Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

di Ivana Abrignani

Emergenza ebola – Il razzismo è una malattia contagiosa

Dopo Padova anche Telgate (Bg), Musile (VE), Cossato (BI) e Borgosesia (VC) emanano la loro inutile ordinanza

Nota redazionale
C’è una vera e propria emergenza contagio, ma non riguarda certo la diffusione della malattia che sta impegnando nel monitoraggio l’OMS coadiuvata da altre autorità internazionali e dai ministeri competenti.
Quella che invece sembra affliggere in maniera incurabile le nostre piccole province del Nord è un’emergenza ben diversa: si tratta delle ordinaze “anti-ebola” (leggasi anti immigrati) che in diversi comuni sono state emanate per far fronte a presunte siituazioni di allarme sanitario locale.
Ad fare scalpore era stato il Sindaco di Padova Massimo Bitonci con il porvvedimento firmato lo scorso 17 ottobre. Una’ordinanza a dir poco incredibile. Il Sindaco infatti già nei suoi considerando non lasciava spazio a dubbi: “il problema sono i profughi” ci diceva in sintesi nelle premesse dell’ordinaza. E così ecco che lanciava il suo antidoto in due punti tanto chiari quanto utili: divieto di dimora nei centri di accoglienza per chi non avesse un certificato medico e obbligo di certificato medico per gli stranieri irregolari. A breve, proprio contro l’ordinanza di Padova, verrà notificato il ricorso presentato dall’Associazione Razzismo Stop e Asgi, in collaborazione con Melting Pot Europa e con il sostegno di moltissime associazioni locali.

Ma Padova non è stata l’unica a dotarsi della sua ordinaza anti-ebola. Ed ecco che la malattia del razzismo, per fortuna ancora circoscritta, si è diffusa anche in altri comuni. Prima Musile di Piave in Provincia di Venezia, poi Telgate in Provincia di Bergamo, poi ancora Cossato in Provincia di Biella. Anche loro hanno confezionato la loro inutile ordinanza per rispondere alla diffusione di malattie infettive, l’ebola in primis.
I testi sono pressoché identici.
Ma per la verità il precursore delle ordinaze contro l’ebola era stato il Sindaco del comune di Borgosesia, in Provincia di Vercelli, con un provvedimento del 14 ottobre dal testo assai diverso da quello emanato dai suoi successori. L’ordinanza di Borgosesia infatti impone controlli medici ai cittadini dei paese colpiti dall’ebola e a chi ritorna da viaggi proprio da quei paesi.

Pubblichiamo di seguito, oltre al testo delle ordinaze, un contributo di Ivana Abrignani che cerca di approfondire il tema della diffusione dell’ebola inquadrando più in generale le condizioni dentro cui queste malattie si sviluppano e si diffondono.

Ordinanza del Sindaco di Musile di Piave n. 100 del 10 novembre 2014
Ordinanza del Sindaco di Telgate n. 50 del 26 novembre 2014
Ordinanza del Sindaco di Borgosesia n. 2754 del 14 ottobre 2014
Ordinanza del Sindaco di Padova n. 42 del 17 ottobre 2014


Emergenza ebola, quando il problema ci tocca, solo per accidente

Guardiamo con ammirazione al continuo aumento dell’aspettativa di vita e di buona salute in alcune parti del mondo, e con allarme al fallimento del miglioramento in altri (1).

Quest’articolo nasce da una notizia da prima pagina, che riferisce il contagio di un medico italiano in Sierra Leone, per fortuna il paziente sta bene ci confermano, curato con un farmaco sperimentale. Mi risuona in mente la rassicurazione da parte dei nostri politici, “Abbiamo macchine e medici unici al mondo, abbiamo la situazione sotto controllo”, e contemporaneamente la stima di persone contagiate e morte a “causa”dell’Ebola. Finora sono state circa venti le persone evacuate dai paesi colpiti dall’epidemia di cui dieci in Europa, in rapporto alle sei mila persone del continente africano; questo a sottolineare non la gara delle morti, ma l’uso inappropriato del termine “emergenza”, molto di moda oramai (“emergenza migranti, emergenza sbarchi, emergenza Aids, emergenza Ebola”).

Viene definita emergenza ciò che riguarda gli altri e che prima o poi potrebbe venir a intaccare il nostro territorio; va da sé che non è difficile associare le “varie emergenze”, dimostrazione di questi facili scivoloni sono le parole di Beppe Grillo, sul suo blog: «Chi entra in Italia con i barconi è un perfetto sconosciuto: va identificato immediatamente, i profughi vanno accolti; gli altri, i cosiddetti clandestini rispediti da dove venivano. Chi entra in Italia sia sottoposto a visita medica obbligatoria all’ingresso per tutelare la salute sua e degli italiani». Secondo Grillo i recenti fenomeni globali, dalla diffusione dell’Ebola all’Isis avrebbero contribuito a “produrre flussi migratori insostenibili”, l’Ebola sta penetrando in Europa ed è solo questione di tempo perché in Italia ci siano i primi casi (2).
Così, ad esempio anche l’Australia chiude le porte ai cittadini dell’Africa occidentale per prevenire l’arrivo di Ebola. Il governo ha infatti annunciato una serie di misure che mirano a sospendere l’immigrazione proveniente dai paesi più colpiti dal virus, nel tentativo di impedirne l’arrivo sul proprio territorio. La prima misura è quella dello stop temporaneo al rilascio dei visti per chi proviene da Sierra Leone, Liberia e Guinea, paesi a cui si applicano i provvedimenti messi a punto da Canberra (3).
In risposta all’epidemia di Evd (Ebola virus disease) che ha interessato diversi paesi in Africa occidentale nel 2014, il Ministero della salute ha emanato nuove circolari per rafforzare la sorveglianza ai punti di ingresso internazionali, la segnalazione e la gestione di eventuali casi sospetti di Evd, sono state inoltre emanate soprattutto raccomandazioni per viaggiatori internazionali (4). Silvia Testi, reponsabile dell’Ufficio Africa di Oxfam Italia, spiega: «Secondo le stime della Banca Mondiale la diffusione dell’Ebola costerà alla Sierra Leone 163 milioni di dollari (il 3,3% del PIL) e alla Liberia 66 milioni (il 12% del PIL). La chiusura dei confini ha ridotto drasticamente il commercio transnazionale, mentre il lavoro agricolo è stato interrotto, ne consegue che c’è meno cibo nei mercati locali e quello che c’è è molto più costoso. In alcune aree questo significa che le persone stanno già fronteggiando una grave scarsità di cibo, soprattutto in Liberia e Sierra Leone, due paesi dove l’agricoltura è più diffusa».

Indubbiamente, nel corso degli ultimi cinquant’anni si sono verificate grandi trasformazioni tecnologiche in campo medico, e senz’altro se ne verificheranno ancora. In ogni caso, bisogna ricordare che i maggiori progressi nella salute e nell’aspettativa di vita del ricco Occidente non debbono molto a interventi medici ad alta tecnologia. Allo stesso modo, le malattie che affliggono ancora oggi la maggior parte dell’umanità e continueranno a farlo, in un ipotizzabile futuro, non richiedono soluzioni tecnologicamente raffinate- semplicemente acqua pulita, cibo a sufficienza, stipendi decorosi e politici e burocrati moderatamente competenti- e sembra improbabile che gli sviluppi della biomedicina migliorino significativamente tali aspetti (5).
A questo proposito, propongo un’intervento di Aldo Morrone, consulente dell’ OMS e del ministero della salute, sulla questione: «L’Ebola è la punta di un iceberg, e al di sotto di questo iceberg c’è il disinteresse del Nord del mondo per le malattie infettive che continuano a mietere vite senza sosta. Vogliamo parlare di Ebola? Benissimo. Prima però, ricordiamo qualche numero. Finora ci sono stati circa tremila casi di febbre emorragica. Ogni anno la diarrea infantile uccide due milioni di bambini tra l’Africa e il sud est asiatico, mentre la tubercolosi, trasmissibile per via aerea, ne fa morire un milione. Le cifre parlano da sole, penso» (6).
Questo è ciò che la Schoepf chiama “ecologia politica della malattia”, che sarà in larga misura a determinare perché alcuni individui piuttosto che altri abbiano una maggiore probabilità di ammalarsi. Chiaramente cattiva alimentazione, riparo inadeguato, assistenza sanitaria inefficace, contribuiscono a una scarsa risposta immunitaria e una maggiore vulnerabilità a prendere infezioni.
Se, dunque la malattia è spesso legata alla violazione dei diritti fondamentali, allora la terapia più adeguata è senza dubbio la promozione di quei diritti e della giustizia sociale (7). Ecco che qui si inserisce il concetto di violenza strutturale, ovvero quel particolare tipo di violenza che viene esercitata in modo indiretto, che non ha bisogno di un attore per essere eseguita, che è prodotta dall’organizzazione sociale stessa, dalle sue profonde diseguaglianze e che si traduce in patologie, miseria, povertà, mortalità infantile, abusi sessuali.

La malattia, la violenza e la morte, sono state spiegate come effetti di inevitabili sventure casualmente e geograficamente distribuite, come effetti di costumi locali dei paesi del terzo mondo, più che in termini di differenze di distribuzione del potere tra paesi e gruppi sociali. Se, la violenza strutturale affonda le sue lame attraverso la limitazione della capacità d’azione dei soggetti che occupano le posizioni più marginali all’interno dei contesti segnati da profonde diseguaglianze sociali, ecco che l’Ebola, l’Hiv, la Tubercolosi, la Violenza politica e di genere, le Discriminazioni razziali vengono a configurarsi come specifiche modalità in cui la sofferenza sociale si materializza nella vita delle persone, come incorporazione di più ampi processi sociali: la natura viene così socializzata, il corpo emerge a processo storico, il rischio statistico e un beffardo destino si trasformano in responsabilità politica. A questo punto si può parlare di vere e proprie “patologie del potere”, di cui la biomedicina coglie tracce individuali, attraverso un linguaggio riduzionistico, senza però riuscire a far luce sul processo che ne costituisce l’ampia realtà (8).

I toni sono di allarme e preoccupazione: “Misure di sorveglianza per contrastare la diffusione dell’Ebola” è il titolo di una delle circolari che il Ministero della Salute ha emesso in questi giorni, ma il problema riguarda i crescenti sbarchi di immigrati provenienti dalle coste africane che potrebbero portare da noi malattie gravi come l’Ebola e la Tubercolosi.
In particolare si stanno prendendo misure di protezione sui punti internazionali d’ingresso: porti, areoporti, frontiere (9); mari, cieli e terre di un unico universo.

Il fatto stesso che l’Ebola venga definita esclusivamente, riducendo, per questioni logistiche, ai minimi termini lo studio antropologico al riguardo, nella sua accezione bio-medica quindi mera patologia (disease), e neanche lontanamente individuale (illness) e sociale (sickness), dovrebbe farci riflettere. Non tenere conto anche di questi significati, può pregiudicare gli “aiuti” che offriamo a questi paesi, poichè del resto la malattia non è altro che un riassunto che mette insieme dei fatti proiettandoli sul palcoscenico del corpo.

Note:
(1) U. Pellacchia, F. Zanotelli, La cura e il potere, salute globale, saperi antropologici, azioni di cooperazione sanitaria transnazionale, Catania, Ed.it, 2010 , p.50
(2) M. Zapparoli, “M5S: su immigrazione ed ebola Grillo sbaglia”, 23/10/2014
(3) F.Q., “Ebola, Australia: “Stop immigrazione da Africa, incluso programma umanitario”, 27/10/2014
(4) Ivi
(5) U. Pellacchia, F. Zanotelli, op. cit., p. 128
(6) L. Lippera, “Ebola, l’infettivologo Morrone: « É la prova del nostro disinteresse per la povertà», 01/09/2014
(7) I. Quaranta, Antropologia medica. I testi fondamentali, Milano, Cortina, 2006. , p. 260
(8) I. Quaranta, M. Ricca, Malati fuori luogo. Medicina interculturale, Milano, Cortina, 2012. op. cit., p. 56
(9) Greenreport.it, Quotidiano per un’economia ecologica, 06/11/2014