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Il sistema italiano di accoglienza dei migranti è sull’orlo del crollo

Diego Cupolo, Irin News - 15 giugno 2017

Photo credit: Alessandro Penso / MSF

Le migrazioni irregolari dalla Libia attraverso il Mediterraneo hanno travolto le istituzioni ed il personale statale italiano ancora prima che cominciasse il picco degli sbarchi, verso metà estate. Dall’inizio dell’anno ad oggi l’Italia ha ricevuto il 19 % in più di persone rispetto ai numeri relativi allo stesso periodo del 2016, un anno che già aveva battuto il record in termini di arrivi. In risposta a questa situazione, il sistema politico italiano sta lavorando per riformare radicalmente il sistema nazionale di accoglienza dei migranti.

Le riforme sono state guidate dal decreto immigrazione Minniti, che è passato ad aprile e prende il nome dal Ministro degli Interni Marco Minniti. La legge mira a riorganizzare un sistema di asilo da tempo ostacolato da un accumulo di richieste e ricorsi arretrati, principalmente tramite una accelerazione dei procedimenti giudiziari e attraverso l’espulsione di coloro ai quali sia stato negato l’asilo.

Tra le disposizioni chiave della nuova legge vi è la creazione di 16 nuovi centri di espulsione, il primo dei quali si prevede aprirà in agosto, che si aggiungono ai quattro già esistenti sul territorio nazionale. Il decreto sopprime inoltre il diritto a un secondo grado di ricorso in appello avverso la decisione di primo grado del tribunale sulla domanda di asilo. In passato, i richiedenti asilo potevano infatti ricorrere più volte contro le decisioni negative sulle proprie domande di asilo, con udienze giudiziarie individuali che, a causa della lenta burocrazia italiana, possono richiedere anni.

Il decreto Minniti è un tentativo di ridurre le formalità amministrative negli uffici dello stato e chiudere le scappatoie lungamente sfruttate dai migranti irregolari che vogliono rimanere nel paese. Nonostante ciò, gli operatori umanitari sostengono che i cambiamenti apportati hanno aperto nuove lacune nel sistema, che rimane inadeguatamente monitorato e continua ad offrire un servizio inadeguato a quanti siano portatori di richieste di asilo legittime.

In particolare, il nuovo sistema lascia i migranti senza un acceso ai servizi sanitari nazionali fino a quando essi non abbiano ricevuto un documento di identificazione, cosa che normalmente avviene dai quattro ai sei mesi dopo il loro arrivo. Fino a poco tempo fa, a febbraio, i migranti potevano infatti accedere alle strutture pubbliche per le procedure mediche di emergenza. Ora invece le spese mediche di quanti restano senza un documento d’identità dovranno essere coperte privatamente dai centri di accoglienza che li ospitano.

Perché (non) funziona?

Nella maggior parte dei casi, il governo italiano prende in leasing proprietà sottoutilizzate, come alberghi chiusi o appartamenti sfitti, per dare alloggio ai migranti. I proprietari degli immobili assumono poi il personale di assistenza o lavorano loro stessi nell’accoglienza dei migranti, ricevendo 35 euro al giorno per ogni adulto e 45 euro al giorno per ogni minore ospitato. Questa somma deve da oggi coprire anche le spese mediche.

Flavia Calò, una psicoterapeuta dell’organizzazione Medici per i Diritti Umani (MEDU), che si occupa di vittime di tortura, ha dichiarato che sono già stati riportati casi di madri che, appena arrivate, si sono trovate a partorire a spese di questi centri già a corto di denaro.

Per i molti migranti che sono stati esposti a violenze fisiche, sessuali o abusi psicologici durante il loro viaggio attraverso la Libia, periodi prolungati senza assistenza sanitaria possono essere disastrosi.

Proprio la settimana scorsa, abbiamo ricevuto un paziente al quale avevano estratto di forza cinque denti in Libia” ha raccontato Flavia Calò a IRIN. “Questa persona ha bisogno di serie cure mediche a lungo termine… ed è un esempio dei molti migranti che portano cicatrici dei posti in cui sono stati prima di venire in Italia.”

Appena arrivati i migranti ricevono un controllo medico di base negli “hotspot” dove vengono prese loro le impronte digitali e vengono fornite loro informazioni su come compilare la richiesta di asilo.
In questi luoghi di arrivo e di prima assistenza, vengono somministrati trattamenti contro la scabbia e procedure sanitarie d’urgenza prima che i migranti vengano trasferiti nei centri di accoglienza, cosa che solitamente avviene entro qualche giorno.
Le patologie non trattate negli “hotspots” divengono responsabilità degli operatori dei centri di accoglienza.

In un centro della Sicilia meridionale, alcuni assistenti sociali che preferiscono restare anonimi, hanno detto a IRIN di essere venuti a conoscenza del nuovo divario nell’assistenza sanitaria solo dopo che ad uno dei loro residenti erano state negate le cure a Marzo. Quando abbiamo chiesto loro come curano i loro residenti malati senza accesso al sistema statale, uno degli assistenti sociali ha indicato una cassetta di pronto soccorso sulla sua scrivania e ha detto: “questo è il nostro sistema sanitario ora”.

Mentre rendevano queste dichiarazioni, gli assistenti sociali distribuivano bende e tamponi antisettici ad un residente con ustioni chimiche sui piedi e sulle natiche. Raccontano che la persona in questione ha ferite aperte su diversi strati di pelle e che molti dei nuovi immigrati arrivano con ustioni di questo tipo dopo essere stati seduti per lunghi periodi dentro a barche piene di acqua salata, olio di motore e gasolio mischiati assieme.

Anche quando i migranti hanno finalmente ricevuto un documento d’identità, vi è la possibilità di un’ ulteriore interruzione nell’accesso alla sanità pubblica, quando, dopo sei mesi, quegli stessi documenti scadono e devono essere rinnovati.

Bloccati dalla burocrazia

Gli assistenti sociali hanno dichiarato che il sistema crea eccessive formalità amministrative per gli impiegati del centro, che sono responsabili per la gestione dei rinnovi e dell’amministrazione delle richieste di asilo individuali. Nei primi cinque mesi dell’anno, sono state presentate in Italia 61.800 richieste di asilo, rispetto alle 40 000 presentate durante lo stesso periodo nel 2016, secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per il rifugiati, UNHCR/ACNUR.

I migranti sono totalmente dipendenti da noi per la gestione dei documenti” ha raccontato un dipendente a IRIN. “Io sono un assistente sociale. Dovrei prendermi cura delle loro questioni personali, creare connessioni sociali, conoscere gli individui… ma di raro lo faccio, perché cerco sempre di stare dietro ai loro casi e di occuparmi delle routine amministrative di moduli e documentazioni“.

A complicare ulteriormente le cose, gli standard operativi e i requisiti amministrativi sono diversi di provincia in provincia, il che significa che il sistema di ricezione è tutt’altro che uniforme. Mentre una certa realtà locale può esigere dai centri di offrire lezioni di italiano e programmi di studio e lavoro, altri non lo fanno. Gli standard di qualità sono stabiliti dai comuni e gli operatori sociali hanno raccontato ad IRIN che spesso essi dipendono da quanto le autorità vogliono essere coinvolte in questioni di questo tipo, questioni che spesso non riscuotono successo nelle cabine elettorali.

Le valutazioni statali dei centri di accoglienza tendono a limitarsi all’integrità strutturale e ad una verifica della sussistenza degli elementi base, come ad esempio se vi è un adeguato numero di letti e bagni funzionanti, ha dichiarato Lucia Borghi, che monitora la Sicilia orientale per l’organizzazione Bordeline Sicilia, una ONG italiana. Molto centri offrono solo lo stretto necessario per la sopravvivenza dei migranti, mentre alcuni programmi fondamentali per un’integrazione di successo, come corsi di lingua italiana, sono lasciati privi della supervisione delle autorità in alcune zone.

Hanno un posto dove mangiare e un posto per dormire, ma non hanno opportunità per entrare nella società, trovare lavoro, o imparare nuove competenze” ha detto Borghi, “Questo crea depressione e noia in molti centri, dove gli immigrati non hanno molto altro da fare a parte guardare la tv e navigare su internet.
Alla fine, li vediamo accettare lavori sul mercato nero, spesso in agricoltura, dove diventano vittime di reti di sfruttamento dei lavoratori” ha aggiunto.

Il centro di accoglienza più grande d’Italia, il Cara di Mineo, ospita più di 3.000 migranti e spesso si aggiudica i titoli dei giornali locali come alveare di attività criminali. Tuttavia, Borghi ha segnalato anche altri centri più piccoli in aree rurali isolate, come Le Mole, un ex hotel nel sud della Sicilia che ospita circa due dozzine di migranti.
Il ‘Le Mole’ era un hotel, dunque l’interno è accogliente. Ma non c’è nulla li” ha dichiarato Borghi. “Quando il posto ha aperto inizialmente, per sei mesi di fila i residenti non vedevano nessuno a parte i guardiani.

Nuove strategie?

Fuori dai centri d’accoglienza statali, i centri gestiti tramite finanziamenti privati hanno sperimentato approcci alternativi nell’amministrazione e integrazione dei richiedenti d’asilo. Una struttura per 30 minori e madri single, gestito da Mediterranean Hope in Sicilia, offre ai nuovi arrivati accesso diretto alla comunità e alle strutture locali, semplicemente grazie all’ubicazione nel centro di Scicli, una piccola cittadina nella provincia di Ragusa.

Il centro impiega anche uno psicologo a tempo pieno, un esperto di educazione e un mediatore culturale per aiutare a formulare programmi e attività il più adatte possibili ai residenti. Giovanna Scifo, responsabile dei progetti del centro, che è finanziato dalla federazione della chiesa evangelica italiana, ha detto che flessibilità e creatività sono state vitali per il delicato compito di integrazione.

Il successo dei centri di accoglienza dipende dalla volontà degli impiegati e da quanto questi sono motivati ad aiutare i migranti durante i loro primi mesi nel nostro paese” ha detto Scifo. “Questo non è mai un incarico facile”.

Spiegando la differenza nella strategia adottata da questo centro, Scifo ha dichiarato: “Noi siamo una casa e non un istituto”. Ha fatto inoltre notare che la parola italiana “accoglienza” che denomina i centri dove gli immigrati vengono ricevuti, non ha una traduzione diretta in inglese, e significa far entrare qualcuno nella propria casa e ospitarlo.

Un tema ricorrente nelle discussioni sul sistema di accoglienza italiano e sui cambiamenti apportati tramite il decreto Minniti è la critica alla modalità di emergenza in cui le autorità continuano ad operare. Operatori umanitari come Calò, di MEDU, hanno detto che le lacune nell’assistenza sanitaria ai migranti e gli oneri amministrativi sono state le conseguenze di una legislazione a mosaico che sembra essere stata formulata con poca lungimiranza.
Se il governo italiano smettesse di vedere il fenomeno dell’immigrazione come un’emergenza, saremmo in grado di avere standard adeguati applicati a tutti nel sistema di accoglienza” ha dichiarato Calò.

Dal momento che continuiamo a perseguire un discorso di emergenza, nonostante alcune tendenze si ripetano da molti anni, ogni decisione tanto a livello statale che a livello locale è improvvisata e siamo abbandonati al sistema che vedi oggi”.


I funzionari del Ministero degli Interni italiano non hanno risposto alle ripetute richieste di IRIN di commentare questa relazione.