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da Liberazione del 7 giugno 2006

Habteab morto in carcere. La sua colpa: essere straniero

Era un richiedente asilo ma è finito nel Cpt di Isola Capo Rizzuto (Crotone).

Non erano ancora le 10 del mattino quando dolore, rabbia composta, sete di verità, si sono materializzati davanti all’edificio che ospita il Ministero di Grazia e Giustizia. 150, forse 200 manifestanti sono giunti insieme in corteo: più grande di tutti uno striscione bianco con la scritta in verde “Habteab era un rifugiato politico, non un delinquente”. La storia di Habteab Eyasu Michael, somiglia fino ad un certo punto a quella di tanti suoi connazionali eritrei: 36 anni, una vita politica spesa per l’indipendenza del proprio paese e poi la guerra con l’Etiopia e l’instaurazione di un regime feroce. Fugge in Sudan, poi in Libia, il 20 agosto 2003 arriva in Italia, con una delle tante carrette del mare, presenta richiesta di asilo politico e più di un anno dopo ottiene lo status di rifugiato. Gli amici e i parenti lo descrivono come un ragazzo solidale, capace di offrire sostegno, padre di 2 bambine, le foto che lo ritraggono da vivo mostrano un volto forte e nobile. Fra aprile e maggio capita qualcosa di mai chiarito: parte per l’Inghilterra alla ricerca di un lavoro migliore, torna in Italia – non si sa se di propria spontanea volontà – e viene trasferito nel carcere di Civitavecchia. Il 14 maggio muore, suicida mediante impiccagione.

Una tesi che lascia perplessi, in tasca gli trovano una lettera datata 15 aprile mai spedita. C’è scritto che lo accusano di aver parlato per telefono con una persona che non conosce, che sta bene in salute ma che ha bisogno di un avvocato. Una lettera che oggi è in mano al magistrato, scritta da una persona che si vuole difendere e non pensa al suicidio. Si racconta di una rissa con altri detenuti e poi del suo trasferimento in una cella d’isolamento. Con certezza si sa solo che i suoi familiari sono stati avvisati solo una settimana dopo del decesso, quando l’autopsia era già stata effettuata. E ci sono altre foto che mostrano Habteab da morto, ha il volto ferito e sangue che fuoriesce dalla nuca. I medici parlano di contusioni in tutto il corpo, le versioni dei secondini sono incongruenti anche rispetto alle modalità della presunta impiccagione. La famiglia di Habteab era in piazza ieri, insieme agli uomini e alle donne delle Associazioni di rifugiati eritrei, tante le risposte che il ministero e la direzione carceraria deve fornire. Giustizia e verità per lui, giustizia e verità per Merhawi Asmelash, nato ad Asmara il 1 gennaio 1978 morto nel carcere di Catanzaro il 26 febbraio 2006. Era un richiedente asilo ma è finito nel Cpt di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Non si sa perché sia stato mandato in galera, per quanto tempo e soprattutto, perché ci ha lasciato la vita. Una delegazione dei manifestanti comprendente fra l’altro da Mussie Zerai, presidente dell’associazione di rifugiati “Salaam”, da Francesco Martone, senatore del Prc – che ha presentato una interrogazione parlamentare rispetto alla morte di Habteab – e da Christopher Hain del CIR, è stata ricevuta al Ministero. Hanno trovato in Stefano Anastasia, fra i fondatori di Antigone, una persona attenta. «Mi è sembrato di vedere disponibilità a darci la verità che chiediamo – ha affermato Mussie Zerai – Ha garantito che cercheranno di appurare elementi in più e ci ha promesso un incontro a breve termine con il sottosegretario. Staremo a vedere ma è importante che ci abbiano ricevuto». Martone ha annunciato di voler presentare una interrogazione anche in merito alla morte di Merhawi a Catanzaro: «Non è possibile che un richiedente asilo stia prima in un Cpt e poi in carcere – ha affermato- ma la vicenda di questi due ragazzi impone che con urgenza si arrivi alla definizione di una legge giusta sul diritto d’asilo e che nel frattempo il Parlamento, con la Commissione diritti umani, possa indagare sulle modalità con cui si affronta e si gestisce la questione dell’asilo in Italia». Si chiede discontinuità con il passato, anche nei rapporti del governo italiano con un regime da cui le persone fuggono come possono.

Mentre nel Ministero si discuteva le donne urlavano il proprio dolore e gli uomini non si vergognavano di nascondere le proprie lacrime. Pochi gli italiani presenti: anche nel momento del lutto due morti eritrei non meritano partecipazione?