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da Il Manifesto del 9 luglio 2003

Giallo siriano alla Farnesina di Cinzia Gubbini

Roma – “Ci siamo subito rivolti alla parte siriana, attraverso i canali della nostra ambasciata, per avere notizie del signor al-Sakhri, ma non abbiamo ancora avuto alcuna comunicazione”. Non smentisce né conferma il ministero degli affari esteri italiano la notizia pubblicata ieri dall’Unità, secondo cui l’ingegnere siriano espulso dall’Italia il 28 novembre 2002 insieme alla moglie e ai quattro figli, sarebbe deceduto sotto tortura in una delle carceri del regime siriano. Dal giorno del rimpatrio – avvenuto senza aver permesso alla famiglia di accedere alle procedure per la richiesta di asilo politico – nessuno ha più saputo nulla di Muhammad Sa’id al-Sakhri. Non ha mai incontrato né un legale né un medico, figurarsi un membro della sua famiglia. La moglie, Maisoun Labadidi e i figli della coppia, di cui la più piccola ha tre anni, ora vivono a Hama, sotto stretta sorveglianza dei servizi segreti siriani.

La notizia del decesso arriva dal Consiglio italiano rifugiati (Cir), un’associazione che si occupa di diritto d’asilo. Crisptopher Hein, presidente del Cir, racconta: “Una nostra fonte, una persona siriana che non appartiene alla famiglia al-Sakhri, si dice convinto che il signor Muhammed al-Sakhri sia morto, in carcere, a causa delle torture subite il 18 febbraio”.

La notizia è confermata anche dai parenti della moglie di al-Sakhri, che vivono da anni a Londra, dove hanno ottenuto lo status di rifugiato. “Ci sembra assurdo – prosegue Hein – che il governo italiano non sappia come confermare la notizia. Ma il comportamento assurdo viene da lontano – continua – il governo ha sempre sostenuto di aver avuto `rassicurazioni’ dal governo siriano sulle condizioni di prigionia di al-Sahkri. Ma se è vero che ci sono queste garanzie, allora il governo dovrebbe pretendere di sapere dov’è, qual è il suo stato di salute e pretendere una difesa legale”.

Anche Amnesty International, che ha da tempo lanciato un appello a favore di al-Sakhri (che è possibile firmare all’indirizzo internet www.amnesty.it/campaign/diritti_in_europa/appello_siria.php3), si appella al governo: “L’Italia ha assunto la presidenza dell’Unione europea senza aver risolto il caso – ha detto Marco Bertotto, presidente di Amnesty Italia – temiamo fortemente che al-Sakhri sia stato sottoposto a tortura e sappiamo che corre il grave pericolo di morire in carcere”.

Ieri parlamentari Pietro Folena (Ds) e Gianni Vernetti (Margerita) hanno presentato due interrogazioni ai ministri degli esteri e degli interni. Le interrogazioni ripercorrono il momento del rimpatrio, che fu operato senza neanche far uscire dall’aeroporto milanese di Malpensa la famiglia siriana, tenuta segregata per cinque giorni in uno spazio dello scalo e da qui “respinta”. Non verso la Giordania, da cui provenivano, ma in Siria, paese da cui al-Sakhri e sua moglie erano scappati vent’anni prima. L’ingegnere siriano è stato infatti membro dei “Fratelli musulmani”, un’organizzazione ferocemente perseguitata dal regime di Damasco.

L’avvocato della famiglia Labadidi, Anton Giulio Lana, ha avuto numerose notizie concordanti sulla morte di al-Sakhri: “La notizia viene confermata anche da alcune lettere spedite dalla moglie di al-Sakhri ai fratelli”. Tant’è che Lana ha presentato una nota alla Corte europea di Strasburgo, dove il caso del profugo siriano ha ottenuto una corsia preferenziale. Da parte sua la Farensina assicura di essere intervenuta con “la massima urgenza” sulle autorità siriane per evere notizie, e di proseguire con la strategia diplomatica che mira a sottolineare l’interesse comune dell’Italia e della Siria a che la vita di al-Sakhri sia salva. Il ministero sostiene, inoltre, di richiedere informazioni sulla vita di al-Sakhri ogni volta si presenti l’occasione. “L’ultima informativa risale al 31 marzo, in cui veniva assicurato che si trovava in buone condizioni di salute”. Tre giorni fa, il ministero ha inoltre chiesto di incontrare il detenuto.

Subito dopo la deportazione della famiglia al-Sakhri, le associazioni avevano chiesto al governo italiano di pretendere un incontro con l’ingegnere siriano. Ma come ricorda Daniela Carboni di Amnesty: “L’Italia ha sempre sostenuto di non avverne il diritto, dal punto di vista formale, poiché al-Sakhri non è cittadino italiano”. In realtà, ci sono precedenti che dimostrano come un tempestivo e vigoroso intervento di un governo straniero possa convincere il governo siriano ad agire diversamente. Nel giugno del 2001 il governo tedesco risucì ad incontrare in un carcere di Damasco Hussain Daoud, un kurdo siriano che, come al-Sakhri, era stato espulso dalla Germania. Per la verità, le cose stanno un po’ diversamente: Daoud fu espulso, ma dove aver esercitato il diritto a richieder asilo politico e essersi visto respingere la domanda. Nonostante il governo tedesco fosse dunque “in regola”, ha continuato ad occuparsi della sua sorte e poco tempo dopo la visita in carcere, Daoud fu rilasciato. Non potrebbe fare altrettanto il governo italiano? Sempre che non sia troppo tardi.