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Gli spazi sociali e l’accoglienza degna: il caso Officine Tarantine

Intervista a Ciro Pugliese, attivista di Officine Tarantine

Officine Tarantine è uno spazio occupato situato nella centralissima via Di Palma, a Taranto. A partire dalla notte tra sabato e domenica, l’aula studio OffTopic, uno dei laboratori attivi all’interno dell’ampia struttura un tempo abbandonata, è diventata un dormitorio che ha ospitato quaranta ragazzi di origine marocchina. Questi ragazzi sono, a tutti gli effetti, il primo prodotto del meccanismo hotspot. Sono stati condotti nell’hotspot situato nel porto di Taranto, all’interno del quale non hanno avuto la possibilità di richiedere protezione internazionale, non hanno avuto un adeguato orientamento legale e, senza comprenderne il perché, sono stati destinatari di un provvedimento di respingimento e messi alla porta.

Come ampiamente previsto nei mesi scorsi, si tratta di un meccanismo tramite il quale potenziali richiedenti asilo vengono clandestinizzati e lasciati nei vari territori senza accoglienza, orientamento legale o logistico, senza informazioni.
Le attiviste e gli attivisti di Officine Tarantine hanno garantito, per diverse notti, l’accoglienza per decine di ragazzi che attendevano di poter transitare in treno verso altre località. Ne è nata un’esperienza intensa, alla quale ha preso parte anche Ciro Pugliese, attivista dello spazio sociale, che ha seguito fin dall’inizio la vicenda e che ci ha raccontato com’è andata.

D: Ciro, quando hai avuto la notizia dell’arrivo, presso il vostro spazio, di quaranta ragazzi di origine marocchina, che necessitavano di accoglienza? In che maniera questo arrivo ha influenzato le normali attività dello spazio?
R: La notizia è arrivata pochi minuti prima dell’effettivo arrivo. Di certo un po’ ci ha spiazzato, ma l’atmosfera di solidarietà che abbiamo respirato in questi giorni è una ricompensa che gratifica. Abbiamo allestito la sala studio OffTopic, sufficientemente grande per ospitare tutti. Abbiamo registrato, da parte dei migranti, la richiesta di dormire tutti insieme in un unico spazio, e l’abbiamo predisposto, allestendo i materassi, per rispondere a questa esigenza. Il primo bisogno al quale abbiamo provato a dare risposta è stato quello di trovarsi in un luogo sicuro, di percepire sicurezza e accoglienza intorno. Abbiamo accolto ragazzi che, soprattutto all’inizio, erano spaventati, disorientati, impauriti.

D: Quale tipo di relazione si è sviluppata tra attivisti e migranti?
R: Il clima è stato fin da subito molto positivo. Ci sono state molte occasioni di socialità, per esempio durante le colazioni, i pranzi e le cene. Abbiamo giocato a calcio, e molti ragazzi hanno utilizzato la palestra allestita all’interno del nostro spazio. Abbiamo avuto alcune difficoltà linguistiche, in quanto soltanto uno dei migranti parla inglese. Ci ha molto aiutato L., un ragazzo di origine gambiana che frequenta attivamente Officine Tarantine e che ci ha aiuto a comunicare, in arabo e in inglese, con i ragazzi marocchini. Sono stati giorni intensi, senza soluzione di continuità. Quasi tutti i ragazzi sono ripartiti, per altre destinazioni. Qualcuno è partito subito, qualcun altro si è trattenuto per diversi giorni, in attesa della possibilità di acquistare il biglietto del treno.

D: Come è stato percepito, da parte dei migranti, il vostro spazio?
R: Passati i primi momenti, durante i quali ci siamo occupati soprattutto di dare sostegno, sicurezza e accoglienza, abbiamo raccontato del progetto e delle attività che ruotano intorno ad Officine. Abbiamo raccontato dei laboratori attivi, della sala prove, della palestra, e così via. Soprattutto la palestra ha suscitato molto interesse, e qualcuno dei ragazzi si è anche cimentato con la break dance. Con qualcuno dei ragazzi abbiamo parlato più approfonditamente di politica, per esempio con N., uno dei punti di riferimento all’interno di questa comunità informale alla quale abbiamo dato ospitalità.

D: Hai la sensazione che questa esperienza vi abbia trasformato?
R: C’è stato un ampio meccanismo di partecipazione: tanti attivisti hanno collaborato alle attività, garantendo servizi e solidarietà. Questa esperienza ci è stata utile per comprendere la centralità del tema delle migrazioni, e la natura del meccanismo hotspot. C’è bisogno di approfondire la questione, ma è stato chiaro a tutti come le difficoltà di questi ragazzi siano state causate da scelte politiche discriminatorie. Anche il clima tra gli attivisti è stato positivamente segnato da questa intensa esperienza di solidarietà.

D: E’ molto probabile, purtroppo, che le difficoltà alle quali sono stati esposti questi ragazzi marocchini possano ripetersi, nel tempo, ai danni di altri potenziali richiedenti asilo. Che sensazioni hai a riguardo?
R: Penso che l’accoglienza all’interno di strutture come la nostra, non adeguate per svolgere questo tipo di servizio, debba essere un’eccezione legata a singole emergenze. Non può essere in alcun modo la soluzione: c’è bisogno di luoghi accoglienti, con adeguati servizi, e non risposte emergenziali.

D: Che ruolo hanno avuto le istituzioni in questa vicenda?
R: Da parte delle istituzioni c’è stata una risposta tardiva e ininfluente. Non sembra ci siano forme di coordinamento tra le varie amministrazioni. Nonostante queste difficoltà siano create da un meccanismo preciso frutto di precise scelte politiche, non sono predisposti dei servizi per offrire ospitalità a chi è vittima di provvedimenti così discriminatori. Non è possibile che gli spazi autorganizzati debbano farsi carico di situazioni create da altri, che espongono i migranti a preoccupanti conseguenze giuridiche.

D: Domenica è stata, per gli attivisti e le associazioni impegnati per un’accoglienza degna a Taranto, una giornata molto intensa. Durante le vostre attività solidali, avete avuto notizia di quanto succedeva al Brennero, nell’ambito della manifestazione #overthefortress?
R: E’ stata, anche per noi, una giornata intensa e complicata, ma abbiamo seguito le vicende legate al corteo al Brennero. È stata una coincidenza significativa: ci è sembrato sintomatico di quanto il tema delle migrazioni possa collegare territori lontani, ci siamo sentiti in connessione e in sintonia con chi manifestava lungo il confine austriaco contro la chiusura di quella frontiera.

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.