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In alto mare, testimonianze da un naufragio. Tunisia 7-8 ottobre 2017

di Monica Scafati, dicembre 2017

Per raccontare oggi i fatti dell’8 ottobre 2017, del naufragio avvenuto in acque internazionali al largo della Tunisia, è necessario scegliere a chi credere, perché una verità unanime su quanto è accaduto quella notte non sembra esistere.

Al di là di ogni sembianza invece, ciò che indubbiamente non è più esistito dopo quella notte, è la vita delle persone che l’hanno persa: giovani tunisini partiti con un’imbarcazione verso l’Italia. Ad esistere sono le testimonianze dei superstiti, le dichiarazioni delle autorità militari e politiche tunisine, e le conseguenze esplicite.
Alla luce di questi tre indicatori, ciò che resta di quella notte sono moltissimi racconti in cui si afferma lo speronamento intenzionale da parte della nave della marina militare e la pantomima del soccorso; altre versioni, quelle ufficiali, inferiori in numero e prolissità, che riferiscono di una collisione accidentale e di un incidente dovuto ad un concorso sfavorevole di circostanze. Le conseguenze esplicite sono invece difficili da individuare.

Quelle squisitamente umane sono ovviamente le morti e i lutti, nonché l’incredulità di un intero popolo che non sa capacitarsi di quanto accaduto. Sul piano più strettamente giuridico e legale, almeno ad un livello pubblicamente conoscibile, a controbilanciare il peso di un così grave evento non sembra essere accaduto nulla. Nessuna dichiarazione, decisione o azione tesa a rendere giustizia. L’inchiesta aperta nell’immediato seguito si è da subito orientata verso la colpevolizzazione dello scafista, e non è comunque stata seguita da nessuno che ce ne abbia voluto raccontare gli sviluppi.
Sicuramente l’intervento militare di quella notte, sempre in termini di conseguenze, ha prodotto un effetto di terrorismo psicologico funzionale al contenimento del fenomeno migratorio. Se infatti già dal mese di luglio le partenze di piccole barche dalla Tunisia tornavano a crescere nel ritmo e nel numero, e nel mese di settembre si sono registrati numeri così significativi da far riesplodere, in un crescendo di arrivi e commenti, l’attenzione mediatica sul “caso Tunisia”, ad ottobre, dopo la strage dell’8, ogni eccesso è stato ricondotto ad una misura di ordinarietà, ogni clamore soffocato, e ogni attenzione rilocalizzata in Libia.

Lo speronamento intenzionale che ha causato il decesso di 54 persone, deve anche aver scoraggiato la partenza di molte di più, tanto che, sicuramente non solo per l’inizio dell’autunno, i numeri degli arrivi di ottobre non raggiungono neanche lontanamente i 1400 di settembre.
La versione che emerge dall’insieme delle testimonianze dei sopravvissuti racconta che la barca con circa 90 persone a bordo è partita a largo dell’isola di Karkennah, dove barche di piccole dimensioni la raggiungevano in tempi diversi per far imbarcare a gruppi la totalità dei passeggeri.
Che la barca è partita verso le 19 e che ha viaggiato fino alle 21 circa, quando una nave militare ha cominciato a seguirla. Sempre secondo le testimonianze, la nave militare raggiunge la barca e intima a questa di fermarsi, ordine che però viene disatteso perché tutti i migranti, di comune accordo, decidono di proseguire verso il limite delle acque territoriali. Uno dei sopravvissuti dirà che era impossibile immaginare di fare ritorno in Tunisia.

Al rifiuto della barca di fermare i motori, la Marina militare ha risposto fiancheggiando l’imbarcazione e colpendola ripetutamente con violenti spruzzi dagli idranti. Uno dei testimoni dice che al di là dell’acqua che gli veniva spruzzata addosso dall’alto, quella mossa dalla mole del mezzo militare così vicino e in movimento era già sufficiente a metterli in balia delle onde. Questa situazione si è protratta fino alle 22.30 circa, quando la nave militare si è fermata e ha spento le luci. La barca, procedendo, ha guadagnato circa un chilometro di distanza e il sospirato limite delle acque territoriali, tanto che le persone a bordo si erano convinte di avercela fatta. La tensione andava calando e cresceva invece l’entusiasmo e la soddisfazione di aver guadagnato la libertà dal confine di Stato.
Ma la nave militare è ripartita, li ha velocemente raggiunti e ha colpito la loro imbarcazione. Secondo un testimone la nave militare è andata direttamente addosso alla loro.
Da questo punto in poi continuano i racconti di quelli che ricordano il momento esatto in cui si sono ritrovati tutti in acqua, ognuno con un diverso punto di vista su uno scenario terrificante.

L’immagine ricostruita dall’insieme delle testimonianze ci descrive persone che affogano dibattendosi nell’acqua, persone uccise dai fendenti dell’elica del motore che non aveva smesso di funzionare, persone che hanno trascinato a fondo chi gli era accanto cercando nella disperazione di trovare un sostegno, persone che galleggiavano terrorizzate tra le urla di chi moriva chiedendogli un aiuto che non riuscivano a dare.
Molti raccontano di ricordare bene, tra le urla strozzate di chi non aveva più fiato a sufficienza e la visione di un mare pieno di corpi, il suono al megafono di parole che nulla avevano a che fare con un coordinamento del soccorso o con la reazione ad un incidente, ma che al contrario confermavano l’intenzionalità dello speronamento e tradivano il desiderio di affermare una vittoria: “E adesso morite cani”.

Questo è quanto accaduto nella serata dell’8 ottobre, alle 22:30, e non intorno alle 02:00 come il quotidiano italiano “La Repubblica” ha per primo riportato nella primissima mattinata provocando la condivisione a catena di una notizia inesatta di cui sarebbe interessante poter avere la fonte. Sì, perché le 3 ore che trascorrono tra le 23:00 e le 02:00, fagocitate da una versione ufficiale dei fatti che, posticipando i tempi nega lo spazio di esistenza in cui è avvenuta la morte di 54 persone, sono state con buona probabilità intenzionalmente omesse. Infatti, al mattino i morti certi di cui si dà notizia sono 8, nell’arco della giornata il numero dei dispersi sale da 20 a più di 30, ma già il 10 ottobre la cronaca è andata avanti, e nessuno dirà che alla fine delle ricerche e dei riscontri, i morti sono 54.

Come nessuno ci ha più fatto sapere che ne è stato dell’inchiesta.
Sappiamo però, ad emergenza “sbarchi di tunisini” rientrata, quale percezione i governi italiano e tunisino hanno di quanto è accaduto tra l’8 e il 9 ottobre e di quanto ha preceduto e preparato la tragedia di quella notte nei mesi precedenti. Lo sappiamo dal premier italiano e dal residente tunisino in persona che si sono incontrati il 25 novembre a Tunisi e che hanno reso a riguardo dichiarazioni illuminanti.

La sintesi che a noi perviene è la seguente:
” ‘Con Essebsi abbiamo constatato l’ottimo andamento della collaborazione dei nostri Paesi sulle questioni migratorie: c’è un accordo da sei anni tra Italia e Tunisia e il buon funzionamento si vede anche nei momenti in cui ci sono delle difficoltà‘. Lo dice il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, al termine dell’incontro con il presidente della Repubblica tunisina, Beji Caid Essebsi.
Noi abbiamo avuto qualche piccola difficoltà durante l’estate, che non aveva – voglio sottolinearlo – nulla a che fare con la riduzione dei flussi in arrivo dalla Libia: c’era un incremento di limitate proporzioni ai flussi irregolari dalla Tunisia e abbiamo fatto fronte insieme. Già dal mese di ottobre la situazione è tornata nella sua sostanziale normalità’, sottolinea il premier”.

Sulla dinamica di questo “far fronte insieme” non abbiamo specifiche ulteriori e questo è sicuramente un elemento che concorre ad avvalorare le versioni e le ragioni che pervengono dai sopravvissuti.

Un’altra circostanza interessante da osservare circa l’incontro del 25 novembre è anche che per il successivo 5 dicembre era da tempo calendarizzato il primo appuntamento per la presentazione delle proposte di progetto del programma ENI 2014-20 di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Tunisia lanciato il 27 ottobre, a 20 giorni dalla tragedia. L’incontro si è poi svolto l’11 dicembre a Sfax e si è parlato in buona sostanza di una dotazione finanziaria di 37 milioni di euro totali, di cui 16 per questa specifica tornata progettuale tutta volta a: “Sostenere lo sviluppo delle Piccole Medie Imprese (PMI) e sostenere gli imprenditori; Promuovere la formazione, la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione; Tutela dell’ambiente e adattamento ai cambiamenti climatici”.

Si ricorda a titolo di citazione e per ulteriore informazione che “in attuazione dell’obiettivo CTE per il periodo di programmazione 2014-2020, l’Italia avrà a disposizione risorse per un totale pari a 1.136,8 milioni di euro a prezzi correnti. L’allocazione 2014-2020 comporta un aumento in termini reali (prezzi 2011) delle risorse disponibili, rispetto all’allocazione 2007-2013 (pari a circa il 16% sul totale delle risorse CTE)”. Infatti l’Italia è beneficiaria di 1.136,8 milioni di euro per la cooperazione transfrontaliera della Comunità Europea, a fronte dei 6,5 miliardi totali, euro più euro meno.
Non potevano essere certo i 5.000 migranti/disobbedienti contati tra luglio e settembre a compromettere i buoni rapporti economici, i bandi di ottobre, e l’amicizia. Ad aprire una crisi. E così, senza far nulla più che continuare a rimpatriare le solite trenta persone a settimana come da attempato accordo bilaterale, Gentiloni ed Essebsi hanno risolto le “piccole difficoltà estive” e “riportato la situazione alla solita normalità”, “facendo fronte insieme”.

Magari finché non ci dicono più esattamente come, è legittimo pensare che quel “come” su cui si tace sia proprio la strage dell’8 ottobre.
Di quello che è accaduto nella notte tra l’8 e il 9 ottobre restano i racconti pubblici e i dolori privati. Resta un popolo inascoltato e una moltitudine di poteri sordi. Resta l’attestazione di una totale incomunicabilità tra le persone e le loro supposte rappresentanze politiche. Resta l’impossibilità di pervenire a una verità che sia tale per tutti.

* Il video delle testimonianze di alcuni sopravvissuti è stato pubblicato originariamente dal giornale tunisino online Nawaat .
Traduzione di Monica Scafati, a cura di Carovane Migranti e Storie Migranti