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tratto da www.strettoindispensabile.it

Il colore delle parole. Cronaca da Portopalo di Capopassero, dieci anni dopo la strage dell’F-174

di Andrea Di Grazia

Articolo orignale con la galleria delle immagini

Portopalo – La notte di Natale del 1996, nelle acque internazionali al largo dalle coste italiane, una nave carica di clandestini si spezzava in due divisa dalle onde del mare in tempesta. E affondava. Con 283 persone a bordo imprigionate nello scafo. Che ancora oggi riposano in pace sotto una tomba azzurra profonda 108 metri.Parto da casa alle 7.25. Ottima giornata di sole rubata all’inverno. Le feste sono alle porte, ma anche oggi sulla SS 114 si incontra qualche auto con gommone al seguito, in direzione Siracusa. Non avevo mai visto il Tiger Bar di Agnone Bagni così poco affollato.”O è presto o è tardi – spiega il benzinaio alla pompa – Il grosso dei pescatori è già passato stamattina, gli altri arriveranno fra qualche ora”. Gli “altri” sono i tanti turisti che nelle giornate come questa, in moto o in macchina, si mettono in marcia verso il mare alla ricerca di un po’ di tepore e di aria aperta. Dopo Avola sembra già primavera. La campagna in questo periodo dà il meglio di sé, grazie alle piogge abbondanti che ingrassano la terra rossa. Mentre nel resto d’Italia i campi dormono intirizziti dal freddo qui è tutto in fiore e grazie alle serre la stagione buona non finisce mai. Grandi praterie di plastica bianca brillano intorno alla strada. Piante da tutte le parti, a perdita d’occhio.

Il percorso è semplice, in sostanza basta scendere sempre verso sud fino a quando non si incontra l’estrema punta della Trinacria, non si può sbagliare. Ma con sorpresa vedo che c’è una novità di cui all’inizio non mi ero accorto : un po’ ovunque sono comparsi dei cartelli di segnaletica che indicano a caratteri bianchi la direzione da seguire per arrivare a Portopalo. Ce ne sono anche troppi, forse. Ad un incrocio me ne trovo davanti due che indicano direzioni opposte: “una strada costiera passa da Marzamemi un’altra taglia per l’interno ed arriva direttamente all’Isola delle Correnti”, spiega un trattorista a cui chiedo informazioni.

In paese sembra tutto più o meno uguale a qualche mese fa. Più a sud di Tunisi il termometro segna 22 gradi il 23 dicembre. Il mare però è mosso a causa della tramontana e dalla spiaggia una nebbia salata sbatte contro le prime case. I locali che ad agosto sono pieni di bagnanti in costume adesso hanno le saracinesche chiuse, in giro ci sono gli abitanti affaccendati e un ambulante che vende biancheria in giro con la sua vecchia Citroen. Posteggio l’auto nel piazzale di fronte l’Isola di Capopassero dove di solito si piazza una giostra per bambini. Sul muro c’è una vecchia scritta nera: “l’isola è dei pescatori, non degli intrusi mangia franchi e scarpari”. Un signore mi osserva incuriosito dalla porta del suo locale. “Si può avere un caffè?” chiedo avvicinandomi.” Il bar è chiuso – risponde dispiaciuto – teniamo aperto solo il ristorante. In questa stagione non si lavora molto, apriamo la sala sperando che venga qualche comitiva. Solo per difenderci…” Difendersi da cosa?

La via Vittorio Emanuele non è così solitaria come pensavo di trovarla, anzi c’è parecchia attività. In piena stagione sembra una piccola Rimini. Vengono turisti di ogni tipo, anche se la maggior parte sono Catanesi che hanno costruito una seconda casa nelle contrade vicine al mare o ne prendono una in affitto per alcune settimane. Portopalo è l’antitesi di un paese morto. Ha un vestito diverso per ogni periodo dell’anno, il lavoro non si ferma mai. I pedalò sono tirati a secco e le docce non funzionano da mesi, ma poco distante passano i pescatori con gli stivali ancora ai piedi ed i furgoni infangati che vengono dalle campagne. “Qualcuno c’è sempre, anche se il pienone vero è quello estivo”, dice Paolo alla cassa del suo negozio di articoli sportivi per il mare. Al panificio c’è la fila, per comprare un filone impiego cinque minuti. “Aspetto solo di mettermi in pensione per trasferirmi definitivamente qui”, confida il sig. Barbagallo, che da oltre vent’anni viene da Catania ogni domenica per controllare la sua proprietà e riposarsi in compagnia di qualche amico.

Passando per le vetrine di una cartolibreria mi cade l’ occhio su un libro che conosco bene, “I Fantasmi di Portopalo”, di Giovanni Maria Bellu con prefazione di Carlo Lucarelli. “Natale 1996: la morte di 300 clandestini ed il silenzio dell’Italia”, recita il catenaccio sotto il titolo di copertina. L’inchiesta della magistratura sul naufragio dell’ F-174 cominciò proprio con gli articoli di Bellu pubblicati su Repubblica che portarono, grazie al contributo di Salvatore Lupo, alla scoperta in mare del relitto e dei cadaveri adagiati sul fondo. A partire dal gennaio del 1997 vennero ritrovati nelle reti a strascico decine di resti umani che i pescatori ributtavano in mare per paura di vedere sequestrata la propria imbarcazione. “Ne abbiamo vendute un centinaio di copie dopo la presentazione del libro – dichiarano in negozio – e un altro centinaio negli anni seguenti. L’ultimo volume lo ha comprato un cliente stamattina, credo per cultura personale. Non era un regalo di Natale.”

“Il vero boom del turismo ci fu negli anni ’70 e ’80, quando arrivavano in massa ad accamparsi sulle spiagge. Noi non potevamo neanche fare il bagno per la folla che c’era – dice il proprietario del Verricello, un negozio di souvenir al centro del paese – Adesso riesco a guadagnare qualcosa solo nei mesi estivi, poi vado avanti con la pensione, il negozio non rende molto. “Mentre parliamo dei pesci che non ci sono più e dei problemi locali salta fuori la questione dei clandestini, e quella vecchia storia del naufragio. “In questi anni se ne è parlato tanto, soprattutto dopo le cose che ha raccontato Bellu. Io ho letto il libro sette volte, e rimango convinto sempre di una cosa: è giusto che se ne parli ancora, non si deve dimenticare la morte di tutte quelle persone. Ma anche adesso ci sono molti sbarchi. Pochi giorni fa c’era uno di questi extracomunitari seduto al bar qui accanto, come se niente fosse. Poi se lo sono portati via. In diverse occasioni abbiamo avuto delle emergenze ed abbiamo sempre fatto il possibile per aiutare tutti. Una volta, mentre eravamo in campagna, mia moglie ha dovuto cucinare delle focacce per dare da magiare a questi disperati…”

“I clandestini sono solo una copertura per nascondere affari più grossi- aggiunge Giuseppe Bono, Pechinese trapiantato a Portopalo, che nel frattempo è entrato in negozio per lasciare alcune copie di Zoom Sicilia su cui tiene una rubrica di cucina – La faccenda degli immigrati è solo la punta di un iceberg. Ci sono tanti altri problemi di cui non si parla, in questo paese, dalla droga al traffico d’armi. Proprio in questi giorni hanno bruciato la macchina ad un Maresciallo della Capitaneria di Porto che sorveglia le nostre coste. E secondo me dietro ci sono storie più grosse…”. Mentre parliamo sul ciglio della strada si avvicina un’auto dei Carabinieri per chiedere a Giuseppe chi sia e se abiti in paese. Il block notes sventola fuori dalla tasca dei pantaloni.

All’inizio non è stato facile portare il discorso su questo binario. Giuseppe, come altra gente che ho conosciuto, è una brava persona ed ha tanta voglia di raccontare il suo punto di vista. Tutto mi risulta chiaro solo al termine di una discussione universale durata ore. Anche a Lampedusa avrebbero potuto dare delle risposte simili. Nessuno è contro gli immigrati, ma il rischio è che parlando sempre di loro si dimentichi tutto il resto. Questo fa paura. Non è la memoria, è il marchio che le è stato dato. Il colore nero delle parole è diventato inchiostro indelebile su tutte le altre storie. Belle. Brutte. Vere.

Michele Giordanella ha una seconda casa in cui viene tutti i giorni da Pachino. Scambiamo quattro chiacchiere sulla spiaggia che scompare sotto la schiuma dei cavalloni. Parlando di clandestini gli viene in mente una storia famosa da queste parti, che a suo tempo commosse l’Italia e fece notizia. “E’ successo una ventina d’anni fa,mi sembra. Era una delle prime volte che arrivavano qui. Due poveretti stremati, dopo lo sbarco furono adottati dalla famiglia Aprile li prese a lavorare con sé trattandoli come figli, anche se erano clandestini. Ne parlarono anche alla Rai con Pippo Baudo che se ne interessò…” “Ha mai visto con i suoi occhi uno sbarco?” gli chiedo sapendo già quale sarà la risposta. “Certo, ne ho visti tanti in questi anni. Quest’inverno è capitato diverse volte che qualche barcone cercasse di approdare qui, forse perché c’è questo piccolo molo. Si avvicinano quasi fino a toccare terra, ma poi se ne vanno perché vedono me e qualche altro mio vicino e si spaventano. Però mi ricordo che oltre noi non c’era nessun altro, né Capitaneria né Carabinieri a controllare…”

Questo dato lo confermano anche altri, che raccontano vicende analoghe. Enzo Messina, pescatore dilettante, un giorno d’estate del 2005 stava tirando su qualche pesce insieme ad un amico con il gommone di fronte l’Isola delle Correnti. Ad un certo punto gli passa davanti una barca piena di gente, diretta a riva. “Credevo fosse una gita turistica, come quelle che organizzano spesso da queste parti. Ma erano tutti vestiti. Si sono avvicinati in spiaggia e sono scesi tutti. Non sapevano cosa fare. All’ inizio si sono messi ad aspettare accovacciati sulla sabbia, poi se ne sono andati nelle campagne ed il barcone ha preso il largo di nuovo. Oltre a noi c’erano altri diportisti, ma non ricordo nessun mezzo della Capitaneria.”

Portopalo è famoso per il suo pescato. Molti appassionati vengono apposta per trovarlo o andarselo a pescare, anche se in questi anni è diminuito parecchio. In paese ha aperto da pochi mesi una pescheria, perché il pubblico non può più andare direttamente al mercato ittico. “Il nostro è un prodotto speciale, buonissimo! E’ molto richiesto, lo esportiamo anche fuori – afferma orgoglioso il proprietario – Questo che vede lo pesco direttamente io. Nell’etichetta è indicata la provenienza, ed ogni barca ha il suo certificato. “Dopo la strage del ’96, in seguito al ritrovamento dei cadaveri in mare, si diffuse la notizia del “pesce cannibale”, che impressionò molti, soprattutto fuori dalla Sicilia, dove ancora oggi la storia dell’F-174 è conosciuta meglio che a Palermo o a Catania. Forse perché se ne è parlato di più sui giornali nazionali che su quelli locali.

“Ma non è stata detta ancora tutta la verità. Ci hanno fatto passare per cannibali, per criminali, però nessuno mai ha voluto sentire come la pensavamo noi – gridano i pescatori dell’associazione San Francesco di Paola, ai quali avevo chiesto per caso una informazione – Quando sono venuti i giornalisti della televisione tedesca a girare un reportage, hanno montato immagini solo per fare spettacolo. Ad esempio hanno scambiato la lamentazione di un anziano (una tradizione locale) per un grido di dolore, mettendo questa sceneggiata nel documentario su corpi trovati a mare!” “Perché hanno sentito solamente il parere di Salvo Lupo – dice uno dei presenti – perché lo hanno fatto passare per eroe e non hanno chiesto niente a noi?E’ giusto sentire una sola voce? Che verità è?”

Anche Don Calogero Palacino la pensa in questo modo. All’ inizio ero abbastanza spaventato all’idea di chiedergli qualcosa. Per parlare con lui ho ascoltato tutta la messa. Ad un certo punto mi sono sentito chiamato in causa, quando il suo discorso ha cominciato a farsi molto duro verso i mezzi di informazione ed arrivato a dire “In questa chiesa ci sono delle spie”, durante l’omelia. Poi con modi gentili mi ha ricevuto in sagrestia, e ha cominciato a raccontare la sua versione dei fatti. “Abbiamo sempre accolto tutti, prima del naufragio e anche dopo, siamo sempre stati disponibili ad aiutare il prossimo seguendo il messaggio cristiano, anche se ormai ci conoscono come i Cannibali. Abbiamo una piccola comunità di questi clandestini e da poco tempo una ragazza ha dato alla luce un bambino, nato a Portopalo. Non c’è bisogno di un monumento per i morti del naufragio, ne abbiamo già uno che ricorda tutti i morti del mare. Quest’anno, inoltre, abbiamo dedicato il Natale al tema dell’Accoglienza ed il 26 dicembre, mentre i comunisti faranno una loro manifestazione, noi ne faremo un’altra in cui leggeremo i nomi di tutti i caduti del mare. “Ci salutiamo con la promessa di rivederci martedì. Mi consiglia di leggere gli Atti degli Apostoli al capitolo 27- 28, in cui si parla del naufragio di San Paolo a Malta: “I maltesi perciò ci trattarono con grandi onori […]”.

Mi hanno detto di andare in porto. In cantiere ci sono le barche sequestrate agli scafisti, tirate a secco per essere smantellate. “Se vuoi puoi salire a dare un’occhiata”- dice Mohammed mentre passa la vernice sullo scafo di un peschereccio. Non è italiano. Gli chiedo quale sia il suo paese.” Sono arrivato due anni fa dalla Tunisia, con una di queste barche. Tunisia, poi Malta e da lì a Portopalo. Si arriva in poche ore. Non ho pagato il viaggio perché mi hanno portato amici. Alla fine sono rimasto qua,dove ho trovato lavoro.” Salgo su una cassa e mi arrampico nella prima carretta.

Ce ne sono quattro vicine. Tutte molto simili, anche se qualcuna è in condizioni peggiori. Il ponte è pieno di vestiti, molte scarpe dispari, molta biancheria da donna. E poi giubbotti, guanti e pantaloni. In questo modello di natante ci sono tre piccole stive separate, una a poppa, una centrale accanto al motore e una a prua. Si scende da una botola aperta, da cui entra la luce. Dentro c’ è di tutto.Calpesto decine di vestiti umidi, resti di cibo, lattine con scritte in arabo. In tutte le barche ci sono molti cartoni blu e bianchi di latte per bambini, sempre della stessa marca straniera. Piccole calze. Piccole magliette. Un marsupio per neonati, lasciato in mezzo alle cassette di pesce. Tutte queste cose sono ancora in buono stato, abbandonate alla rinfusa in modo precipitoso.

Mentre ero nella stiva si è fatto buio,non me ne sono accorto. Rimango ancora un attimo per scattare le ultime foto. I manovali si riuniscono e lasciano il cantiere. Fra loro c’è anche Mohammed che sta andando via a piedi. Gli si avvicina un collega. E’ in macchina. “Serve un passaggio cumpà? Sali, ti accompagno io. Andiamo a Casa”.