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Francia – Calais: la “jungle” che vive

L'evacuazione e la demolizione della bidonville continua

Foto: Calais - Mars 2016 © Pitinome - Collectif OEIL

Parigi – Alzandosi tra il fumo delle capanne bruciate, l’aquilone con i colori nazionali afgani forse attraverserà la Manica, un augurio simbolico per chi resta accampato temporaneamente al di qua del braccio di mare, confine continentale sottoscritto dall’accordo franco-britannico nel 2014.

Sta aumentando il numero delle persone che hanno iniziato lo sciopero della fame insieme ai rifugiati iraniani che hanno protestato cucendosi le labbra contro la distruzione delle case nella bidonville e l’espulsione.

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Si aspetta l’intervento delle spalatrici protette dai plotoni e dai mezzi delle forze dell’ordine per proseguire l’opera di distruzione della bidonville.

La scorsa settimana gli operai avevano lavorato manualmente, spaccando tutto con mazze e utensili meccanici per evitare l’uso dei bulldozer e tentare di non far apparire immagini che evocano nel media la realtà immediata e violenta dell’espulsione brutale di famiglie dalla “jungle” sud, cioè la zona a margine e confine con l’area della piattaforma portuale.

Un quarto della bidonville è già stata svuotata da tende, capanne e roulotte ma soprattutto dalle centinaia di persone che, in parte, sono state obbligate, costrette con la forza perché rimaste senza più alcun riparo, a dirigersi verso il campo della protezione civile ed i container ‘umanitari‘, invivibili e provvisori oltre che strapieni, le proposte alternative di Cazeneuve, ministro dell’Interno francese.

Come indicato dal Tribunale di Lille a seguito del ricorso respinto per bloccare la demolizione della bidonville, i “lieux de vie“, spazi di vita comune, sono stati risparmiati ma si trovano in una no-man’s land il cui l’accesso viene deciso arbitrariamente dai CRS (corpo speciale antisommossa della gendarmeria nazionale) nel corso dei lavori di demolizione e, discrezionalmente, in presenza di cittadini, militanti solidali, giornalisti o semplici testimoni delle ripetute e inefficaci operazioni per allontanare i migranti dalla frontiera con la Gran Bretagna.

Foto: Calais - France, Février 2016 © NnoMan - Collectif OEIL
Foto: Calais – France, Février 2016 © NnoMan – Collectif OEIL

Questa situazione che degenera da mesi, per non parlare di anni, con lo stato d’emergenza prorogato per decreto costituzionale che impedisce alle persone di radunarsi e mobilitarsi induce la protesta a cambiare volto, l’autodifesa dei migranti agli assalti polizieschi con o senza sgombero convive con l’incessante attività che mantiene in vita la bidonville: ristoranti, botteghe, cucina e mensa, scuola, biblioteca e centro di informazione, centro giuridico, medico e sanitario, moschee e chiese, laboratori artigianali, atelier creativi e incontri sportivi….qui più che altrove esistere significa già resistere. Coabitare tra comunità, convivere con volontari più o meno stanziali è ormai un’evidenza per chi abita la “jungle“.

Tra chi, nel kaos totale, tenta ogni sera o quasi di passare il confine e chi pianta fiori e aspira a coltivare orticelli tra le dune e il fango si è costruito un legame di solidarietà nel corso del tempo, ci si rispetta o ci si ignora perché ci si riconosce prima ancora di conoscersi. Una scelta che è condivisa e consapevole e che nessuna Prefetta o Sindaca riescono a negare nonostante la criminalizzazione mediatica degli attivisti genericamente definiti “no-border”.

Inutile stigmatizzare e tentare di isolare gli abitanti e gli occupanti della bidonville dal resto dei “calaisiens” perché dopo una ventennale latitanza del governo sulla questione migranti, la presenza dei migranti è parte integrante della popolazione. Le stesse strutture pubbliche locali, nonostante le difficoltà dovute all’assenza di documenti, si sono per la maggiorparte organizzate per includere i bisogni primari delle persone che si sono installate temporaneamente nella bidonville in seguito allo sgombero degli spazi occupati in città e nei dintorni della città, nella primavera del 2015. Ma lo smantellamento e il tentativo di allontanamento degli migranti di Calais prosegue senza sosta.

Quando arrivano gli operatori e i mezzi che recuperano i rifiuti scortati dalla polizia si assiste nella tensione e nel persistente pericolo di incendi all’esproprio dei beni personali, allo spreco materiale di ciò che è stato costruito grazie alle risorse collettive e all’impegno economico delle associazioni che aiutano i rifugiati. La scuola è ormai diventata un rifugio per tutti, lì si distribuiscono cibo e beni di prima necessità, tende, coperte, e si permette una sosta al caldo per chi ha perso di nuovo tutto. Non c’è attualmente alcuna possibilità di accoglienza e di ospitalità per i 6.000-8.000 migranti migranti rimasti nella “jungle“.