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Il governo degli Stati Uniti accusato di rimpatriare i migranti centramericani, condannandoli alla morte

Un’inchiesta del Guardian svela il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti nel rimpatrio di migranti irregolari in America centrale

di Sibylla Brodzinsky da San Pedro Sula e Ed Pilkington da New York

Un’inchiesta del Guardian ha svelato il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti nel rimpatrio di migranti irregolari in America centrale. Lasciati soli a fronteggiare le incombenti minacce di violenza nei loro paesi natii, vanno incontro alla morte pochi giorni o mesi dopo il loro ritorno.

Il Guardian ha confermato tre casi separati di cittadini honduregni freddati a colpi di pistola poco dopo essere stati rimpatriati su ordine del governo degli Stati Uniti. Tutti e tre colpiti nelle loro città di residenza e poco tempo dopo il loro ritorno a casa – di cui uno pochi giorni dopo essere stato espulso dagli Stati Uniti.

Gli esperti nel campo dell’immigrazione credono che le rivelazioni del Guardian siano solo la punta dell’iceberg. Uno studio accademico prossimo alla pubblicazione basato su notizie di quotidiani locali ha identificato ben 83 migranti deportati dagli Stati Uniti successivamente uccisi sulla via del ritorno a El Salvador, Guatemala e Honduras a partire da gennaio 2014.

I gruppi promotori dei diritti umani hanno denunciato che le misure deterrenti intraprese dall’amministrazione Obama dopo l’ondata di arrivi al confine di minori non accompagnati dell’anno scorso hanno inavvertitamente scatenato una serie di pericolose conseguenze all’interno della regione.

Il numero di migranti che quest’anno hanno oltrepassato illegalmente il confine statunitense con il Messico è fortemente diminuito. Ma le crescenti misure di sorveglianza militari e i controlli alla frontiera sud hanno costretto i migranti ad intraprendere rischi maggiori nella scelta delle rotte migratorie. E anche se il numero di coloro che tentano di attraversare la frontiera messicana è sempre minore, il numero dei morti continua a salire, secondo gli attivisti del luogo.

Mothers from Honduras traveling with their children prepare to get into a US Border Patrol truck after crossing the Rio Grande near McAllen, Texas. Photograph: Rodolfo Gonzalez/AP
Mothers from Honduras traveling with their children prepare to get into a US Border Patrol truck after crossing the Rio Grande near McAllen, Texas. Photograph: Rodolfo Gonzalez/AP

Gli effetti collaterali dell’inasprimento delle politiche anti-immigrazione sono evidenti anche in Messico, dove le autorità hanno anch’esse aumentato il livello di sicurezza al confine meridionale del Paese. Ciò ha costretto i migranti a compiere lunghe deviazioni, scegliendo strade ancora più lontane e pericolose, dove il rischio di rapine, stupri, rapimenti e morte è maggiore.

Gli esperti di diritti umani avvertono che nella fretta eccessiva con cui vuole espellere o scoraggiare migranti irregolari, il governo degli Stati Uniti sta trascurando il suo impegno a garantire asilo a coloro che veramente fuggono da situazioni di pericolo, in violazione del diritto internazionale.

Il danno collaterale causato dalle crescenti e imperdonabili deportazioni operate dagli Stati Uniti, è che i migranti vengono rimpatriati in situazioni di estremo pericolo nell’America centrale, in cui il tasso di omicidi è uno dei più alti al mondo.

Attraverso le notizie giunte dal nord del Honduras e le istanze di maggiore libertà di informazione negli USA, il Guardian ha ricostruito le storie di tre giovani honduregni scappati negli Stati Uniti dopo che i loro fratelli erano stati brutalmente attaccati dalle squadracce del luogo, di cui uno dei tre fatalmente.

José Marvin Martinez aveva 16 anni quando è scappato dal villaggio di San Manuel nel nord dell’Honduras per raggiungere gli Stati Uniti. I parenti dichiarano che pochi mesi prima il fratello Rigoberto era stato ucciso a colpi di pistola da dei membri di una gang locale.

I documenti delle deportazioni ottenuti grazie ai regolamenti sulla libertà di informazione dimostrano che Martinez era stato arrestato a Laredo, Texas, nel maggio 2013, dove lavorava come assistente muratore a Houston, quando un agente della polizia frontaliera ci si era imbattuto nel negozio di Dairy Ranch. Nell’aprile 2014 era stato convocato presso una delle corti di esame per l’immigrazione (responsabile dell’inclusione o dell’espulsione dei migranti negli USA, ndt), ma non si era presentato. Gli era stato quindi inviato un “avviso di rimpatrio”, era stato finalmente individuato e rispedito in Honduras nell’agosto di quell’anno.

Il 14 dicembre – quattro mesi dopo essere stato deportato – Martinez, conosciuto sul posto come El Chele o “Blondie”, sedeva fuori da un negozio all’angolo a San Manuel, quando un uomo armato di pistola ha aperto il fuoco su di lui attraverso il finestrino di un furgone, uccidendolo. “Se un migrante che è stato deportato non è in grado di trovare un posto sicuro, verrà sicuramente ammazzato”, dice Jaime Coto, un investigatore honduregno.

Un altro dei casi seguiti dal Guardian riguarda Angel Diaz, di 26 anni, mandato negli Stati Uniti dal padre dopo che il fratello era stato rapito da una banda honduregna e picchiato quasi fino alla morte. In aprile di quest’anno, Diaz è stato arrestato dalla polizia a seguito di un caso di violenza domestica. Trovato senza documenti, è stato spedito direttamente in un centro di detenzione per migranti destinati al rimpatrio. È stato poi rimpatriato in Honduras in luglio, e, qualche giorno dopo freddato in un autobus locale, si pensa da una delle gang del luogo.

Nel terzo caso, Juan Francisco Diaz era stato deportato in marzo nella sua città natale Choloma, in Honduras, dopo aver vissuto per tre anni clandestinamente negli USA. Quattro mesi dopo la deportazione è stato trovato morto in un vicolo nel quartiere dei suoi genitori.

Elizabeth Kennedy, una studiosa di scienze sociali all’Università di San Diego, ha ricostruito il percorso dei migranti deportati dagli USA che sono stati uccisi lungo la strada per il ritorno verso l’America centrale da gennaio 2014, attraverso notizie riportate sui quotidiani locali. Le ricerche pubblicate in seguito hanno identificato 45 casi simili in El Salvador, tre in Guatemala e 35 in Honduras.

“Questi dati ci dicono che gli USA stanno condannando a morte i migranti in via di rimpatrio, in violazione delle leggi nazionali e internazionali. In gran parte dei casi di assassinio riportati, i migranti vivevano in villaggi in cui i livelli di violenza sono particolarmente elevati, in alcuni dei Paesi con un tasso di violenza più alto al mondo – lasciando intendere che questo è il motivo principale per cui queste persone scappano” afferma la Kennedy.

Le autorità governative interpellate dal Guardian hanno preferito non commentare i casi individuali. Ma il portavoce del Dipartimento di Sicurezza Nazionale, SY Lee, afferma che gli USA offrono protezione attraverso una serie di canali diversi a coloro che temono di diventare vittime di violenza nei loro Paesi di origine. “Ogni anno, migliaia di migranti vengono ammessi in questo Paese come parte del programma di asilo d’oltreoceano o viene loro riconosciuto il diritto all’asilo dal Dipartimento per la Sicurezza Nazionale o dal Dipartimento di Giustizia”.

Il signor Lee ha inoltre sottolineato che le attività criminali che hanno luogo nei Paesi di origine non costituiscono una ragione sufficiente a richiedere l’asilo politico, a meno che non rientrino in uno dei cinque casi specifici di persecuzione per razza, religione, nazionalità, parte di un determinato gruppo sociale o opinioni politiche. A coloro che subiscono le deportazioni – compresa l’espulsione immediata – “è concessa l’opportunità di fare richiesta di asilo e/o di altre forme di protezione”.

Il fatto che i migranti irregolari siano rimpatriati in America centrale nonostante il pericolo a cui vanno in contro si pone in netto contrasto con la pomposa retorica dell’immigrazione negli USA – in parte alimentata dai candidati repubblicani alla presidenza. Guidati da Donald Trump, i contendenti si sono occupati quasi esclusivamente della necessità di sloggiare più “immigrati illegali” – Trump vorrebbe deportare tutti gli 11 milioni presenti in territorio statunitense – o di costruire un muro a ridosso del confine con il Messico.

Ma le statistiche dipingono una situazione molto diversa. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio Doganale e di Difesa dei Confini statunitense (US Customs and Border Protection, CBP) il numero di minori non accompagnati arrestati al confine sudoccidentale sarebbe finora molto minore rispetto al picco di 66.000 persone raggiunto durante l’ondata migratoria della scorsa estate.

Clara Long, ricercatrice in ambito delle migrazioni per Human Rights Watch, afferma che subito dopo l’impennata del 2014 c’è stato un inasprimento generale dei servizi all’immigrazione statunitensi. “Gli arresti sono aumentati e le persone vengono sempre più indirizzate verso le procedure di rimpatrio immediato in cui le richieste di asilo non vengono dovutamente considerate”.

Un recente rapporto stilato da Human Rights Watch ha concluso che l’uso crescente dei così detti “allontanamenti accelerati” di migranti portati a termine da ufficiali USA lungo il confine con il Messico comporta il riavvicinamento di molti a potenziali situazioni di pericolo, nonostante essi abbiano già espresso i loro timori nel tornare a casa. “Ciò mette in pericolo, a nostro avviso, la dignità e le vite degli altri” afferma la signora Long. “Parte dell’identità degli USA è l’osservanza del diritto internazionale, e ciò implica che quando le persone scappano per salvaguardare le loro vite, gli Stati sono obbligati a garantirne la protezione. In questo modo si stanno mettendo le persone di fronte ad un sistema di crescente criminalizzazione e detenzione che rischia di riportarle verso la morte”.

Secondo l’inchiesta del Guardian, anche le autorità messicane si avvalgono dei rimpatri immediati di immigranti in potenziale pericolo. Gredis Alexander Hernandez, per esempio, era scappato dall’Honduras assieme alla sorella dopo aver assistito alla morte del ragazzo di lei. Temendo per le loro vite, fratello e sorella hanno attraversato il Guatemala diretti negli Stati Uniti, ma sono stati catturati tentando di entrare in Messico. Due giorni dopo essere ritornati nella loro città natale, Hernandez è stato assassinato con due colpi di pistola alla testa mentre giaceva nel suo letto. Aveva solo 14 anni.

I gruppi in difesa dei diritti umani denunciano che, in quanto architetto dell’inasprimento delle misure anti-immigrazione, il governo degli Stati Uniti è in parte responsabile di queste tragedie.

Nelle parole di Maureen Meyer dell’Ufficio per l’America Latina a Washington: ”L’amministrazione Obama ha trovato un modo per nascondere la così detta crisi dei migranti centramericani al confine. Ma a quale costo?”.

Informazioni a cura di Jo Tuckman a Ixtepec e Rory Carrol ad Altar.