Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Intervista a Arthur Levivier, regista del film “Regarde ailleurs”

Un lavoro girato a Calais durante e dopo lo sgombero della "jungle"

REGARDE AILLEURS from DIOPSIDE on Vimeo.

Come ti è venuta l’idea di girare un documentario su Calais?
Non l’avevo previsto. Stavo finendo il mio primo lungometraggio come road movie in Australia e avevo bisogno di una pausa. Dovevo partire per una vacanza e un’amica mi ha chiesto di andare a Calais per filmare lo smantellamento della Jungle. Ci sono andato pensando di rimanere due giorni e ripartire… alla fine, una volta lì sono rimasto veramente sorpreso della piega che stava prendendo la situazione e sono rimasto una settimana nella jungle.

Quali sono stati gli ostacoli che hai incontrato? Se ce ne sono stati…”
Difficile da dire… è stata dura soprattutto dal punto di vista morale… non tanto a Calais ma durante i “ritorni da Calais”. Facevo fatica a accettare la differenza tra i privilegi che abbiamo e la vita lì. E mi sentivo male anche per il fatto di essere presente e vicino ai migranti ma con lo scopo di filmare.
Ogni volta che sono tornato è stata molto intensa, ero sempre con loro e poi tornavo a casa, contento delle immagini che avevo, con la fiducia che ne avrei fatto un buon film ma alle volte avevo l’impressione di essere uno stronzo che voleva approfittare di loro. E’ stato difficile posizionarmi in questo senso.
Non sapevo se fossero degli amici per me o “soltanto” i personaggi del mio film.

Tra l’altro, quando ero a Calais ho cominciato a offrire delle docce ai migranti e una dopo l’altra non finiva più, mi sono ritrovato a dover dire di no e anche questo mi pesava. Di ritorno a Parigi ne ho ospitato qualcuno ma delle volte avevo veramente bisogno di rimanere solo a lavorare al film e avevo paura che non riuscissero a capire. Ci pensavo di continuo, mi faceva impazzire. Quindi in sintesi la cosa più difficile è stata capire come posizionarmi tra il regista e l’amico… spero che finalmente, ora che il film è finito, posso permettermi il posto dell’amico.

Poi, per gli ostacoli più concreti direi:
la difficoltà di filmare scene di vita perché è molto difficile filmare i migranti, sono stanchi e hanno ragione. Troppi media vengono per farne dei soggetti più velocemente possibile e non li considerano che come una massa di “migranti”. Quindi è difficile filmare dei momenti di vita quando non conosci TUTTE le persone presenti.
E’ stato frustrante perché le situazioni più toccanti sono spesso le più spontanee, ma bisognava sempre chiedere il permesso e non è stato facile avere delle belle scene di vita. Dei momenti come la preghiera e la cerimonia etiope sono molto preziosi per mostrare la bellezza e la forza di queste persone. Ho potuto filmare queste due scene alla fine delle riprese quando conoscevo meglio le persone e avevano fiducia in me. Poi delle volte si rimane sorpresi, come durante la festa afgana, sono loro che mi hanno chiesto di filmare: mi hanno perfino posizionato in modo da farmi avere l’angolo migliore!
Poi c’è stata la difficoltà di filmare le violenze della polizia. Per farlo ho istallato delle telecamere di video-sorveglianza nella jungle e mi hanno aiutato per fare dei turni di guardia in diversi posti dove la polizia veniva di frequente. Abbiamo passato giorni e notti intere a aspettare e non siamo comunque riusciti a filmarle. Venivano sempre quando non eravamo lì. Eppure ci nascondevamo bene. Abbiamo passato una notte intera in un cespuglio che era di fatto il bagno dei nostri amici migranti. Alla fine sono riuscito comunque a mostrare la violenza psicologica e la politica di dissuasione e ci sono sempre le testimonianze per parlare delle violenze fisiche. Sfortunatamente però non bastano per costituire delle prove.

Cosa ti ha colpito di più durante le riprese?
Per rispondere a questa domanda puoi guardare qui :

Hai altro da aggiungere?
Sì, se volete organizzare delle proiezioni del documentario, fatelo. Vorremmo che questo film circolasse e che animi più dibattiti possibile. Possiamo anche venire in Italia, secondo le nostre disponibilità, il film avrà presto dei sottotitoli in italiano.

Per completare, un video con una mia intervista 


Linda Bergamo

Una grande passione per l’Afghanistan mi ha portato a far parte dell'Associazione Cisda ONLUS in sostegno alla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA).
In parallelo a un Dottorato di ricerca all’Università di Grenoble, lavoro come operatrice sociale con le vittime di tratta degli esseri umani per sfruttamento sessuale.