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Reportage

In Algeria, il dolore e l’impotenza delle famiglie dei migranti in ostaggio in Libia

Zahra Chenaoui, Le Monde Afrique - 31 agosto 2017

Photo credit: Mahmud Turkia, AFP

Martin* è seduto, solo nella sua stanza, di fronte a un muro blu. I gomiti appoggiati al tavolo, il telefono in una mano, la sigaretta nell’altra. È camerunense. Abita ad Oran, in Algeria, da sette anni. Dal 2011 ha visto sempre più migranti come lui trasferirsi in Algeria. Ma da due anni ha visto anche quelli che si sapeva che volevano partire verso la Libia per raggiungere l’Europa via mare.

Ogni giorno ci sono persone che partono dichiara. Un giorno d’estate anche sua nipote Solange* ha deciso di mettersi in viaggio. Come pensavano tutti gli altri prima di lei, anche per Solange doveva essere “facile“. Il prezzo della traversata era basso, alcuni parenti partiti l’anno prima con lo stesso passeur l’aspettavano in diversi paesi europei. Eppure Solange non è mai arrivata.

Più di 1.200 euro a persona

Abbiamo ricevuto una telefonata da un uomo che non conoscevamo. Ha detto che teneva in ostaggio Solange insieme a tutti gli altri componenti del gruppo. Ci ha chiesto dei soldi per liberarla” racconta Martin. Una volta arrivato a Sabrata, il convoglio di migranti di cui faceva parte Solange e quattro suoi amici, che si erano trasferiti anche loro ad Oran, è stato fermato da un gruppo di uomini armati. I migranti sono stati trattenuti e i sequestratori si sono messi in contatto con le famiglie per chiedere il pagamento di un riscatto. “Ci hanno chiesto 200 euro, poi 300, poi 500“, spiega Martin scuotendo la testa. Oggigiorno i rapitori chiedono più di 1.200 euro a persona. Una somma troppo alta per la famiglia di Solange.

Solange non ha ancora 30 anni. Si è trasferita in Algeria, ama divertirsi, fare festa e nella sua comunità è conosciuta per il suo carattere deciso. Ha visto suo padre partire per l’Europa, così come sua zia, i suoi nipoti, le sue amiche ma ha preferito restare in Algeria per “continuare a divertirsi“. Suo padre è stato contattato telefonicamente ed è preoccupato: “Non abbiamo sue notizie, non sappiamo se è davvero ancora lì“. E poi dopo una breve pausa: Sappiamo quel che fanno alle donne in Libia. Due anni prima aveva fatto lo stesso viaggio.

Il suo viaggio era stato “organizzato bene“, e non c’erano stati grossi problemi, “anche se nella casa del passeur eravamo sorvegliati da uomini armati“. Dorme male, mangia poco ed è arrabbiato con la giovane moglie che ha aiutato sua figlia a mettersi in contatto con il trafficante: “Le ho detto che se succedeva qualcosa a Solange sarebbe stata colpa sua e l’avrebbe pagata cara“.

“Mi hanno truffato”

Nella stanza buia il telefono di Martin suona di nuovo. Noé*, in maglietta bianca e jeans, entra e si siede accanto a lui. “Novità?” Silenzio. Anche la ragazza di Noé, Josiane* è stata rapita. “È partita con sua sorella che è incinta di due gemelli“, racconta Noé. Quando ha ricevuto la chiamata in cui gli veniva richiesto il pagamento del riscatto, Noé si è rivolto ai suoi amici, ha raccolto 600 euro e ha depositato la somma su un conto bancario in Niger. “Mi hanno imbrogliato“, sospira. Non solo Josiane non è stata liberata ma l’interlocutore, “un nigeriano che lavora per i trafficanti in Libia“, secondo Noé ha aumentato il costo del riscatto. “Non posso fare più nulla. Ho chiamato sua cugina che è arrivata in Europa ma non mi crede. Non ho più soldi” afferma disperato Noé.

Nel quartiere in cui vivono centinai di migranti sub-sahariani, il problema è ben noto. Adama*, ivoriano, ha vissuto la stessa esperienza. Durante una conversazione telefonica ha detto che “gli uomini armati vengono chiamati Asma Boys. Sono banditi. Io sono stato fermato quando ero già sulla barca. Ci hanno portati in una casa in costruzione. Ci hanno picchiati affinché gli dessimo i numeri di telefono delle nostre famiglie. Sparavano a quelli che non pagavano per ferirli. In Libia, oggigiorno, tutti cercano di guadagnare dei soldi dai migranti.

Per la famiglia di Josiane le notizie non sono buone. Suo marito, maliano, è riuscito a raccogliere appena la metà della somma. Un giovane camerunense, detenuto e poi liberato dopo che la sua famiglia ha versato il riscatto su un conto bancario del Mali, ha riferito che “Josiane non ha retto lo choc ed è molto dimagrita“. Seduti attorno al tavolo, Noé e Martin sono rassegnati: “Non ci resta che pregare“.