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I migranti rendono più della droga: come la mafia si è infiltrata nel sistema di accoglienza italiano

Famiglie mafiose hanno speculato sull'"industria dei rifugiati"

Joy, una giovane donna nigeriana, era in strada fuori dal Cara di Mineo, un enorme e sovraffollato centro di accoglienza per richiedenti asilo nella Sicilia centrale. Stava aspettando che qualcuno venisse a prenderla quando l’ho incontrata.

Era la fine dell’estate 2016 e faceva ancora caldo. Diceva di avere di 18 anni ma sembrava molto più giovane. Indossava un giacchetto di jeans scolorito sopra una t-shirt bianca, jeans attillati, e sei o sette fili di treccine colorate le avvolgevano il collo. Una catenina d’oro le pendeva dal polso, un regalo di sua madre.

Mentre stavamo parliamo, comparve una macchina nera e lei si allontanò da me di qualche passo per essere sicura che chiunque guidasse potesse vederla e potesse vedere che era sola. C’erano sono un manipolo di altri migranti che ciondolavano lungo la strada. La macchina non rallentò, così Joy tornò da me e riprese la nostra conversazione.

La maggiore di sei figli, Joy (non è il suo vero nome) mi disse che aveva lasciato la sua famiglia in un piccolo villaggio nell’Edo State in Nigeria all’età di 15 anni per andare a lavorare per una ricca signora che possedeva un salone di bellezza a Benin City. Da subito aveva iniziato a sospettare che i suoi genitori l’avessero venduta per guadagnare soldi per i figli più piccoli. “Probabilmente non avevano scelta“, disse rivolgendo lo sguardo giù verso la strada, tra i fitti agrumeti che nascondevano il traffico delle auto.

C’erano altre sei ragazze che lavoravano per la signora che Joy dice chiamavano maman, che vuol dire “mamma“. Quando Joy ha compiuto 16 anni, ha dovuto affrontare un rituale che l’ha legata alla maman con una maledizione: se le avesse disobbedito la sua famiglia sarebbe morta. Qualche settimana dopo le hanno detto che sarebbe dovuta andare in Italia a lavorare per la sorella della maman. Lei aveva creduto che sarebbe andata a lavorare in un salone per parrucchieri. Le hanno dato 45€ (40$) e un numero da chiamare una volta arrivata in Italia, ma non un nome, né un indirizzo o documenti.

La nuova vita di Joy però si sarebbe rivelata molto diversa da come se l’aspettava. Invece di lavorare per una parrucchiera, è finita nella trappola dei trafficanti che attirano donne con l’inganno per poi farne delle schiave sessuali. Secondo l’organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) l’80% delle donne portate in Europa dalla Nigeria sono inconsapevolmente “sponsorizzate” dai trafficanti del sesso che hanno pagato per il loro viaggio. Il resto di loro invece ha pagato i trafficanti per essere portate in Europa, ma una volta arrivate, per loro è impossibile sfuggire alla bande di trafficanti del sesso.

Dopo un terribile viaggio via Tripoli che è durato circa 3 settimane, Joy è arrivata nel porto di Augusta, sulla costa orientale siciliana. Non aveva con sé documenti né il passaporto. Tutto quello che aveva era un numero di telefono italiano, che la maman le aveva cucito nella manica del giubbotto. Quando i migranti sono scesi dalla nave, un poliziotto armato e con un giubbotto anti proiettili faceva la guardia mentre un altro li perquisiva e sequestrava ad alcuni dei coltelli. Quelli che avevano i documenti sono stati portati in una tenda in cui erano allineate delle brande da militari. Una donna distribuiva scarpe e infradito e un’altra delle mele gialle ammaccate che prendeva da una grande vasca di metallo. Un poliziotto scriveva con un pennarello nero un numero sulla mano sinistra dei migranti, Joy era il numero 323.

I nuovi arrivati sono stati divisi in gruppi e messi sugli autobus. Quello di Joy era diretto al Cara di Mineo, uno dei più grandi campi per migranti d’Europa. L’acronimo Cara sta per “centro di accoglienza per richiedenti asilo“, Mineo è tutto tranne che una città dove delle persone che hanno rischiato tutto per la sola speranza di una nuova vita possano sentire a loro “cara”.

A circa 70 km dal mare, nel centro della Sicilia, dove gran parte dei migranti africani che arrivano dal mare incominciano il loro lungo viaggio verso la protezione. Ma spesso, prima che possano ottenere i documenti vengono reclutati dalla malavita.

Il sito fu costruito per ospitare alloggi di lusso destinati al personale militare americano ma non è adeguatamente equipaggiato per far fronte al numero di migranti che sbarca sulle coste siciliane (all’ultima conta ospitava 4.000 persone).
Gli alloggi sono spesso così sovraffollati che le persone devono dormire sul pavimento o nelle tende. Gli edifici sono infestati da blatte e topi che si nutrono di mucchi di spazzatura lasciati a marcire, mentre cani malconci e pieni di pulci entrano ed escono dai buchi delle reti di filo spinato. L’Etna e la sua costante scia di fumo sono chiaramente visibili in lontananza.

Il centro è diventato un luogo senza regole dove le persone sono facili prede della la criminalità organizzata. Lo stato finanzia questi centri dandogli una somma di denaro per ciascun richiedente asilo ospite, ma molti di questi centri risparmiano sul cibo e sugli altri servizi per intascare i profitti.

Esponenti di basso rango di varie organizzazioni mafiose italiane e di gang nigeriane vengono al centro per reclutare corrieri della droga e piccoli criminali tra uomini annoiati e demotivati, che hanno rinunciato alla vita che sognavano nel momento in cui hanno attraversato il mare.

Il Cara di Mineo, così come il centro di accoglienza Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto in Calabria, e altri nella penisola, sono diventati anche un terreno di caccia per trafficanti. Fingendosi richiedenti asilo, i trafficanti adescano le donne fuori dal centro con il pretesto di andare a fare spese o altre uscite, e le consegnano a donne nigeriane che controllano giri di prostituzione.

Le ragazze vengono quindi obbligate a prostituirsi sotto la minaccia di violenza, la maggior parte di loro, come Joy, terrorizzate da una promessa che le tiene in schiavitù. Molti centri sono divenuti oggetto di indagini, rivelando un sistema di corruzione a livello locale e statale e infiltrazioni di potenti organizzazioni criminali. Sempre pronta a sfruttare nuove opportunità, la mafia sta facendo grossi profitti sulla pelle dei migranti.

Appena scesa dall’autobus nel centro di accoglienza con gli altri passeggeri, a Joy hanno dato un letto in una villetta insieme a 10 donne nigeriane sue coetanee. Molte di loro sono dovute venire in Italia per lavorare come parrucchiere e tutte hanno dei numeri da chiamare. Un’organizzazione cattolica ha dato a tutti quelli che sono stati salvati delle sim card che loro usano per chiamare casa. Joy ha ancora il suo giubbotto con il numero cucito dentro. La donna che le ha risposto le ha detto di fare richiesta di asilo usando un nome e una data di nascita falsi e di non dare mai quel numero di telefono a nessuno.

Joy ha fatto richiesta di asilo il giorno dopo essere arrivata, usando la data di nascita e il nome di una sorella più piccola. Una volta che i migranti sottoscrivono la richiesta di asilo possono entrare e uscire dal centro ad orari stabiliti, mentre aspettano notizie riguardanti la loro richiesta, ma possono volerci dei mesi.

Dopo tre giorni un uomo che Joy non ha riconosciuto è andato a trovarla nel centro e le ha detto di aspettare ogni mattina ad una rotonda più in giù sulla strada davanti l’ingresso, che alla fine arriverà qualcuno per lei. Joy ha chiesto come fare a riconoscere chi deve venire a prenderla.

Lo saprai.” le ha detto l’uomo.”Tu sali solo in macchina quando si ferma“.
È a quella rotonda che ho incontrato Joy. Quando le ho chiesto cosa pensasse che sarebbe successo una volta prelevata, mi ha detto di essere sicura che sarà portata in un salone di bellezza di proprietà della sorella della maman, dove farà le treccine come quando era a Benin City. Mi ha detto che probabilmente dovrà iniziare pulendo i pavimenti ma quello sarà solo per iniziare. Le ho chiesto se fosse a conoscenza del fatto che molte ragazze come lei sono finite a lavorare come prostitute. Lei dice di aver sentito di donne nigeriane finite a fare le prostitute dopo essere arrivate in Italia e che lei “non lo farebbe mai“, non importa quanto disperata possa essere.

Alla fine è dovuta tornare dentro o avrebbe rischiato di saltare il pasto serale. Ancora una volta il suo passaggio non era arrivato. Le ho augurato buona fortuna e le ho dato il mio numero di telefono, lei lo ha salvato sul suo prima di rientrare nel centro attraverso il cancello di metallo scorrevole. Più tardi mi sarei pentita di non aver cercato di metterla in guardia in un modo più concreto. In quel momento lei era solo una delle tantissime donne che vedevo scivolare nell’abisso.

Molte delle donne e ragazze nigeriane salvate dalle barche dei trafficanti dalle navi della guardia costiera o dalle organizzazioni benefiche, vengono da piccoli villaggi intorno a Benin City. La maggior parte sono single e viaggiano da sole. A molte di quelle vittime di tratta viene garantito dai loro “sponsor” che si prenderanno cura di far ottenere loro i documenti necessari non appena lasceranno i centri.

Ad altre vengono fornite false generalità che viene loro detto di usare per le loro richieste d’asilo. La maggior parte delle donne vittime di tratta si ritrovano con documenti falsi forniti da gruppi della criminalità organizzata italiana. I documenti sono un altro anello della catena che tiene le donne intrappolate nella schiavitù sessuale perché le madam le minacciano di sottrarli se provano a scappare.

Nel 2012 fu aperta un’indagine sullo sfruttamento della prostituzione al Cara di Mineo, a seguito di una serie di richieste di aborto ricevute dai medici del centro.

In tre mesi i medici del centro avevano praticato 32 aborti sulle migranti, un aumento di più del 200% rispetto all’anno precedente. Le autorità ne dedussero che questo fosse dovuto ad un aumento della prostituzione, insieme alla mancanza di anticoncezionali. A causa dell’influenza della chiesa sull’assistenza ai migranti, i contraccettivi non vengono distribuiti, e solo pochi migranti hanno i mezzi per provvedere da soli. Alcune associazioni di volontariato da allora hanno iniziato a distribuire preservativi.

A dicembre del 2016, quattro richiedenti asilo nigeriani sono stati arrestati con l’accusa di aver drogato e violentato una donna ospite del centro. Alla donna, come a Joy, era stato detto di aspettare sulla strada qualcuno che sarebbe andata a prenderla. Avendo capito che l’avrebbero messa a fare la prostituta si era rifiutata di lasciare il centro.

Quegli uomini l’avevano violentata come avvertimento, una punizione tipica nel traffico sessuale. La teoria è che se la donna capisce che la punizione per aver rifiutato di prostituirsi è uno stupro di gruppo, probabilmente accetterà che fare sesso sul ciglio della strada è un’alternativa migliore. È raro incontrare una donna vittima di tratta che non sia stata messa di fronte a questa scelta.

Dopo l’incidente, Francesco Verzera, un Pubblico Ministero con giurisdizione sul Cara di Mineo, si è appellato alle autorità affinché chiudessero il centro, considerando che a causa del sovraffollamento e della mancanza di controlli si stava creando un pericoloso ambiente criminale. “Questo tipo di violenza diventerà la norma se continuate a mettere in funzioni centri di accoglienza che ospitano quasi 4000 richiedenti“, ha avvertito. “I crimini sono sempre più violenti e il crescente disprezzo per la vita è un chiaro segno di deterioramento della situazione.”

Il complesso che ospita il Cara di Mineo fu costruito nel 2005 dalla impresa Pizzarotti di Parma, che è ancora il primo appaltatore per la logistica della difesa americana in Italia. Fu costruito per gli ufficiali di stanza alla base aeronautica di Sigonella, a circa 40 km. I viali e le strade alberate del complesso erano intese a replicare una periferia statunitense, completa di centro ricreativo, supermercato, steakhouse in stile americano e un bar pasticceria. C’era un campo di baseball e uno di football americano, un luogo di culto non confessionale che fungeva anche da cinema. Più di 400 villette furono costruite ciascuna per ospitare una famiglia tipo di 5 persone.

Nel 2011, la marina americana sospese l’affitto annuale di 8.5 milioni di euro e restituì la proprietà alla Pizzarotti. Lo stesso anno, al culmine della Primavera Araba, il governo Berlusconi decise di affittare la struttura per farne un “hot spot” per gestire il numero crescente di richiedenti asilo in arrivo in Italia. A quel tempo il complesso era completamente chiuso e i migranti, tunisini e marocchini nella maggior parte dei casi, venivano trattenuti fino a che non venivano rimpatriati. Adesso le persone all’interno si chiamano “ospiti” e una volta fatta la richiesta di protezione sono liberi di andare e venire.

Rimangono i fantasmi della vita precedente del centro. Le attrezzature del parco giochi sparse per tutto il complesso sono arrugginite e in pessimo stato, adesso principalmente usate da uomini sulla ventina che si siedono sulle altalene e si sdraiano sugli scivoli per ammazzare il tempo. Il bar adesso è la guardia medica e il ristorante una mensa dove i migranti vanno a prendere razioni di riso e banane. La sala giochi è adesso una scuola improvvisata, e gli uffici sono diventati dormitori.

I residenti asciugano i loro vestiti accanto a cartelli di protesta contro il governo italiano, in cui si lamentano del cattivo cibo e del tempo che ci vuole per analizzare le richieste di asilo. Il centro è protetto da soldati che controllano i richiedenti asilo in uscita e in entrata e tengono fuori tutti quelli che non risultano registrati. Le ragioni per cui tornano ogni notte vanno oltre quella del cibo e di un riparo. Tornano per la promessa dei documenti che gli consentiranno la libera circolazione all’interno dell’area Schengen Europea, e il diritto di lavorare [La possibilità di lavorare regolarmente è possibile solo in Italia ndr.]]. Tuttavia decine di persone spariscono ogni mese, prontamente rimpiazzati dai nuovi arrivati nei porti siciliani.

Le condizioni sono pessime, la maggior parte delle villette ospita dalle 15 alle 20 persone che dormono in letti a castello o su materassi sul pavimento. Le villette cadono a pezzi, e la manutenzione è lasciata ai migranti che fanno quello che possono con materiali insufficienti. La puzza di fogna permea il terreno, attraendo roditori e insetti. Non è previsto il servizio di pulizia al di fuori degli uffici e della cucina. Alcune villette sono state distrutte da incendi e in altre mancano porte e finestre. Dopo che gli americani se ne sono andati, Pizzarotti ha rimosso molti comfort, dalle lavatrici e i condizionatori ai ventilatori a soffitto e le vasche da bagno, lasciando cavi a vista e buchi nei muri.

La maggior parte dei residenti sono divisi in base al gruppo etnico o religioso, e la cosa non ha ridotto affatto le tensioni e gli scontri. Secondo Amnesty International e altri gruppi di volontari che operano nel centro, ogni anno al Cara di Mineo, in media, muoiono 10 migranti in attesa che la loro richiesta venga ascoltata, uccisi in risse o morti per patologie non curate.

Il direttore del centro, Sebastiano Maccarrone ha ammesso in una serie di interviste ai media agli inizi del 2016 che è praticamente impossibile proteggere i residenti. “È come una piccola città“, ha detto, i reati grossi vengono denunciati, ma i più piccoli vengono solitamente gestiti tra i residenti.

Dalle indagini di Verzera sull’attività criminale del centro sono emerse incongruenze nella registrazioni di chi vi risiede. Molti migranti dell’elenco ufficiale erano da tempo spariti, anche se al centro sotto la direzione di Maccarrone, venivano ancora rimborsati i 35€ al giorno per ognuno di loro. Per legge ad ogni migrante in attesa di asilo viene data una carta elettronica per controllarne entrata e uscita, quando si allontanano dal centro. Se non rientrano dopo tre giorni dovrebbero essere eliminati dal registro, si dovrebbe informare Roma in modo da fermare i rimborsi.

Ma Verzera dice di aver scoperto che alcuni migranti che erano andati via da mesi erano rimasti negli elenchi per percepirne i rimborsi. Sulla carta il numero dei migranti figurava ben al di sopra della capacità del centro che quindi riceveva fondi extra per gestire il sovraffollamento, quando in realtà si prendevano cura di un numero molto inferiore a quello che i documenti riportavano.

Nel 2016 Maccarrone, che precedentemente aveva diretto l’accoglienza dei migranti nell’isola di Lampedusa, è finito sotto indagine per corruzione al Cara di Mineo. Era accusato di collusione con la mafia e di aver usato fondi destinati all’assistenza ai migranti e i rifugiati per guadagni personali. Le accuse contro di lui da allora sono state ridotte alla frode aggravata e alla corruzione. Lui si dichiara innocente e in attesa del processo lavora come volontario in uno dei piccoli centri per migranti di Catania.

L’anno scorso il procuratore capo di Catania ha cercato di proibire alle navi delle ONG di salvare i migranti e portarli nei porti italiani. A marzo del 2017 in un’intervista al quotidiano di destra Il Giornale, ha rivelato che il governo ha avviato delle indagini all’interno delle prigioni e dei campi per rifugiati dove estremisti reclutano migranti in attesa di risposta alle loro richieste di asilo. “Abbiamo ricevuto verbali molto specifici dell’attività di reclutamento e radicalizzazione” ha detto al quotidiano, “ci sono individui radicalizzati che attirano stranieri per incitarli al fondamentalismo“.

L’allarme circa la radicalizzazione ha fatto passare in secondo piano il fatto che gruppi criminali stiano reclutando migranti dai centri per lavori forzati o sottopagati. Durante i periodi di raccolta gli uomini lasciano il Cara di Mineo al mattino presto e si radunano in un triangolo di terra vicino la strada statale. Gli agricoltori locali arrivano coi furgoni alla ricerca dei “neri“, scegliendo i più forti e robusti per lavori occasionali, per raccogliere pomodori e agrumi. Gli agricoltori li chiamano e gli chiedono di girarsi o di mostrargli quanto robuste siano le loro schiene. È una scena degradante resa ancora peggiore dal fatto che sono pagati una minuscola frazione di quanto gli italiani verrebbero pagati per lo stesso lavoro. Le loro paghe sono parte dell’economia illegale che ammonta a circa il 20% del totale del PIL italiano.

Quando le richieste di asilo vengono rigettate, i richiedenti hanno una possibilità di appellarsi. Se l’appello viene respinto gli viene rilasciato un foglio di carta che dice che hanno cinque giorni per lasciare il paese, ma non i mezzi per poterlo fare. Non è raro vedere nei fossi ai lati della strada vicino al centro, pezzi di quei fogli accartocciati. Questi migranti diventano facili prede per gang criminali che lavorano nei centri, che vengono pagati per fornire ai gruppi mafiosi lavoro a basso costo, gestire il traffico di armi e droga o lavorare in molte delle industrie in cui questi gruppi si sono infiltrati.

Nel 2014 l’inchiesta nota come “Mafia Capitale” ha scoperto che un gruppo criminale si è infiltrato nell’amministrazione comunale romana per anni. Il gruppo, che il Pubblico Ministero ha definito come una associazione di stampo mafioso, ha trasferito milioni di euro destinati a finanziare servizi pubblici. Il gruppo si era anche infiltrato in centri di accoglienza sparsi per il paese, comprando e vendendo nomi e generalità di migranti spariti da tempo, per continuare a percepire i fondi statali erogati per ogni migrante.

Durante le indagini, uno dei presunti capi del gruppo, Salvatore Buzzi, è stato intercettato mentre si vantava di quanti soldi avesse fatto sulla pelle dei migranti. “Hai idea di quanto guadagno coi migranti?” ha detto ad un socio. “Rendono molto di più della droga“. Buzzi e i suoi soci sono stati condannati a decine di anni di carcere dopo un processo finito nel 2017, sebbene le loro sentenze siano state ridotte in appello. Un altro processo d’appello è in corso.

Nel 2017, la Direzione distrettuale antimafia ha arrestato 68 persone, incluso il parroco del luogo, nella cittadina calabrese di Isola Capo Rizzuto, dove da più di 10 anni è in attività uno dei più grandi centri di accoglienza per migranti e rifugiati del paese. Gli investigatori dicono che i criminali hanno rubato decine di milioni di euro di fondi pubblici destinati ad essere utilizzati per ospitare i richiedenti asilo mentre vengono analizzate le loro richieste. Il Gen. Giuseppe Governale, capo della direzione investigativa antimafia, ha detto che il centro era una lucrosa fonte di guadagno per la mafia calabrese, la ‘Ndrangheta.

Il Procuratore Nicola Gratteri ha rivelato che gli investigatori avevano filmato le condizioni scioccanti all’interno dei centri. “Non c’era mai cibo a sufficienza, e siamo riusciti a filmare il cibo che veniva offerto“, ha detto. “Era quel tipo di cibo che solitamente diamo ai maiali“. La mafia locale aveva fondato delle società fantasma che venivano pagate per fornire servizi tra cui dare da mangiare ai migranti. Le indagini sono ancora in corso, e le date del processo non sono ancora state stabilite. Il prete ha negato le accuse e rivendica di aver sempre lottato contro la mafia.

Gli amministratori di alcuni centri sono accusati di prendere mazzette per vendere le generalità dei richiedenti asilo che sono scappati a centri più piccoli (alcuni dei quali non esistono). I responsabili dei centri più piccoli quindi usano quei nomi per chiedere i rimborsi giornalieri. Questa è una delle ragioni per cui le donne vittime di tratta vengono lasciate andare così facilmente: i loro nomi tendono a restare sulle liste, e i centri continuano a ricevere i fondi. Una volta che se ne vanno vengono velocemente rimpiazzate.

Molti centri prendono molti più migranti di quelli che possono gestire, per ottenere ricavi extra, così i rifugiati finiscono per vivere in pericolose condizioni di sovraffollamento. Le donne vittime di tratta che spariscono per lavorare come schiave sessuali hanno poche possibilità di essere salvate, perché la loro assenza non genera alcuna preoccupazione.

Le ragazze che vengono vendute direttamente a madam di Napoli o di altre zone vengono costrette a prostituirsi per ripagare debiti enormi. Prima ancora di cominciare a lavorare, dovranno circa 60.000 €. Una parte va al reclutatore in Nigeria, una parte ai trafficanti che hanno velocizzato i viaggi delle donne, e una grossa fetta ai membri delle gang nigeriane che devono pagare la mafia napoletana, la camorra o altre associazioni criminali nei cui territori le donne verranno costrette a lavorare. Ci sono altre spese accessorie, incluso il vitto, l’alloggio, il vestiario e l’affitto per lo spazio sul marciapiede da cui adescano i clienti. Se ipotizziamo che la metà delle 11.000 ragazze nigeriane che secondo le stime sono arrivate in Italia nel 2016 hanno generato 60.000 € l’una attraverso la servitù per debiti con le gang delle madam, i ricavi di queste ragazze soltanto ammonterebbero a 300 milioni di euro, anche dopo aver detratto i costi di viaggio.

Ci possono volere cinque anni o più di schiavitù sessuale per pagare il debito. Allora le donne sono libere di andare, ma alcune finiscono per diventare madam a loro volta, o perché convinte che si possano ricavare elevati profitti, o come un atto di vendetta: far passare ad altre quello che hanno dovuto sopportare loro. Questo ciclo è durato per più di dieci anni, ma nel 2016, il numero delle donne nigeriane arrivate sulle navi dei trafficanti è aumentato del 60% rispetto all’anno precedente.

Molte delle donne nigeriane vittime di tratta finiscono a Castel Volturno, fuori Napoli, conosciuta come la parte più fuorilegge d’Italia. I tassi di omicidi sono i più alti nel Paese e i locali la chiamano Beirut, o il Bronx. Sergio Nazzaro, un giornalista locale dice che è il cimitero della Camorra. “Non puoi neanche immaginare quanti corpi sono seppelliti in questi campi e quanti legati ad un masso sul fondo del fiume“.

La maggior parte dei migranti vive in un altra ex zona residenziale militare, adesso fatiscente e controllata dalla Camorra, che impone l’affitto ad abusivi e donne vittime di tratta. I migranti africani cominciarono a venire in massa in quest’area negli anni Ottanta, per lavorare nei campi di pomodori per paghe bassissime. Gli africani non erano incoraggiati ad integrarsi con gli italiani e invece diedero vita ad una società periferica dove vivevano al di fuori della legge, spesso occupando edifici incompiuti o costruiti abusivamente. Le autorità italiane allora non prestarono attenzione a loro, ma non furono ignorati dalla Camorra.

A partire dagli anni Novanta le donne cominciarono ad arrivare in maggiore quantità. Raramente venivano assunte in attività agricole, così molte non avevano altra scelta che prostituirsi. Molte di queste prime prostitute alla fine sono diventate madam, controllate dalle gang dedite al narcotraffico, che dovevano pagare il pizzo alla Camorra per poter operare nei loro territori. Quando le gang realizzarono che c’era richiesta, le madam iniziarono a reclutare più donne dalla Nigeria. Iniziarono ad usare i trafficanti per indurle a venire, e alla fine espandere il commercio più a nord, nelle più grandi città italiane e in Europa.

Nel 2016 la polizia investigativa antimafia ha condotto un’operazione intitolata “Skin trade“, che ha scoperto una dei sistemi messi a punto per fare uscire le donne dal Cara di Mineo e portarle sulla strada. Tra gli arrestati c’erano donne nigeriane che lavoravano con quelli che venivano chiamati “connection men” all’interno dei centri. Tra le donne arrestate a Castel Volturno c’era Irene Ebhoadaghe, 44 anni, che si faceva chiamare “Mummy Shade” (l’ombra della mummia). Gli investigatori dicono che nel 2016 stava aspettando che tre ragazze arrivassero da Napoli dal Cara di Mineo. Una di queste ragazze era Joy. La macchina che stava aspettando non l’avrebbe mai portata ad un lavoro in un salone per parrucchieri. Stava per portarla dritto da “Mummy Shade“.

Durante le indagini, un agente di polizia in incognito ha ricevuto una soffiata da una delle organizzazioni umanitarie che operano al Cara di Mineo, e ha prelevato Joy sulla strada che passa tra gli agrumeti. L’ha convinta ad aiutarli a catturare le persone che l’avevano sfruttata e le prove da lei fornite si sono rivelate cruciali per il successo dell’operazione. Poiché Joy figurava come vittima di tratta nei mandati di arresto convalidati, dopo aver cooperato con la polizia le è stato dato asilo ed è stata trasferita nel nord Europa per raggiungere un parente.

Ho raggiunto Joy con una mail grazie ad un avvocato anti tratta in Sicilia che si è interessato al suo caso e ha agito come intermediario in tribunale. Lei si ricordava della nostra conversazione fuori dal Cara di Mineo.

Sono stata così stupida“, ha scritto.”Come ho potuto fidarmi? Come ho potuto essere così cretina?
Le ho risposto per consolarla, dicendole di non preoccuparsi, che molte donne cadono nella stessa trappola.
Le mi ha scritto di nuovo: “Tu lo sapevi. Perché non mi hai detto cosa stava per succedere?

Ci ho provato, ho pensato, ma ovviamente non abbastanza duramente. Ho ammesso di non aver saputo esattamente cosa fare. Non avevo idea di come aiutarla. Sono stata così egoisticamente spaventata che se fossi intervenuta mi sarei trovata coinvolta in qualche tipo di atto di ritorsione, che qualcuno potesse fare del male a me o ai miei bambini per aver tolto dalla strada uno dei preziosi beni della Madam. Lei mi ha risposto una terza e ultima volta.
Avresti potuto salvarmi“.