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Gli immigrati gambiani rischiano la morte per trovare una vita ancora più amara in Europa

Louise Hunt, The Guardian - 6 maggio 2016

Photograph: Giuseppe Cacace/AFP/Getty Images

Ferrara e BanjulBubacarr è seduto su una panchina a fianco di un campo da calcio di Ferrara, nord Italia. Il ventiquattrenne sembra affranto. Fiero uomo una volta, adesso si mostra imbarazzato nell’indossare degli abiti usati, dei pantaloni logori e slargati.
È passato quasi un anno da quando, con una dismessa barca da pescatori, si è spinto dalle coste della Libia fino alla Migrant Offshore Aid Station (MOAS, la base offshore di primo soccorso per migranti). In una intervista video del salvataggio del barcone, i suoi occhi iniettati di sangue brillano nella convinzione di poter realizzare il sogno di trovare lavoro come falegname in Europa.

“Sono un uomo adulto, quindi devo sostenere la mia famiglia” – dice.

Ma, mesi dopo, in un centro di asilo si ritrova a vivere un’amara delusione.

Alla domanda su cosa stia facendo, scuote la testa sconsolato. “Non va bene. Voglio lavorare, ma qui non c’è lavoro. Se ottengo i documenti forse me ne vado in Olanda”.

Bubacarr ha deciso di lasciare il Gambia perché la sua famiglia viveva di stenti e il suo salario da apprendista falegname non bastava.

“Siamo in tanti in famiglia. Un sacco di riso dura solo una settimana. In Gambia non ce la potevamo fare” – dice. “Sono dovuto venire qui per aiutare la mia famiglia, per pagare le tasse scolastiche dei miei fratelli, perché mio padre sta diventando vecchio e non può lavorare più di tanto”.

La sua famiglia adesso sta facendo affidamento su di lui perché ottenga lo status di rifugiato e possa lavorare per mandare i soldi a casa. Ma i guadagni di Bubacarr si limitano ai 50 euro mensili che gli spettano in quanto richiedente asilo.

Le possibilità di trovare un lavoro valido, con un tasso di disoccupazione giovanile in Italia pari al 37%, sono esigue e la sua richiesta di asilo ha poche probabilità di trovare risposta positiva: secondo le statistiche dell’Eurostat, lo scorso anno il 66% delle domande dei gambiani sono state respinte.

In Italia, i migranti trascorrono le loro giornate nei parchi o gironzolando nei pressi delle stazioni degli autobus e dei treni, nella nostalgia di casa e nell’incredulità per il fatto che, dopo tutto ciò che hanno rischiato, la loro nuova vita offra loro così poche opportunità.

“Credevamo che la vita in Europa fosse meglio che in Africa, ma qui è davvero molto dura” – dice il connazionale Charles, che dorme in un rifugio per senza dimora dopo essere stato espulso da un centro di accoglienza per ragioni a lui non chiare.

I migranti in Europa sono riluttanti nel condividere informazioni sulle loro circostanze disperate per paura di essere visti come un fallimento, soprattutto dalle loro famiglie che spesso affrontano sforzi economici considerevoli per permettergli di partire. I social network sono normalmente usati per mostrare che se la stanno passando piuttosto bene.

In Gambia, molte persone credono tuttora che raggiungere l’Europa, anche al prezzo di 2000 euro, sia il solo modo per migliorare la propria vita. Secondo quanto rilasciato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, i gambiani sono la nazionalità di arrivo più numerosa in Italia dopo i nigeriani.

Abdou dice che lascerà il suo paese perché non c’è lavoro.

“Non appena avrò i soldi per viaggiare realizzerò ciò che sto pianificando” – dice il ventitreenne di Serekunda, vicino alla capitale, Banjul. Ha di recente ottenuto il diploma in informatica ma non è riuscito a trovare un lavoro e tenta di sbarcare il lunario vendendo asciugamani ai turisti.

Photograph: Giles Clarke/Getty Images
Photograph: Giles Clarke/Getty Images

Molti dei suoi amici se ne sono già andati: qualcuno è riuscito a attivare in Europa, qualcun altro no. “Uno dei ragazzi ha perso la vita. Sappiamo che non è sicuro, ma per alcuni stare fermi qui senza un lavoro è veramente difficile. Le persone se ne devono andare” – dice. “Io sono sicuro al 100% che se riesco ad arrivare là le cose cambieranno per la nostra famiglia”.

I sogni di una vita migliore non sono per niente a buon mercato. L’insegnante Bakkary ha venduto gli unici beni di famiglia, un piccolo lotto di terra, dopo che suo fratello dal Mali lo ha chiamato dicendo che un gruppo di trafficanti lo avrebbe ucciso se non avesse pagato un riscatto.

Seduto in una baracca in Brikama, il trentacinquenne è visibilmente adirato per il pagamento.

“Ho dovuto vendere a un prezzo ridicolo perché mio fratello mi faceva pressione. Io odio la “scappatoia”. Preferisco piuttosto trovare un modo per tirare avanti qui” -afferma. La “scappatoia” sarebbe la via illegale usata dai migranti per raggiungere l’Europa.

Bintou Kamara, che è di origine gambiana e vive a Parigi, ha perso molti membri della sua famiglia nella “scappatoia” e vuole sfatare il mito e diminuire la disinformazione che attirano molte persone in Europa. L’anno scorso ha fondato una organizzazione benefica chiamata Agaid per informare le persone sulla realtà dei rifugiati.

“Il ruolo di Agaid è di dare alle persone le informazioni necessarie perché possano compiere una scelta conscia e razionale” – dice l’ex giornalista radiofonica. Quest’anno ha visitato comunità urbane in Gambia per aumentarne la consapevolezza attraverso un breve documentario.

Photograph: Jason Florio/Redux
Photograph: Jason Florio/Redux

“Ho usato immagini forti e molte persone sono rimaste sorprese. La televisione gambiana non mostra loro la verità. Questo sortisce un effetto notevole. Dopotutto, le persone discutono su cosa hanno visto e iniziano a spargere la voce” – dice Kamara.

Bakkary dice che ciò di cui si ha più bisogno in Gambia sono programmi di formazione e impiego per i giovani. – La cosa migliore sarebbe creare iniziative per coinvolgere i giovani perché è molto doloroso quando finiscono la scuola e rimangono con le mani in mano per anni”.

La Commissione Europea pianifica di spendere una parte dei 1.8 bilioni di euro del Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa, annunciato in Novembre, nella creazione di opportunità di lavoro in Gambia e nella dissuasione delle persone dal lasciare il paese.

Ma tali iniziative necessitano di molto tempo prima di realizzarsi e il tempo è fondamentale in un paese dove la situazione economica peggiora e aumenta la tensione politica.

I già molto alti costi di vita sono esacerbati da un blocco attuato dai camionisti senegalesi che si rifiutano di pagare per l’ennesima volta il pedaggio alla dogana introdotto a febbraio dal presidente gambiano Yahya Jammeh.

Benzina, cibo fresco e in scatola, normalmente importati dal Senegal, non stanno entrando nel paese, causando un aumento dei costi dovuti al timore di una carenza di prodotti. I farmacisti sono preoccupati sulle scorte di medicinali disponibili rimasti.
Con i confini chiusi per tutti, eccetto coloro che li attraversano a piedi, si verifica un crescente senso di isolamento nello stretto paese fluviale, confinante su tre lati col Senegal.

In Serekunga trovano sfogo furibonde proteste, con i manifestanti che chiedono le dimissioni di Jammeh. Le proteste sono rare in uno stato così strettamente controllato.

Photograph: Jason Florio/Redux
Photograph: Jason Florio/Redux

Le forze di sicurezza usano i gas lacrimogeni, picchiano e arrestano i manifestanti, come più volte riportato.

Tre attivisti dell’opposizione del partito di Unione Democratica, secondo quanto detto, sono stati uccisi mentre erano in custodia, sebbene il governo continui a negarlo. I gruppi umanitari e le Nazioni Unite stanno chiedendo l’apertura di un’inchiesta sulle morti e le accuse di uso eccessivo della forza. Si osserva tuttora una forte presenza dei militari e della polizia per le strade.

“Le persone sono state intimate di rimanere in casa e si verifica un aumento delle molestie da parte della polizia”- dice una fonte gambiana. “Noi siamo molto preoccupati per quello che succederà dopo”.

In un momento in cui ci potrebbero essere le condizioni adatte per l’ottenimento dello status di rifugiato, gli immigrati gambiani che arrivano in Italia sono spessi esclusi dal sistema di asilo, cosa che rende futile il loro pericoloso viaggio.

L’hotspot approach dell’Unione Europea (.pdf), implementato soprattutto in Italia e in Grecia (campi di raccolta per gli entranti in Europa), permette la categorizzazione dei migranti per nazionalità. Coloro che provengono da paese con un riconoscimento dello status di rifugiato inferiore al 75%, come nel caso del Gambia, tendono ad essere definiti dalla polizia come irregolari o migranti economici nel corso di un esercizio di controllo che avviene prima che questi siano autorizzati a entrare nei centri di accoglienza, senza avere la possibilità di cercare un consiglio legale o umanitario, come spiega Federica Toso, ricercatrice per la NGO italiana Asilo in Europa.

“Questo significa che non possono accedere al sistema di asilo. Gli vengono dati sette giorni per raggiungere l’aeroporto di Roma e lasciare il paese. Ovviamente, questo non avviene mai perché non hanno i soldi per pagarsi il volo e diventano così dei clandestini che bivaccano per le strade senza assistenza da parte dello stato”.