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I “primi passi” in Europa: la diffusione dell’approccio Hotspot

Terzo report dalla campagna Overthefortress dai porti di Augusta e Catania e dalla Bourbon Argos con Medici Senza Frontiere

Foto di Yamine Madani, Stefano Danieli e Tommaso Gandini.

Abbiamo osservato l’hotspot di Pozzallo durante la prima tappa del nostro viaggio, riscontrando una situazione simile sia a Catania che al porto di Augusta, luoghi in cui vengono fatti sbarcare i migranti salvati in mare. In questi due porti, anche se ufficialmente non ci sono gli hotspot, le cose funzionano allo stesso modo.

Ad Augusta veniamo bloccati all’entrata del porto, lontani dal luogo degli sbarchi, riusciamo a scorgere solo dei tendoni in lontananza. Nutrita e molto visibile la presenza di forze dell’ordine e di militari.
Abbiamo parlato con Gianmarco Catalano della Rete Antirazzista Catanese che da mesi monitora la situazione. Quello di Augusta, racconta, è a tutti gli effetti un “hotspot” anche se non è formalmente riconosciuto come tale. All’inizio doveva figurare come quinto luogo designato, ma per una levata di scudi della sindaca e delle destre locali non è rientrato nell’elenco. Ne è fuori solo a parole: nei fatti nel porto megarese avviene esattamente ciò che è previsto dalla procedure sugli hotspot. Le identificazioni e il rilevamento delle impronte è obbligatorio e viene ottenuto anche con l’uso della forza. Tutto ciò viene ampiamente confermato da Amnesty International nel recente rapporto “Hotspot Italia” in cui sono raccolte le gravissime violenze, torture e prassi illegali subite dai migranti all’interno del sistema hotspot.

Porto di Augusta: l'area che svolge la funzione di hotspot
Porto di Augusta: l’area che svolge la funzione di hotspot

Gianmarco ci spiega che sono stati molti i casi di respingimenti differiti, una prassi con la quale viene impedito di richiedere asilo e viene dato l’avviso di lasciare l’Italia a tutti quei migranti definiti economici, in base semplicemente al paese d’origine. Ricordiamo ancora una volta quanto questa pratica sia illegittima e che ogni individuo dovrebbe poter richiedere asilo indipendentemente dalle sue origini, in base ad un diritto soggettivo. Ma questa non è la sola privazione di diritti registrata.
Il porto di Augusta è arrivato ad ospitare fino a 1000 persone, più del doppio della sua capienza massima, costringendo così molti migranti a dover dormire per terra e utilizzare come giaciglio solo una coperta termica. Le persone riferiscono che le condizioni igieniche sono pessime tanto quanto il cibo ricevuto. Non sono presenti né mediatori culturali, né personale medico. In molti vengono trattenuti in questo luogo per settimane, nonostante per legge il limite sia di 48-72 ore. Anche qui come a Pozzallo, non manca la presenza di minori e soggetti vulnerabili, che subiscono gli stessi identici trattamenti. Infine, Gianmarco ci ricorda che questo hotspot sorge nella zona del porto industriale di Augusta, tra i poli più inquinati d’Italia. Fra le varie industrie è presente l’inceneritore GESPI, un’indagine recente ha scoperto che supera i limiti di emissioni previste dalla legge.
Tutte le testimonianze che ci riporta Gianmarco provengono direttamente dai migranti che hanno vissuto all’interno del porto di Augusta. Le condizioni di vita e i trattamenti subiti sono tali da forzare i migranti a tentare la fuga attraverso un passaggio nella rete. Questa non accoglienza espone i migranti, soprattutto i minori, ad essere vittime di tratta, abusi, ricatti o rapimenti. Alcuni dei più fortunati incontrano invece gli attivisti come Gianmarco e forniscono le testimonianze che ci hanno aiutato a inquadrare la situazione all’interno.

L’esperienza di Augusta si conclude con la notizia che la nave Bourbon Argos avrebbe attraccato il mattino successivo nel porto di Catania. Tempestivamente il camper di #overthefortress si è messo in marcia. La nave, utilizzata da Medici Senza Frontiere per il salvataggio in mare, aveva a bordo 867 migranti, tra cui 119 donne (sette in gravidanza) e 8 bambini di cui 4 neonati di pochi mesi. Grazie a diverse collaborazioni che Melting Pot ha avuto con MSF ci è stato permesso di accedere a bordo. E’ stata una forte emozione incontrare, conoscere e osservare i sorrisi di molti migranti in un momento così significativo del loro viaggio. Considerate le condizioni della traversata del Mediterraneo, lo stress, la fatica e la paura, ci è sembrato di cogliere una certa tranquillità nei loro volti.

Porto di Catania: l'attesa sulla Bourbon Argos di MSF prima dello sbarco
Porto di Catania: l’attesa sulla Bourbon Argos di MSF prima dello sbarco

Abbiamo avuto anche la possibilità di intervistare il personale di MSF che opera a bordo della nave conoscendo così Michele, coordinatore del progetto di Medici Senza Frontiere (vedi il video dell’intervista). Michele ci ha spiegato come viene effettuata la prima fase del salvataggio: vengono inviate delle piccole imbarcazioni che avvicinano i barconi e dopo aver accertato la presenza di casi urgenti, cercano di mantenere un clima di tranquillità. Vengono distribuiti i giubbotti di salvataggio e si assicurano le condizioni dell’imbarcazione; infine si accosta la nave principale e i migranti vengono accompagnati a bordo. La Bourbon Argos naviga a circa 25 miglia nautiche dalla costa libica e per tornare in Sicilia impiega quasi 2 giorni di navigazione. In questo lasso di tempo il personale di MSF ha delle funzioni precise. Ad esempio vi sono dei mediatori che hanno il compito di instaurare un primo contatto con i migranti (Psychological First Aid) per individuare i minori non accompagnati e i casi vulnerabili. E’ molto difficile fare una distinzione poiché essendo partiti dalla Libia quasi tutti sono stati ‘’vittime di tortura o di violenza’’, il che li dovrebbe definire, secondo il Decreto del Ministero dell’Interno del 27/06/2007, come “casi vulnerabili”. Anche i pochi che non ne hanno sofferto, ne sono stati testimoni.
A tutti viene consegnato uno zainetto con una tuta da ginnastica, un paio di calzini, una coperta e ovviamente da bere e da mangiare. Una delle operatrici di MSF ci racconta quanto sia difficile non sapere cosa accadrà alle persone una volta sbarcate dalla nave. Come abbiamo già riportato, infatti è impossibile sapere quale sarà la destinazione dei migranti usciti dal porto, visto che il sistema d’accoglienza italiano non rispetta gli iter burocratici previsti dalla legge.

Porto di Catania: i controlli della CRI durante lo sbarco
Porto di Catania: i controlli della CRI durante lo sbarco

Durante la nostra visita abbiamo potuto osservare cosa accade alle persone durante i loro primi passi sul continente europeo. Scesi dalla passerella come primissima cosa vengono consegnate delle infradito di gomma e un funzionario del Ministero della Salute misura la temperatura corporea con uno strumento che lui stesso definisce impreciso (Termometro elettronico frontale). Poi inizia la prima fila per la foto di riconoscimento, il loro volto viene associato ad un numero e solo dopo questa pratica la Croce Rossa Italiana svolge un primo momento di triage sulla valutazione clinica. Chi non ha bisogno di particolari cure mediche viene accompagnato nel “tunnel”, una serie di gazebi messi in fila dove i migranti vengono perquisiti e identificati. Questa zona è la più nascosta della banchina: i tendoni sono montati in maniera tale da rendere tutto il processo invisibile sia dall’entrata del molo sia dalla zona adibita ai giornalisti.

Porto di Catania: la zona di prelievo delle impronte
Porto di Catania: la zona di prelievo delle impronte

Abbiamo potuto osservarla e fotografarla solo perchè abbiamo avuto l’accesso alla nave di MSF, e comunque non siamo riusciti ad individuare in quale momento preciso vengono prelevate le impronte digitali. Ma Michele conferma che questo avviene prima di lasciare la banchina. Pur non essendo considerati dei centri hotspot ufficiali, a Catania come ad Augusta, la procedura hotspot viene comunque messa in pratica in tutte le sue fasi. Infine i migranti vengono divisi a gruppetti e fatti salire sugli autobus, principalmente della compagnia Atlassib.

Non è dato sapere dove sono diretti, ma siamo sicuri che questa non è che un’altra tappa del loro lungo viaggio attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. Passati dal caldo del deserto alle fredde prigioni della Libia, dagli orrori del mare aperto alle desiderate coste italiane, ora nei loro occhi si intravede un bagliore di speranza. Si prova un senso di amarezza al pensiero di quello che li aspetta: il sistema d’accoglienza italiano non è certo paragonabile alle torture della Libia, ma è molto probabile che la loro perseveranza verrà ancora scossa e portata allo stremo.

Porto di Catania: welcome!
Porto di Catania: welcome!