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Gli scontri in Mali, causa di una colonizzazione mai finita?

Il 22 luglio 2016, all’alba, in Mali sono ricominciati gli scontri violenti con colpi di arma da fuoco e mortaio tra gli ex ribelli Tuareg, del Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) e il gruppo di autodifesa Imghd e alleati di Gatia, movimento della coalizione filo-governativa Piattaforma.
Nessun rapporto è al momento disponibile, ma alcune fonti suggeriscono diversi morti e feriti tra i belligeranti civili, restati uccisi durante lo scontro a fuoco.

Le circostanze esatte che hanno portato alla ripresa delle ostilità dei due gruppi sono ancora incerte. Ogni parte accusa l’altra. Fahad Ag-Almahmoud, segretario generale di Gatia, dice che “senza alcuna ragione” una loro pattuglia sarebbe stata presa di mira, giovedì pomeriggio a Kidal, mentre attraversava la città per recarsi al loro quartier generale. La CMA ha dichiarato che “una colonna armata di veicoli di Gatia avrebbe deliberatamente sparato contro la loro postazione”. La CMA ora chiede la rimozione delle truppe di Gatia dalla città di Kidal e dei suoi dintorni.

Questi conflitti fra i due schieramenti sono di lunga data, ed il Mali è stato per lungo tempo sede di varie rivolte da parte di un gruppo etnico chiamato Tuareg. I Tuareg sono una comunità di nomadi delle regioni sahariane del Nord Africa che si sono stabiliti in Mali, in Libia, in Algeria e Burkina Faso. Quest’ultimi sostengono di essere emarginati dal governo del Paese, quindi cercano un riconoscimento ufficiale della loro identità. Di conseguenza hanno messo in scena sollevazioni militari ad intermittenza dopo l’indipendenza del Mali dalla Francia.

Prima della caduta di Gheddafi i Tuareg lavoravano in Libia da decenni, in particolare nel settore petrolifero, altri facevano parte dell’esercito. Dopo il rovesciamento del governo nel 2011, molti Tuareg lasciarono il Paese dove erano diventati facili bersagli a causa della xenofobia nei confronti dei migranti sub-sahariani, proprio perché molti avevano combattuto affianco di Gheddafi.

Tornando ai conflitti, nel 2012 l’esercito del Mali aveva criticato l’allora presidente Amadou Toumani Tourè, affermando che l’esercito non era stato adeguatamente armato per sbaragliare efficacemente i Tuareg. Per settimane i soldati avevano chiesto armi più avanzate per la lotta contro gli insorti. Frustrati della risposta del governo alle loro richieste, un gruppo di soldati ribelli maliani che si facevano chiamare Comitato Nazionale per il ripristino della democrazia e dello Stato, guidati dal capitano Amadou Sanogo, il 22 marzo 2012, hanno organizzato un colpo di Stato. I soldati hanno preso così, il controllo dell’ufficio dell’emittente di stato di nella capitale di Bamako.

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Da li a poco, alcuni esperti dell’Istituto per la giustizia globale dell’Aia hanno sostenuto che una delle ragioni di ciò che era accaduto fosse stata una risposta poco efficace da parte del regime politico del Mali verso i Tuareg e l’aumento di estremismo islamico nella zona, che avrebbe permesso una corruzione diffusa in tutto lo Stato. Il governo ha creato alleanze con i leader aziendali nel Nord del Paese al fine di contrabbandare merci illegali come sigarette e cocaina verso la Libia e l’Algeria.

Ma la crisi del Mali ha coinvolto altri attori di rilievo, come i gruppi islamici ribelli di Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e il Movimento per l’Unità e la Jihad in Africa occidentale. L’obiettivo di MUJAO ad esempio era quello di diffondere la jihad non solo in Mali, ma in tutta l’Africa occidentale, mentre AQIM ha invece dichiarato di voler diffondere la legge islamica in Mali per liberarsi dal retaggio coloniale francese.

Ma quella coloniale è davvero solo un’eredità? In realtà no.
Ma su questo punto torneremo più tardi.

Human Rights Watch ha pubblicato molti rapporti sulle atrocità commesse dai ribelli Tuareg, dai gruppi islamici e dalle forze armate del Mali. Molte violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi ribelli incluso l’uso dei bambini soldato, attacchi ad ospedali e scuole, rapimenti, stupri ed esecuzioni sommarie. La violenza ha disintegrato gran parte della città del nord e ha portato scarsità di forniture mediche, questa è stata la causa principale della fuga di migliaia di civili verso i paesi del sud. Il rapporto 1 prosegue affermando che l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha stimato che almeno 284.000 residenti hanno abbandonato le loro abitazioni a causa del conflitto armato e 107.000 si ritiene siano sfollati, altri 177.000 sono fuggiti nei paesi vicini, in particolare il Niger, Bukina Faso, l’Algeria e la Mauritania.

I civili nel nord del Mali sono stati anche vittime di crimini atroci commessi da un commando islamico che ha reclutato centinaia di bambini nei loro ranghi, per poi giustiziarli, frustarli, o amputare gli arti dei civili come punizione, perché secondo loro avevano sfidato la loro interpretazione della shaira.
Le Nazioni Unite hanno riferito anche di sparizioni, stupri, matrimoni forzati, saccheggi di proprietà. Altre atrocità sui bambini.

I deserti a nord del Mali sono stati teatro di diverse ribellioni da parte di combattenti di etnia Tuareg, che sono cominciate non molto tempo dopo l’indipendenza del Paese dalla Francia, nel 1960. Le cause di queste rivolte armate erano economiche, razziali e linguistiche a seconda del punto di vista degli intervistati. Il nucleo della crisi del nord del Mali viene da un vecchio sentimento separatista che nasce dalla disuguaglianza economica tra l’élite del sud e la percezione delle differenze etniche del nord. Se i fattori esterni del conflitto, come le armi libiche e l’afflusso degli attori jihadisti algerini, hanno portato molta attenzione internazionale, è anche importante notare che i fattori economici ed ecologici hanno aiutato i combattimenti a giungere a buon fine. L’industria del turismo però, negli ultimi anni è definitivamente crollata mentre la regione in concomitanza, sta soffrendo di una crisi alimentare aggressiva da condizioni di siccità.

La rivolta Tuareg del 2012 ha rivelato una tensione insormontabile tra il nord e il sud del Paese, questo risentimento può essere riconducibile in parte ai metodi di formazione dello Stato nel periodo immediatamente successivo alla decolonizzazione, che ha promosso la marginalizzazione in termini economici e politici del nord. I francesi durante questo periodo coloniale formarono una classe dirigente esclusivamente di maggioranza meridionale nera. Quando queste classi decisero di liberarsi del dominio coloniale, dovettero trovare un modo per affermare la propria autorità politica su tutto il territorio ed utilizzare strategie che variavano dai favoritismi al patrocinio di emergenza economica. Le élite post coloniali hanno posto le basi per le ribellioni ed il fallimento dello Stato.

Stranamente le potenze occidentali, in primo luogo la Francia e gli Stati Uniti, non hanno agito con forza, mentre la crisi economica continuava ad imperversare, creando una linea negativa nel Paese.

Ma poco prima eravamo rimasti con un quesito, siamo davvero sicuri che la colonizzazione sia davvero finita?

La Francia a gennaio del 2013 ha invaso il Mali, una sua ex colonia che fu una parte dell’enorme impero d’Africa; questo dominio si estendeva dall’Algeria al Congo e dalla Costa d’Avorio al Sudan. Il governo francese ha sostenuto che la sua invasione era un intervento anti-terroristico ed umanitario per evitare che i radicali Salafiti musulmani prendessero il potere nella capitale Bamako e riuscissero ad assumere successivamente il controllo del Paese.
Ma i critici hanno un’opinione diversa: la Francia vuole tentare di mantenere la sua forte influenza sulla regione, al fine di impedire ai concorrenti europei, agli Stati Uniti e alla Cina di mettere le mani sui giacimenti di uranio.

Dobbiamo tenere presente che negli ultimi anni il capitale straniero ha sempre rivolto maggior interesse all’Africa sub-sahariana. Anche se sembra essere un continente ignorato dalla globalizzazione, ha in realtà sperimentato un’attenzione crescente nell’agricoltura, nelle miniere e nell’energia. Vogliamo anche ricordare che la sua produzione di oro ha fatto la fortuna del Sud Africa ed il paese è ancora ai primi posti mondiali nella sua produzione. Tuttavia le condizioni di lavoro restano deplorevoli, in particolare per i bambini al di sotto dei 15 anni ed i rischi per l’ambiente non trovano giustificazione nel settore economico, che servono ad arricchire gli azionisti a servizio del debito estero. Visto l’interesse dei francesi, il loro intervento militare in Mali è sicuramente legato al profitto energetico, ma non solo, senza dubbio anche a quello delle società di energia nucleare che hanno monopolizzato lo sfruttamento dei giacimenti di uranio nel Niger, i quali si trovano a 300 chilometri dal confine. Bisogna ricordare che un terzo del carburante consumato dalle centrali nucleari in Francia viene prodotto da questo paese.

Ma i francesi al momento non mettono il Mali in una posizione privilegiata, la stessa cosa succede anche negli altri paesi dell’accordo “FrancAfrica”, un motivo in più per poter rivendicare i ritorni economici degli interventi militari, oltre alla promozione del loro materiale bellico.

Ma cos’è questo accordo “FrancAfrica”?

Houphouët-Boigny ha descritto il FrancAfrica come ”una criminalità segreta nelle sfere politiche ed economiche francesi, in cui una sorta di repubblica sotterranea opera nascosta dalla vista dei cittadini”.

FrancAfrica è in realtà un termine usato per caratterizzare il rapporto con la Francia e le sue ex colonie africane, tuttavia è tutt’oggi impiegato per criticare il loro presunto rapporto “neocoloniale”. Vogliamo farvi notare che dal 1960, dal momento in cui la Francia ha proclamato l’indipendenza dalle proprie colonie, è già intervenuta militarmente più di 30 volte nel continente.
La nazione francese ha basi militari in Gabon, Senegal e Gibuti, così come nei suoi dipartimenti oltremare. FrancAfrica include tutti i paesi francofoni, come il Togo, la Repubblica Del Congo, Ruanda, Senegal, Burkina Faso, Gabon, Camerun, Costa d’Avorio, Ciad, Niger etc.
Quando lo Stato francese ha concesso l’indipendenza a queste colonie si è assicurato di creare un sistema di “solidarietà obbligatoria”, che consisteva nel vincolare 14 stati, quelli sopra citati, a mettere il 65% delle loro riserve in valuta estera nel Tesoro Francese, più un altro 20% per la passività delle finanze.
Questo significa che questi 14 paesi africani attualmente hanno accesso solo al 15% del proprio denaro! Se hanno bisogno di più soldi sono obbligate a chiedere un prestito.

Ma non è finita qui, che ci crediate o no, la Francia ha la priorità di diritto ad acquistare o respingere tutte le risorse naturali presenti nei paesi francofoni. Di conseguenza, anche se i paesi africani possono ottenere prezzi migliori altrove, non possono vendere la propria merce a nessuno, fino a quando la Francia non avrà decretato di non aver più bisogno delle loro risorse. Solo dopo che hanno dato il loro consenso questi paesi potranno guardare altrove. Il problema è che questi paesi non sono francesi e non hanno accesso ai beni dei servizi pubblici e ai loro soldi messi a disposizione dallo Stato. Come ha notato Koutonin, questa tassa oltraggiosa priva l’economia africana di fondi necessari ed aggrava il loro debito, mettendo a nudo la loro autorità sulle proprie riserve naturali. Ma gli svantaggi del colonialismo ancora apparentemente in atto sono altrettanto devastanti per la dignità e l’identità del popolo africano.

La storia ha dimostrato che, nonostante anni di lotta africana per liberarsi del potere della Francia, i tentativi sono stati vani. I francesi hanno usato molti legislatori per effettuare colpi di stato contro i presidenti eletti, che tentassero di opporsi alla loro politica. Uno è il caso di Jean-Bedel Bokassa che assassinò David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centroafricana. Negli ultimi 50anni ci furono un totale di 67 colpi di stato in 26 paesi africani, di cui 16 erano ex-colonie francesi. Ciò significa che la Francia sta cercando di non perdere definitivamente la propria influenza.

Nel marzo del 2008 il Presidente francese Jacques Chirac ha detto: “Senza l’Africa la Francia scivolerà più in basso del terzo mondo” e il suo predecessore Mitterand già profetizzando il 1957 disse: ”Senza l’Africa la Francia non avrà nessuna storia nel 21° secolo”.

Questo ci fa riflettere su molti episodi che stanno avvenendo in Francia nell’ultimo periodo, forse i conflitti non sono solo religiosi, ma anche politici. Forse non è vero che esiste un’economia libera e lo sfruttamento è stato abolito. Forse qualcosa non è come ci mostrano. La concezione di diritti umani andrebbe cambiata radicalmente. Guardando questi fatti la colonizzazione non è poi così lontana, questo non vale solo per la Francia, ma per molti altri Paesi. Ma questa è un’altra storia, ve la racconterò la prossima volta.

  1. https://www.hrw.org/report/2014/05/01/collapse-conflict-and-atrocity-mali/human-rights-watch-reporting-2012-13-armed