dei “richiedenti asilo in orbita” per periodi di tempo più lunghi. Inoltre, il limite per depositare le domande di take-back venne introdotto dal Regolamento Dublino III esplicitamente per evitare ulteriormente queste situazioni. È difficile immaginare che questo problema non sarà accentuato dal ritorno ad un sistema di scadenze brevi e spesso non vincolanti.

Infine, un punto non meno importante è che la Commissione intende limitare la possibilità per gli stati membri di applicare clausole discrezionali (articolo 19 della proposta). Si suggerisce che tali clausole possano essere applicabili solo finchè la procedura di determinazione delle responsabilità è ancora in corso, e solo per motivi familiari. L’uso delle clausole per ragioni culturali o umanitarie non sarà più possibile. Questa limitazione è problematica sotto molti punti di vista. Da una prospettiva umanitaria, si può prevedere che una limitazione del tipo di clausole applicabili contribuirà ad aumentare il numero dei “rifugiati in orbita”.

Prevenire i movimenti secondari violando i diritti umani

In una certa misura, la proposta della Commissione ha l’obiettivo di contrastare il fenomeno dei “rifugiati in orbita” introducendo un articolo sugli obblighi dei richiedenti asilo (articolo 5 della proposta), che include:

– l’obbligo di presentare richiesta di asilo nello stato membro in cui si è entrati originariamente;

– l’obbligo di fornire velocemente tutti gli elementi ed informazioni che siano rilevanti per la procedura di Dublino e

– l’obbligo di attenersi alle decisioni di trasferimento e di essere presente e disponibile verso le autorità al riguardo.

L’inadempienza sarà sanzionata: secondo l’articolo 6 della proposta, la procedura verrà condotta molto più rapidamente in queste situazioni, e il richiedente “non avrà diritto alle condizioni di accoglienza enunciate negli articoli dal 14 al 19 della Direttiva 2013/33/UE, con l’eccezione dei servizi sanitari di emergenza” durante la procedura. Un accesso così limitato ai diritti sociali è incompatibile con gli standard dei diritti umani stabiliti dalla Convenzione del 1951, dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dalla Carta dei diritti fondamentali. In più, la natura costrittiva di questa misura creerà anche problemi legati ai diritti umani e costituzionali di difficile risoluzione nella maggior parte degli stati membri, la cui costituzione spesso garantisce un accesso minimo ai diritti sociali.

Anche alcune delle altre restrizioni previste sollevano gravi interrogativi riguardo i diritti umani. Tra l’altro, viene proposto di limitare l’applicabilità del diritto di appello. Esso sarà garantito soltanto nei casi di mancanze generalizzate e per motivi familiari (articolo 28 della proposta). Questa proposta è stata introdotta nonostante presso la Corte Giustizia dell’Unione Europea sia pendenti dei casi rispetto alla legittimità di tali limitazioni (si vedano ad esempio i casi Ghezelbash, Karim e Shiri). Dal mero punto di vista del diritto europeo, è difficile immaginare che le limitazioni proposte possano non violare gli standard stabiliti dalla giurisprudenza fin da Van Gend e Loos. Inoltre, la proposta di un uso più estensivo di Eurodac e i relativi obblighi di raccogliere i dati ed inserirli in Eurodac (articoli 22 e 23 della proposta) sollevano molti dubbi circa la loro compatibilità con i principi della protezione dei dati.

La Commissione propone l’applicazione delle norme della procedura di Dublino ai beneficiari di protezione internazionale (articolo 18 (1)(e) della proposta). Questa proposta solleva ulteriori questioni riguardo ai diritti umani, poiché il sistema non è pensato per essere applicato a persone che avrebbero un diritto reale a risiedere in uno degli stati membri. Dalla prospettiva di Schengen, la compatibilità di questa proposta con l’articolo 6(2) della Direttiva Rimpatri è quantomeno dubbia. Inoltre, tali restrizioni per i beneficiari di protezione internazionale risultano a dir poco paradossali in un’area di libera circolazione.

La proposta prevede che in caso di assenza di familiari o parenti, il paese dove è stata presentata la prima richiesta di asilo sia responsabile ad esaminare la richiesta di un minore non accompagnato (articolo 8 (4) e articolo 10 della proposta). Questo è molto problematico dal punto di vista umanitario e le misure proposte sono anche in conflitto con diverse sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Da un punto di vista pratico, si può prevedere che il necessario “accertamento del miglior interesse del/della minore” prima di un trasferimento condurrà a un’applicazione non uniforme della norma, visto che gli stati membri hanno approcci differenti alla protezione dei minori durante le procedure di asilo. La situazione probabilmente si presenterà eterogenea com’era prima delle sentenze della Corte di Giustizia Europea.

Due dei cambiamenti previsti potrebbero estendere la compatibilità del sistema con i diritti umani. La prima proposta riguarda l’estensione della definizione di familiari ai fratelli e l’abolizione della necessità che la famiglia esistesse già nel paese di origine (articolo 2g della proposta). Questi cambiamenti non risolveranno tutti i problemi pratici correlati in questo campo, ma sono passi importanti verso una maggiore protezione dell’unità familiare. La seconda proposta prevede una durata massima della detenzione secondo Dublino di sei settimane (articolo 29 della proposta), mentre il sistema attuale permette un massimo di dodici settimane.

Assegnazione delle responsabilità in situazioni di pressione sproporzionata

La Commissione propone l’abolizione del meccanismo di allerta precoce, prontezza e gestione della crisi (Articolo 33 del Regolamento Dublino III). E suggerisce di introdurre, come strumento utile in caso di pressione sproporzionata sugli stati membri, un meccanismo di assegnazione correttiva. Tale meccanismo (articolo 34 della proposta) sembra essere impraticabile amministrativamente e illusorio politicamente, guardando alla discussione in corso fin dal primo tentativo di introdurre una procedura simile, come parte della proposta Dublino III (articolo 31 della proposta Dublino III del 2008). Anche le difficoltà attuali nel predisporre il meccanismo di ricollocazione introdotto nel 2015 spingono a domandarsi se sarebbe effettivamente possibile organizzare i trasferimenti necessari. Nondimeno, la ricerca di nuove vie per l’assegnazione delle responsabilità è imprescindibile per mettere insieme un CEAS che faccia davvero quel che un sistema di asilo dovrebbe fare: fornire protezione alla persona che ne ha bisogno.

Conclusione

La proposta è stata decisamente influenzata dalla valutazione dell’applicazione del Regolamento Dublino III e della praticabilità amministrativa del sistema Dublino, valutazione condotta dalla Commissione. A primo impatto, la valutazione sembra essere stata condotta in modo frettoloso e poco zelante, dato che la proposta redatta dà l’impressione di un certo disorientamento riguardo al contesto politico e alla memoria storica: molte delle “nuove” misure proposte sono state già “testate” (senza successo) in “versioni” precedenti del sistema Dublino, o sono già state proposte (senza successo) in un clima politico più favorevole.

Inoltre, le misure proposte nella loro totalità sembrano essere guidate dall’idea, non validata scientificamente, che lo stimolo principale ai movimenti siano le caratteristiche divergenti dei sistemi di asilo degli stati membri. In queste misure, il CEAS è descritto come un sistema autoreferenziale che innesca fattori di spinta e di attrazione. Le principali ragioni scientifiche per i movimenti, come legami familiari, motivi culturali o le condizioni economiche di un paese specifico sono largamente ignorate dalle misure proposte. La proposta si concentra su misure che limitano significativamente la possibilità di accedere al sistema di asilo di qualsiasi altro stato che non sia quello di arrivo. La proposta della Commissione solleva seri interrogativi sul ruolo della Commissione stessa come guardiano dei Trattati nel processo di costruzione del CEAS. La proposta nel suo insieme è frammentaria e contiene già diverse misure che contribuirebbero ad un malfunzionamento del sistema Dublino. In più, i diritti individuali dei richiedenti asilo diminuirebbero notevolmente se la proposta redatta fosse approvata nella sua forma attuale.

Infine, i cambiamenti proposti non affrontano in modo efficace né i principali problemi di ordine pratico (riguardanti i trasferimenti) né i principali problemi legali. A mio parere, il problema legale fondamentale del meccanismo di assegnazione delle responsabilità sta nel fatto che esso è stato creato prima che venissero definiti standard comuni, e che non c’è nessuna autorità centrale che tenda ad unificare le procedure (non esiste un’autorità di prima istanza o di appello a livello europeo). Da un punto di vista più generale, le grandi divergenze nei sistemi di asilo nazionali hanno contribuito alle difficoltà nella gestione del sistema. Il sistema Dublino è attualmente un sistema di sistemi di asilo nazionali e non un Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS). Per varie ragioni, che in ultima analisi dipendono dalle tradizioni nazionali e dalle relative impronte dei sistemi amministrativi, queste divergenze resteranno, anche se gli standard comuni stabiliti per il CEAS, basati sulla Convenzione per i Rifugiati del 1951 e sulla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, hanno avuto come risultato un certo grado di armonizzazione tra gli stati membri. In questo contesto, la creazione di un’Agenzia Europea per l’Asilo sarebbe un passo in avanti molto importante per il sistema, nonostante la sua creazione sembri al momento una prospettiva completamente irrealistica ed illusoria. Nel frattempo, le difficili questioni legali e pratiche del sistema Dublino rimarranno una parte fondamentale del dibattito sul CEAS in generale. In questo senso, Dublino è decisamente vivo.
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