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Il trionfo della politica dell’inospitalità al Summit Europa-Africa

Emmanuel Blanchard, Bill MacKeith e Yasha Maccanico, Open Democracy ottobre 2015

Iniziano oggi a La Valletta, Malta, i due giorni del summit Europa-Africa sull’immigrazione, ma gli esiti sulla politica di deterrenza, sorveglianza e militarizzazione sono già scritti.

Mentre l’Europa affronta dalla fine dell’estate l’”emergenza profughi”, gli esperti si sono affrettati a considerare quale direzione potrebbe prendere l’Europa: si piegherà a rispettare i “valori comuni” propugnati dalla “generosa” Angela Merkel, la quale ha aperto le braccia ai rifugiati siriani, o adotterà piuttosto un atteggiamento più ostile, seguendo l’esempio dello “scandaloso” Viktor Orbán, che costruisce mura intorno all’Ungheria impedendo l’accesso agli stessi richiedenti asilo?

Abbiamo visto come in pratica questi due approcci siano ben lontani dall’essere contraddittori. Benché la Germania abbia aperto le porte ai rifugiati siriani, ha contemporaneamente messo in atto una politica che serve a respingere decine di migliaia di richiedenti asilo (nello specifico quelli provenienti dai Balcani) sotto il pretesto che si tratti di “falsi rifugiati”. Ancor peggio, il governo tedesco e il ministro dell’Interno hanno ideato strategie per far intendere ai futuri richiedenti asilo che non sono benvenuti, il tutto attraverso misure come la riduzione dei sussidi, gli arresti domiciliari e le pressioni verso i paesi d’origine.

Nel frattempo, chiudendo i propri confini, l’Ungheria non ha fatto altro che mettere in pratica una politica mirata ad impedire ai rifugiati di raggiungere i territori Europei. L’Europa, di fatto, ha lungamente incoraggiato tale pratica ai suoi confini esterni a Sud e ad Est, specialmente intorno l’enclave spagnola di Ceuta e Melilla in Marocco.

A distanza di sole poche settimane da quando il mondo si fermò, sconvolto alla vista delle foto del cadavere del piccolo Aylan Kurdi lambito dalle onde sulle coste della Turchia, i governi europei gettarono le maschere. Dai summit ministeriali eccezionali ai “discorsi storici” pronunciati al Parlamento Europeo, passando per i piani d’azione e altri testi redatti dalla Commissione Europea, l’UE ristabilì chiaramente le sue priorità in fatto di politiche di frontiera, subappaltando la gestione delle ondate migratorie agli stati vicini e scoraggiando i movimenti migratori.

Il summit Africa-Europa che ha inizio oggi a La Valletta, a Malta, a partire dall’11-12 novembre servirà a ribadire le stesse forzate politiche di inospitalità imposte dall’UE sugli stati vicini. Il summit vedrà riuniti 35 Capi di Stato africani e i governanti di 28 stati Europei e verranno discussi 5 principali tematiche: lotta alle cause della migrazione, migrazione e mobilità legali, protezione internazionale e asilo politico, traffico di esseri umani, rinforzo delle azioni di rimpatrio e riammissione. L’assemblea segue il Summit sull’Immigrazione e la Mobilità tenutosi a Bruxelles nell’aprile 2014, e prende spunto dai Processi di Rabat e Karthoum, entrambi mirati a controllare la migrazione ad ogni costo.

Scrivendo alla vigilia del Summit di Malta, Migreurop, una rete di 46 organizzazioni e 53 individui membri con sede in 17 stati dell’Europa, dell’Africa sub-sahariana, del Maghreb e del Vicino Oriente, ha voluto denunciare le priorità dietro le risposte dell’UE.
Nota per la sua Mappa dei campi di detenzione e per l’Atlante delle migrazioni in Europa, Migreurop mira a identificare, denunciare e diffondere informazioni riguardanti le politiche europee che marginalizzano i migranti – tra cui la detenzione, l’espulsione e l’esternalizzazione dei controlli sulle migrazioni – come soggetti “non desiderati” sul suolo europeo e che si ripercuotono sugli stati del Sud.

Migreurop promuove sinergie tra gli attori degli stati del Nord e del Sud al fine di raggiungere una visione condivisa e un’analisi di tali processi, in particolare quelli riguardanti l’esternalizzazione delle politiche di gestione dei flussi migratori, la detenzione dei rifugiati e la militarizzazione dei confini.

L’esperienza della nostra rete ci ha messo in guardia sulle conseguenze che può avere delegare a “stati terzi” gli obblighi internazionali che hanno l’Unione Europea e i suoi stati membri nei confronti dei migranti e dei richiedenti asilo politico, stati tra cui figurano anche regimi repressivi come in Eritrea e in Sudan. Tra quelli che verranno discussi al Summit di Malta, le seguenti proposte destano particolare preoccupazione: limitazione del numero di richiedenti asilo da ammettere in Europa attraverso i meccanismi di smistamento nelle “zone calde” e tassi maggiori di estradizione, subappalto della sorveglianza ai confini e la militarizzazione dei controlli alle frontiere.

Una politica di deterrenza, sorveglianza e militarizzazione

Gli hotspot sono stati causa di acceso dibattito da quando sono stati annunciati, all’inizio di quest’anno, come nuovi centri di accoglienza iniziale per i migranti. Attraverso gli hotspot la pratica della detenzione dei migranti diverrà sempre più diffusa, anche per i richiedenti asilo politico. Nel trionfo di una logica assurda, in Italia, dove il tempo limite per il fermo dei migranti è stato recentemente ridotto ad un periodo iniziale di 30 giorni, nel caso in cui le raccomandazioni del piano d’azione dell’Unione Europea sul rimpatrio venissero applicate, gli esperti del settore legale mettono in guardia che i richiedenti asilo potrebbero essere trattenuti fino a un anno come prassi ordinaria. Questi campi verranno usati per trovare i “rifugiati buoni” in mezzo agli “immigrati cattivi”.

Gli stati europei dichiarano essi stessi di voler “condividere il fardello” di accogliere migranti (in piccoli numeri), ma alla condizione che quei pochi diritti e le garanzie delle procedure custodite dalla legge per tutti i migranti vengano abbandonati. I centri sono stati pensati per essere un catalizzatore per le espulsioni, facendo di fatto aumentare il “tasso di rimpatrio” dei rifugiati che non riescono a rientrare nella tanta agognata cerchia dei migranti accolti (la possibilità di rientrare nella quota dei rifugiati è stata negoziata aspramente dagli stati membri).

Nell’accordo della Valletta vengono riaffermate le pratiche di subappalto a stati vicini all’UE per quanto riguarda la sorveglianza ai confini, così come per la ricezione di richiedenti asilo. Il 7 ottobre, il Presidente della Repubblica Francese ha pertanto affermato di fronte al Parlamento Europeo che “è in Turchia che i rifugiati devono, per quanto possibile, essere ricevuti”. La Commissione e la maggioranza degli stati membri adottano una linea simile, nonostante il fatto che più di due milioni di Siriani hanno già trovato rifugio in un paese dove il Presidente Erdogan sta intraprendendo una strada sempre più autoritaria, fomentando le tensioni fra la minoranza Curda e le forze democratiche.

Infine, con il summit di Malta la militarizzazione dei confini ha raggiunto un nuovo livello, una tendenza che in passato è già stata condannata a gran voce su openDemocracy 50.50 dai principali attivisti dei diritti umani del Nord e del Sud, tra cui Zahra Langhi della Piattaforma delle Donne Libiche per la Pace (LWPP), e Madeleine Rees di Lega Internazionale Donne per la Pace e Libertà (WILPF). In nome della lotta contro il traffico di esseri umani, stiamo assistendo a una vera guerra ai migranti. Le navi militari utilizzate nell’operazione EUNavfor Med, cinicamente rinominate ‘Sophia’, possono ora essere usate per trarre a bordo imbarcazioni sospette di essere coinvolte nel traffico di esseri umani nel mare. Domani, se l’ONU darà il proprio consenso, queste operazioni di intercettazione, insieme alla distruzione delle imbarcazioni, saranno autorizzate in acque libiche. Il destino più probabile per i passeggeri salvati dai loro presunti aguzzini sarà di essere spediti nei campi profughi in Italia o di essere rimpatriati e rimessi nelle mani di coloro dai quali cercavano di scappare, che sia in Libia o da qualsiasi altra parte.

L’agenzia Frontex, in particolare, che si occupa della sicurezza e degli aspetti militari sui confini europei, non può essere la soluzione all’”emergenza profughi”, come ha dichiarato Nina Perkoswki su queste pagine. Rinforzando le risorse finanziarie, materiali e legali dell’agenzia Frontex, l’UE sta essenzialmente mettendo in pratica una vera e propria rete di sorveglianza mirata a permette solo a un numero minimo di persone di avvicinarsi alle sue coste. Avendo bloccato l’accesso in Europa per via aerea negando visti a chi costituisce un presunto “rischio migratorio”, i vertici europei sognano ora un blocco impenetrabile lungo le coste del Nord Africa e della Turchia. Un progetto che dovrebbe essere coadiuvato da un percorso aereo per i rimpatri forzati per tutti coloro che dovrebbero essere riportati in quei punti strategici dell’UE trasformati in centri di smistamento (in particolare in Italia e sulle isole greche), migranti le cui vite sarebbero di fatto messe in pericolo.

Per giustificare il fallimento morale dell’Europa e il suo rifiuto di rispettare le convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti umani, compresi quelli che si applicano ai richiedenti asilo, le autorità europee continueranno a fare ricorso a una politica della paura: l’equilibrio degli stati membri e dell’Unione Europea in generale sarebbe minacciata dal “più grande flusso migratorio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”.

A supporto di questa posizione, le martellanti statistiche fornite da Frontex continueranno a sfornare numeri: non di meno, la stessa Frontex ha ammesso di aver alterato i conti, dichiarando non il numero effettivo delle persone ma quello dei passaggi alle frontiere. Questi ultimi, tenendo in considerazione i passaggi verso la Germania e il Nord Europa, sono stati contati numerose volte.

Le cifre nascondono volutamente il fatto che nel 2015 l’UE ha costituito veramente un miraggio per centinaia di migliaia di rifugiati ma che oggi non è più una vera terra di asilo: essa accoglie solo coloro che sono sopravvissuti ai numerosi ostacoli messi sul loro percorso, in numeri talmente piccoli che questa politica di inospitalità si mostra per quello che è. La Turchia, pertanto, che l’UE vorrebbe porre a baluardo contro ogni possibilità di valicare i propri confini, riceve almeno quattro volte tanto il numero di rifugiati siriani che tutti e 28 gli stati membri insieme.

Per il raggiungimento dei propri obiettivi, l’Unione Europea e i suoi stati membri si sono dimostrati capaci di ogni tipo di comportamento riprovevole: operazioni militari condotte da Francia e Belgio nel Sahel sono ora un mezzo per tagliare la strada alle migrazioni; sono stati fatti piani per costruire campi in Nigeria per facilitare i rimpatri forzati o “volontari” dai confini europei; i regimi più repressivi (come quelli in Sudan o in Eritrea, specialmente nel contesto del “processo di Khartoum”), i quali producono decine di migliaia di richiedenti asilo, ricevono sussidi per contenere la propria popolazione e “mettere in sicurezza” le proprie frontiere.

Queste negoziazioni dalla portata immensa, così come la questione degli accordi di riammissione (in altre parole, impegni da parte degli stati d’origine o di transizione a “riprendersi” le persone espulse dall’Europa), saranno i punti principali della discussione a La Valletta.

È con questi valori – inospitalità, negazione dei diritti fondamentali, e trattati cinici – che l’UE si presenta oggi al tavolo delle trattative a La Valletta, è si vedrà come gli esiti sono già stati scritti. Per raggiungere i propri scopi l’UE userà ogni mezzo a disposizione. Come se niente fosse, difenderà ostinatamente l’arresto domiciliare della maggioranza della popolazione mondiale stabilendo de facto il reato di migrazione, contravvenendo a ogni convenzione internazionale, in particolare l’Articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.

Emmanuel Blanchard è il presidente di Migreurop.
Bill MacKeith è il fondatore della Campagna per la Chiusura di Campsfield, ed è anche coinvolto nel Bail Observation Project, nella Coalizione Nazionale per le Campagne Anti Deportazione/ Diritto a Restare, con Barbed Wire Britain, e con il Detention Forum.. 
Yasha Maccanico è un Ricercatore di Statewatch.