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Emergenza casa. La vicenda di Sesto Fiorentino e le vere priorità

Nei giorni in cui il ministro Minniti prepara una stagione di criminalizzazione dei migranti, a Sesto Fiorentino la vicenda di Alì Muse, rifugiato politico somalo, dovrebbe, se non fosse chiaro, far capire che nel Paese le emergenze vere sono altre e che la precarietà abitativa già colpisce e rischia di colpire tantissimi dei migranti che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale o il permesso umanitario.
La storia di Alì, morto nell’incendio divampato l’11 gennaio nello stabile occupato dell’ex mobilificio Aiazzone, è paradigmatica del presente che tantissimi migranti sono costretti a vivere e della mancanza di soluzioni alternative offerte dalle istituzioni. Che si tratti di dignitosissimi edifici occupati o di ghetti improvvisati contigui alle zone dello sfruttamento lavorativo, il tratto comune che caratterizza queste sistemazioni è quello della incertezza assoluta, tra miseria e mancanza delle condizioni base di sicurezza.
Nel caso di Sesto Fiorentino le istituzioni non possono far finta di non sapere che il problema abitativo perdurava da due anni. Il Movimento di Lotta per la Casa di Firenze ha denunciato che “le istituzioni sapevano benissimo da due anni che all’interno dell’ex-mobilificio, in condizioni più che precarie, vivevano più di cento richiedenti asilo somali“. I richiedenti asilo in precedenza erano stati sgomberati da altre occupazioni abitative e lasciati in strada dopo la fine dei progetti di accoglienza, che non avevano garantito nessuna opportunità di inclusione sociale.
Per il Movimento di Lotta per la Casa “in due anni, le istituzioni si sono ricordate dei rifugiati dell’ex Aiazzone solo quando si è trattato di portare operai, ruspe e reparti di polizia in assetto anti-sommossa per sabotare l’allaccio dell’energia elettrica degli occupanti. Per rendere ancora più precaria (e pericolosa) la fornitura, oltre che la vita degli abitanti”.

La “soluzione” delle istituzioni: cariche e dormitori dell’emergenza freddo

I rifugiati, che si erano visti chiudere le porte in faccia dal Prefetto il giorno successivo alla tragedia, hanno deciso di far sentire la loro voce sabato scorso durante l’incontro tra la Prefettura, la Regione Toscana e i Comuni. Nel loro comunicato di indizione del presidio spiegavano che non potevano accettare proposte di accoglienza temporanea legate dell’emergenza freddo con dormitori, sparsi in tutta la provincia di Firenze, in cui è possibile stare solo dalle 20 alle 7, “perché non vogliamo trovarci fra un mese nella stessa situazione di ora, ignorati da tutti, aspettando che un altro nostro fratello muoia“.
Ognuno di noi – avevano aggiunto – prima di entrare all’ex-Aiazzone, è passato da tanti “progetti” di questo tipo. Quando scadeva il tempo, siamo sempre stati scaricati. Siamo sempre tornati nelle stessa situazione: ovvero senza nulla, nemmeno un tetto sopra la testa“.
I rifugiati sono in Italia da 5, 10 e 15 anni e sono entrati ed usciti da vari progetti di accoglienza lamentando “che questo tipo di “accoglienza” costa tantissimo allo Stato e serve solo ad arricchire le cooperative che la gestiscono“.
Le loro parole bene esprimono il fallimento del sistema d’accoglienza italiano dei grandi centri-lager, utili per fare affari e per lo scambio di voti, come insegna, ad esempio, la gestione del CARA di Mineo. Quello che i rifugiati vogliono è semplicemente “una soluzione stabile e dignitosa” perché è “un diritto nostro e di tutti i cittadini italiani senza casa“.
La richiesta finale era chiara quanto semplice: “vogliamo partecipare al tavolo con alcuni nostri rappresentanti per trovare soluzioni vere, dignitose e stabili“.
La risposta delle istituzioni invece è stata di chiusura e di incapacità nel proporre soluzioni reali ed accettabili, con una decisione presa senza consultare la delegazione dei rifugiati e lasciando alla questura una gestione muscolare e violenta della piazza. Ci sono state cariche contro i migranti che volevano entrare nel palazzo e le persone solidali che stavano supportando questa lotta.
Ieri mattina è arrivata dagli assistenti sociali la proposta dell’accoglienza emergenziale che ha trovato il netto rifiuto dei rifugiati di ex Aiazzone ad una soluzione temporanea ed inadeguata. Firenze dal Basso riporta che “le persone malate o invalide hanno chiesto di sapere con precisione (scritto nero su bianco) il luogo, le condizioni e la durata della permanenza. Come ripetono da giorni, nei video che abbiamo girato, questi ragazzi pretendono diritti e dignità “.
In un città vetrina come Firenze emergono altre situazioni estremamente precarie, come quella denunciata da Redattore Sociale nel reportage sull’occupazione negli ex magazzini dell’ospedale Meyer, dove 50 somali vivono in condizioni durissime. “Sembra di entrare all’inferno, nel sottosuolo della disperazione, con i treni della ferrovia che passano sopra e rumoreggiano giorno e notte. I tetti sono bassi e sgretolati” scrive il giornalista.

Casa e diritto alla salute negati

E di situazioni analoghe l’Italia ne è piena: secondo il rapporto “Fuori Campo” di Medici Senza Frontiere, frutto di una ricerca svolta nel 2015, “almeno 10.000 richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono al di fuori del sistema di accoglienza, in condizioni di precarietà e marginalità, senza alcuna assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche, in decine di siti informali sorti spontaneamente lungo la penisola“. I dati aggiornati a fine 2016 non sono ancora disponibili, ma leggendo la cronaca di certo la situazione non appare migliorata, anzi, anche quelle occupazioni abitative che tamponano l’emergenza casa vengono puntualmente sgomberate, senza tenere minimamente conto della vulnerabilità delle persone. E anche dove le questure non intervengono, per effetto del mai rimosso art. 5 del Piano Casa di Renzi e Lupi viene negato il diritto alla residenza e i servizi fondamentali che ne conseguono, nonché l’allacciamento ai pubblici servizi come luce, acqua e gas. A Sesto Fiorentino, i rifugiati nel gennaio 2016 si erano visti il distacco proprio della luce.

Come ogni inverno l’allarme per il freddo e il gelo porta alla cronaca e alla memoria delle istituzioni che esiste nel Paese un problema serio di emergenza sociale e che occorrono investimenti per garantire diritti elementari come quello alla casa e alla salute. Ma per il governo la priorità è quella di utilizzare le risorse pubbliche contro i diritti dei migranti, per riaprire gli inumani CIE, sostenere economicamente i governi corrotti africani, addestrare la guardia costiera libica, aumentare i rimpatri forzati.

Stefano Bleggi

Coordinatore di  Melting Pot Europa dal 2015.
Mi sono occupato per oltre 15 anni soprattutto di minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta e richiedenti asilo; sono un attivista, tra i fondatori di Libera La Parola, scuola di italiano e sportello di orientamento legale a Trento presso il Centro sociale Bruno, e sono membro dell'Assemblea antirazzista di Trento.
Per contatti: [email protected]