Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 30 giugno 2004

Il permesso per la vacanza di Cinzia Gubbini

L’Italia libera i suoi ostaggi, almeno dal primo luglio al 30 settembre. Le migliaia di persone straniere che sono in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, infatti, potranno tornare a casa per le vacanze, come hanno chiesto nelle settimane passate con grande forza il movimento antirazzista, il mondo dell’associazionismo, i sindacati. Tanto che diverse questure – da Pavia, a Padova, a Treviso, e ultimamente anche Mantova – avevano già stretto accordi con i sindacati e le associazioni locali per risolvere il problema dei rinnovi sempre più lenti (anche più di un anno) che impedivano ai migranti di godersi le meritate vacanze, poiché con il permesso scaduto è vietato attraversare la frontiera e poi rientrare. La soluzione escogitata dal ministro dell’interno Pisanu e dal suo staff (con in testa il prefetto Pansa) ricalca la strategia adottata da alcune delle questure «ribelli», con la differenza che ad essere coinvolte nella procedura sarà la polizia di frontiera. La circolare che spiega come fare è stata inviata ieri dal capo della polizia Gianni De Gennaro ed è consultabile sul sito www.poliziadistato.it.

Cosa dovranno fare, dunque, i migranti in attesa del rinnovo per espatriare? Semplice: presentarsi alla frontiera con il passaporto o un documento di identità equivalente, la ricevuta della presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, copia o originale del permesso scaduto. A quel punto la polizia di frontiera apporrà uno speciale timbro di uscita sia sul passaporto che sulla ricevuta. Le limitazioni sono tre: bisognerà entrare e uscire dallo stesso valico di frontiera, non sarà possibile attraversare altri paesi Schengen e quindi bisognerà viaggiare per forza o con la nave o con l’aereo, il periodo di «libera uscita» è stato fissato in due mesi (primo luglio, 30 settembre).

La notizia ha suscitato comunque soddisfazione tra chi, negli ultimi mesi, si è battuto perché venisse risolto il problema. Persino le questure – inondate dalle pratiche – avevano lanciato segnali al Viminale e a Milano richieste di proroga dei permessi in scadenza erano venute dai consiglieri comunali di centrodestra. Due settimane fa in diverse città gruppi e associazioni antirazziste erano scese in piazza per denunciare il problema. Per loro, l’apprezzabile mossa del ministro Pisanu ha un sapore di vittoria in più: conferma che la logica securitaria alla base della Bossi-Fini non paga. Aver dimezzato la validità del permesso di soggiorno ha finito per intasare gli uffici. Un’emergenza «determinatasi non solo per la mancanza di personale, ma soprattutto a causa delle rigidità e della farraginosità delle procedure introdotte da una legge chiaramente improntata ad una cultura del sospetto», ha detto ieri Ali Baba Faye del Forum Fratelli d’Italia (Ds). «E’ una vittoria del movimento antirazzista che già prima dell’approvazione della legge aveva lanciato l’allarme sui suoi effetti – osserva Aboubakar Soumahoro della Rete immigrati in movimento di Napoli – comunque penso che di questa legge non servano solo modifiche, occorre abrogarla». «E’ una semplice toppa, ma vista la situazione è un passo avanti – osserva Kurosh Daresh, della Cgil nazionale – una decisione che è stata presa anche sulla spinta dei sindacati, che hanno denunciato con forza l’assurda situazione».

«La legge ha bisogno di revisioni, ma apprezziamo il tempestivo intervento del ministero dell’interno», commenta Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio, che recentemente aveva lanciato l’allarme sui 102 mila permessi di soggiorno bloccati a Roma per il rinnovo. «Chiaro che i problemi restano per chi ha in mano solo la ricevuta: difficile cambiare lavoro, prendere la patente eccetera», conclude Marazziti. «Il problema è come le politiche governative gestiscono l’immigrazione, come se non esistesse, precarizzando la vita di migliaia di persone», osserva Filippo Miraglia dell’Arci auspicando si arrivi presto a demandare le pratiche burocratiche agli enti locali. Una «rivoluzione» a cui si sta lavorando da tempo, ma che fatica a dare esiti positivi.