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Gambia – Protezione sussidiaria al richiedente. Il paese è ancora lontano da una effettiva democrazia e certezza di tutela dei diritti umani

Corte d'Appello di L’Aquila, sentenza n. 576 del 6 aprile 2017

Migranti diretti in Libia accalcati nel vano posteriore del furgone che li porta a nord del Sahara, a 1.000 km da Agadez, Niger. Foto di Mackenzie Knowles-Coursin

La Corte di Appello di L’Aquila con questa sentenza accoglie la richiesta di protezione sussidiaria presentata da un cittadino del Gambia, ai sensi dell’art. 14 lett. B) D.Lgs 251/2007 in ragione di una fattispecie di “danno grave”.

La Corte Distrettuale ha concesso la richiesta protezione sussidiaria, in primo luogo in considerazione “della sostanziale attendibilità della vicenda personale del ricorrente nei termini riferiti in sede di audizione amministrativa“, poiché risulta che lo straniero “è fuggito dal Gambia, ove vigeva il regime dittatoriale del Presidente Yahua Janneh, a seguito di un arresto illegale e di torture subite da parte della polizia, in quanto sospettato di far parte di un gruppo di opposizione al regime presidenziale, condannato a sei mesi di carcere e rilasciato dopo 4 mesi“, nonché accusato di omosessualità per essere stato visto in compagnia di turisti omosessuali (pagg. 7-8 sentenza).

In secondo luogo, la sentenza, pur dando atto della circostanza che “dopo le elezioni politiche del dicembre 2016, a seguito dell’elezione di Adama Barrow, la situazione politica sembra avviata ad una certa stabilizzazione, ma la situazione è ancora difficile e non ancora sotto il pieno controllo delle nuove autorità“. Ed, infatti, le fonti reperibili evidenziano che “Barrow dovrebbe gestire l’eredità dell’ex presidente Jammeh tra i servizi di sicurezza e un corpo paramilitare altamente addestrato e armato. Dopo 22 anni di relazioni gravemente tese tra i civili e le forze armate, per far tornare la fiducia serviranno più dei tre anni del mandato di Barrow“.
In tale contesto – conclude la Corte di Appello di L’Aquila – tenuto conto della situazione personale del ricorrente (già arrestato e torturato per ragioni collegate a militanza politica e all’orientamento sessuale), “sussistono fondati motivi per ritenere che il rientro nel suo paese d’origine, ancora lontano da una effettiva democrazia e certezza di tutela dei diritti umani, potrebbe esporre il medesimo a pericolo di essere nuovamente arrestato e quindi di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, configurandosi l’ipotesi di danno grave di cui alla lettera B) del citato art. 14“. (pagg. 14-15 sentenza).

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Corte d’Appello di L’Aquila, sentenza n. 576 del 6 aprile 2017