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Forse non tutti sanno chi sono i “clandestini”

Il "senso comune" tra mistificazioni e realtà. Ma come funziona la legge sull'immigrazione?

“Buon giorno io vorrei regolarizzare questo ragazzo come posso fare?”
Quanti operatori di sportelli, associazioni, servizi degli enti pubblici, hanno sentito pronunciare queste parole?
In quanti a loro volta, per ovvi motivi, hanno dovuto rispondere con un amaro quanto obbligato “non si può fare”?

In questi giorni di grandi mistificazioni, perse tra emergenze ed ondate, ci sono alcune realtà che troppo spesso rischiano di essere dimenticate.
A porre la fatidica domanda in questione sono molto spesso persone che, davanti alla presunta emergenza di turno, quella riferita ai “clandestini” in primis, non esiterebbero probabilmente a pronunciare frasi del tipo: “se uno ha un lavoro può rimanere altrimenti se ne deve andare”.
Ed invece no. Non è così. Ed anche se un cittadino straniero avesse un impiego, un datore di lavoro disposto ad assumerlo, una casa in cui alloggiare, non potrebbe avere comunque un permesso di soggiorno.

Badanti, colf, braccianti dell’edilizia, ma anche magazzinieri, impiegati nel settore turistico, addetti alle pulizie. Tutti con un lavoro ma molti, molto spesso, maledettamente senza permesso. Il cosiddetto “esercito dei clandestini” non è irregolare per scelta.

Forse non tutti lo sanno che chi ha un lavoro ed una casa non automaticamente potrà avere un permesso di soggiorno.
“Devi attendere il decreto flussi” si dice. Anche se, forse anche questo in pochi lo sanno, non sarebbe possibile richiedere l’assunzione per lavoratori già presenti irregolarmente nel territorio italiano.
Il decreto flussi infatti è destinato alla richiesta di assunzione di stranieri residenti all’estero.
Quale datore di lavoro sarebbe mai disposto ad assumere una persona, magari per la cura di un genitore malato, senza mai averla conosciuta? Senza neppure un periodo di prova?

In realtà, è risaputo, le quote del decreto flussi vengono per la quasi totalità destinate a richieste di datori di lavoro che, fingendo la chiamata di un cittadino extracomunitario dal paese d’origine, cercano di aggirare il problema e quindi provano a “regolarizzare” lo straniero “clandestino” già impiegato irregolarmente.
Non vi è altro modo di assumere regolarmente uno straniero e quindi, il “mercato degli irregolari” diventa la risorsa principale da cui attingere, senza contare la convenienza di molti nello sfruttare questa situazione di ricattabilità permanente.

Usare il termine “provano” è d’obbligo, perchè neppure una volta emanato il decreto flussi c’è la sicurezza di poter ottenere il permesso di soggiorno.
La previsione delle “quote di ingresso”, un numero limitato di assunzioni permesse, funziona infatti da imbuto. C’è da sperare di rientrare nel numero di quote messe a disposizione, una vera e propria gara, solitamente giocata ad armi impari, con disponibilità di 3 o 4 volte inferiori alle domande presentate. I numeri dell’ultimo decreto flussi, lo ricordiamo, sono pari a 170.000 posti disponibili a fronte di un numero di richieste pari a 724.000.
Senza contare che poi, i fortunati vincitori della “gara dei flussi” dovranno tornare, sempre irregolarmente, al paese d’origine per ritirare il visto d’ingresso.
Quale badato potrà permettersi di fare a meno dell’assistenza durante il lungo periodo che separa la domanda di assunzione dalla consegna del permesso di soggiorno?
Mesi per il vaglio delle domande, ulteriori lungaggini per il ritiro “clandestino” del visto ed il nuovo reingresso e poi, la lunga trafila del contratto di soggiorno, della richiesta del permesso, della sua consegna. Spade di damocle sui diritti di migliaia di migranti spesso vessati anche se in possesso delle ricevute di richiesta dei permessi (che dovrebbero valere a norma di legge come il permesso stesso).
Ecco cosa significa “produrre clandestinità”. Ecco come la mistificazione che in questi giorni (anche se non è una novità) vive la ribalta dei media e della politica, secondo cui a “clandestino” corrisponde criminale, si scontra con la spietata realtà di una legge che ha fatto degli inceppi burocratici e degli adempimenti paradossali, questioni strutturali nel governo dei flussi migratori.

Ma clandestini non si è per scelta, neppure quando il viaggio di arrivo è quello tragico e rischioso del mare (solo il 12% dei migranti irregolarmente soggiornanti entra in Italia attraversando il mediterraneo).
Eppure, ogni barcone avvistato è carico, si dice, di “clandestini”, senza contare che oltre il 90% degli esodanti del mare (è l’UNHCR a dirlo) è un legittimo beneficiario di protezione internazionale, un profugo o un perseguitato in fuga.

Poche chance anche per quanti vogliono ricongiungersi, regolarmente, con i loro familiari.
Si possono portare in Italia i figli minori, i maggiorenni solo se a carico, la moglie o il marito, mentre per i genitori la riserva è legata all’anzianità: ultrasessantacinquenni e solo se a carico.
Si deve avere un reddito disponibile pari al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale come pure un alloggio adeguato ad ospitare il parente, che dovrà rispondere a requisiti di idoneità difficilmente applicabili alle stesse abitazioni di moltissimi italiani.
Eppure la famiglia non è segno di stabilità e inserimento sociale?

Tra mistificazioni e allarmi, rimane la realtà che fa da sfondo ad una società in continuo mutamento, carica di tensioni, di difficoltà di contraddizioni che la politica e spesso la comunicazione rendono di difficile comprensione.
La ricetta per intervenire in questa trama complessa e difficile da sbrogliare sembra quella della linea dura. Ma davvero per combattere il razzismo o la xenofobia è necessario che sia lo Stato a scagliarsi contro i migranti?

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa

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