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da l'Unità online del 10 ottobre 2005

«In Nord Africa due milioni di diseredati

«I disperati di Melilla sono solo l’avanguardia sofferente, senza speranza, dei due milioni di diseredati del Nord Africa e dell’Africa subsahariana che premono ai “cancelli” dell’Europa. Un fenomeno destinato a crescere nei prossimi mesi». A parlare è Angelo Del Boca, uno dei più autorevoli storici del «pianeta Africa». «Alla base di questo fenomeno destinato a crescere nei prossimi mesi – rileva lo studioso – vi sono anche ragioni politiche che investono i diversi Paesi nordafricani e dell’Africa subsahariana. E c’è anche la bancarotta sociale delle élite al potere che hanno dilapidato ricchezze ingrossando le file dell’“esercito” dei senza futuro».

Da cosa nasce la tragedia degli immigranti che si sta consumando a Melilla?

«Innanzitutto va detto che non è un fenomeno recentissimo. La rivista L’Intelligent-Jeune Afrique ha dedicato qualche mese fa un lungo articolo proprio a questa avanzata, soprattutto dei marocchini ma anche dei senegalesi, maghrebini e altri, verso Tetuan e poi lo Stretto di Gibilterra. E forniva anche cifre e foto molto tristi di una serie di cadaveri sulla spiaggia sia della parte africana che di quella di Gibilterra. La spinta maggiore è spiegabile con il fatto che gli immigrati clandestini che vengono rispediti in Libia una volta sbarcati a Lampedusa, poi sono rinchiusi in campi di concentramento non molto diversi dai lager nazisti . E questo trattamento barbaro ha fatto dirottare questa fiumana verso altre sponde. Una fiumana immensa: sono almeno due milioni gli africani che premono per arrivare in Europa. Partono da lontano, addirittura dal Kenya, dalla Somalia, dall’Eritrea, e dall’altra parte dal Golfo di Guinea. Ceuta e Melilla sono in un certo senso Pantelleria e Lampedusa italiane: sono due maniere per entrare; perché quando arrivano a Ceuta poi diviene più facile entrare in Europa, approfittando di connivenze o finendo nei tentacoli della malavita che lucra sul traffico dei clandestini. Il fenomeno avrà una virulenza notevole nei prossimi mesi, e questo per motivi molto precisi…».

Quali sono questi motivi?

«Motivi politici. Intanto c’è stato di recente un golpe in Mauritania e vi sono molte persone che non sono contente del nuovo regime. Vicino c’è il Senegal che ha dei problemi non indifferenti anch’essi di natura politica. In Marocco, anche se il nuovo re Maometto VI ha dimostrato in alcuni settori una certa modernità (ad esempio per ciò che concerne i diritti della donna), c’è una povertà enorme. Nell’ambito del Maghreb i marocchini sono quelli che stanno peggio, anche se il Paese ha notevoli ricchezze che, però, o non sono sfruttate o sfruttate solo dai grandi latifondisti, il primo dei quali è proprio il re, che ha proprietà terriere immense».

Di fronte a questa umanità disperata che preme ai nostri cancelli, come reagisce l’Europa?

«Reagisce male. Con un’aggressività difensiva. Pensiamo all’Italia: gestire questo flusso non è facile. Di certo non c’è una preparazione adeguata e altrettanto certamente non è con una legge quale la Bossi-Fini che ci attrezzeremo adeguatamente a fronteggiare questa situazione che sarà sempre più strutturale in società multietniche. Si è detto: lavoriamo per costruire nei Paesi di provenienza opportunità di lavoro e di sviluppo. Niente da eccepire, se non fosse che in diversi casi questo assunto si è scontrato con un limite di fondo…».

Quale?

«Aver accettato di sostenere leadership al potere che si erano rese protagoniste di una bancarotta sociale e politica che aveva a sua volta ingrossato le fila dei disperati di Lampedusa o di Melilla. E come se lo spauracchio del fondamentalismo islamico abbia messo in secondo piano il fenomeno dell’immigrazione e garantito una sorta di “assicurazione politica” per élite che pure si erano rivelate incapaci a favorire processi di sviluppo e di crescita sociale. Ciò è vero per la Libia, come per la Tunisia e il Marocco e ancor più per l’Algeria che ancora porta i segni di una sanguinosa guerra civile. È come se l’Europa accettasse, sia pur di malavoglia, di farsi carico dell’ondata di immigrati come contropartita al baluardo che queste élite africane farebbero all’islamizzazione fondamentalista. Questo “scambio” non solo non è giusto ma è destinato a fallire miseramente. La cooperazione va rafforzata ma essa deve fondarsi sul rispetto di standard minimi di democrazia e di un uso socialmente corretto dei fondi ricevuti».