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Intervista con Salvo Lupo, il pescatore che ha fatto emergere la verità sul naufragio della “Nave fantasma”

La più grande tragedia del mare degli ultimi 50 anni.

Da uomo di mare “col sale nel sangue”, come dice lui, Salvo Lupo ne ha viste tante, considerato che negli ultimi decenni il Mare Mediterraneo si è trasformato in una immensa tomba senza lapidi né fiori per migliaia di esseri umani. E così, dalla storia di Porto Palo di Capo Passero alle sue esperienze nei mari della Libia, Salvo racconta di come donne e uomini possano diventare spuma del mare, meno di nulla, scomparire o venire umiliati, sopravvivere o morire solo a seconda della fortuna, dell’umore di chi per caso si trova a intrecciare il loro cammino. E quando invece qualcuno si permette di prestare soccorso facendo rumore, denunciando le ipocrisie delle politiche migratorie della fortezza Europa – che sostanzialmente antepongono le leggi del mercato e della “sicurezza” a quelle del rispetto della vita e della dignità degli uomini – ecco che si incorre in pesanti procedimenti penali, come è successo all’equipaggio della Cap Anamur, o in situazioni di forte disagio come è capitato a Salvo nel corso di tutti questi anni.
Leggendo le sue parole, risulta ancora più manifesta l’ipocrisia dei governi europei, quello italiano in testa, che in occasione di vertici Europa-Africa come quello tenutosi a Tripoli lo scorso novembre col pretesto di concordare politiche comuni su immigrazione e sviluppo, delegano invece a paesi come La Libia e al suo leader Gheddafi- riabilitati per l’occasione- il potere di vita o di morte sui migranti in procinto di partire dall’Italia o da lì rimandati indietro a seguito di espulsioni e deportazioni come quelle eseguite dall’isola di Lampedusa e documentate fino al 2005.

* Tutte le informazioni sulla tragedia di Porto Palo dal nostro archivio

Intervista a cura di Alessandra Sciurba [ascolta l’audio ]

D: Stiamo intervistando Salvo Lupo, pescatore di Porto Palo di Capo Passero, perché la sua storia è strettamente legata a quella del più tremendo naufragio di migranti registrato a largo delle coste siciliane negli ultimi 50 anni. Era la notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996 quando 283 persone persero la vita in mare nel Canale di Sicilia. Per tantissimo tempo questa vicenda è rimasta sommersa insieme al relitto della nave e ai corpi delle vittime. Solo parecchi anni dopo se ne comincerà a parlare nonostante alcuni parenti delle vittime e alcuni sopravvissuti abbiano a lungo cercato di far emergere la verità. Chiediamo a Salvo di raccontarci quale ruolo lui abbia avuto in questa complessa storia…

R: Io sono Salvatore Lupo, da sempre abito a Porto Palo e facevo il pescatore… da un po’ di anni ho smesso. Mi ricordo bene, dieci anni fa, quello che era successo: era la sera di natale e c’era aria di tempesta e vento forte, e io e i miei uomini, quella notte, siamo andati al porto per rinforzare gli ormeggi delle barche e metterle in sicurezza. Poi, il 2 gennaio, per raccontare l’inizio della vicenda, quando siamo tornati in pesca dopo le vacanze di natale, si sono cominciate a pescare delle cose strane, cose che di solito non si pescano e che restavano invece nelle reti: scarpe, pantaloni, maglie e quant’altro. Poi qualcuno ha cominciato a dire in paese che avevano pescato dei “Tonni”… ancora più strano: non si pescano dei tonni con la rete a strascico. Non riuscivo proprio a capire, all’inizio, cosa volessero dire. Solo qualche giorno dopo ho capito che quello che avevano pescato nelle reti non erano tonni ma erano cadaveri… cadaveri in decomposizione. Era il 1996. nel 2001, in una battuta di pesca, la mia rete andò a sbattere in un ostacolo sottomarino improvviso che a mia memoria non conoscevo. L’impatto fu violento e issammo a bordo la rete semidistrutta. Assieme alla saccata di pesci c’erano anche un mucchio di stracci. Sollevai un paio di jeans e vidi cadere delle monete. Assieme alle monte c’era anche un tesserino plastificato. Certamente doveva trattarsi di una carta di identità e si vedeva bene, era ben conservata, la foto di un titolare: era un ragazzo molto giovane, e dalla pelle scura. Capii subito che in quel tratto di mare dove si era incagliata la rete c’era il relitto della nave fantasma. Quindi segnai con estrema precisione il punto esatto con le coordinate, e, arrivato a terra, tentai di informare le autorità., ma la cosa non fu considerata rilevante e quindi mi rivolsi alla stampa…

D: Ed è stato a quel punto che ti sei imbattuto nel giornalista Gian Maria Bellu…

R: A questo punto, si. L’ho conosciuto tramite un amico che sta a Roma che mi ha dato questo aggancio e siamo andati avanti.

D: E’ stato solo grazie a voi due che questa storia piano piano è emersa: Bellu da solo ha finanziato il ritrovamento del relitto sommerso e lo ha filmato e quelle immagini hanno fatto il giro del mondo: sostanzialmente se non ci fosse stata la tua testimonianza, se non avessi ritrovato quella carta di identità di quel ragazzo che mi sembra si chiamasse Ampalagan Ganeshu, e se non fosse stato per il coraggio di Bellu di andare fino in fondo e di credere a questa storia, quelle vittime sarebbero rimaste sommerse anche nella memoria. Quali sono state le conseguenze per te, se ce ne sono state, dopo questo tuo gesto cosa è successo, come ti hanno accolto gli altri pescatori, cosa hai riscontrato nella tua terra, in Sicilia?

R: Ovviamente lì non è stata un scelta che tutti hanno accettato, il paese all’inizio si era diviso… anzi no, adesso è diviso a metà ed è già una fortuna. All’inizio era ancora peggio perché molti non hanno accettato questa cosa e sono stato additato per avere infangato il nome del paese, sono stato accusato di averlo venduto…

D: Perché di solito i pescatori come si comportano quando trovano cadaveri, vestiti, o documenti come è capitato a te?

R: E’ strano perché il popolo del mare, io lo chiamo così, si comporta di solito con molta civiltà e con rispetto della natura, soccorrendo chi ha bisogno e mettendo anche in pericolo la propria vita pur di portare soccorso. Ma in questo caso, non so perché, è stato tutto manipolato nella maniera contraria: questa cosa non doveva emergere, non si doveva sapere e non ne capisco ancora il motivo. Ripeto:adesso è una fortuna che l’opinione della gente sia spaccata a metà.

D: Anche dal punto di vista politico la decisione di tenere nascosta quella vicenda, tra l’altro, è stata trasversale, cioè in quei 10 anni si sono alternati governi di centro-sinistra e governi di centro-destra che hanno avuto lo stesso identico atteggiamento rispetto a questa storia. Ma quello che volevo chiederti è: in realtà, i pescatori, anche volendo soccorrere le persone in mare o riportare a terra i corpi che ritrovano, se lo fanno incorrono in tutta una serie di problematiche legali, giuridiche, burocratiche che rendono la vita veramente difficile. È vero o no questo?

R: E’ vero, è assolutamente vero: all’epoca si era già verificato già qualche collega che aveva recuperato un cadavere e lo aveva portato a terra avesse avuto poi problemi grossi: gli avevano sequestrato la barca per 10 giorni, quindi mancato guadagno, con la scusa della burocrazia. Si capiva bene che il messaggio era chiaro: lasciateli a mare, tanto sono extracomunitari. Questo si capiva, questo ci era trasmesso: lasciateli a mare. Sono tanti… lasciateli a mare. Ma era una cosa che sapevano tutti e dal momento che poi si creavano dei problemi – il mancato guadagno per le barche che non uscivano, le spese di contribuzione che si dovevano comunque pagare- a questo punto si ributtavano in mare. Chi pescò dei cadaveri all’epoca li ributtò in mare.

D: A te invece hanno fatto una colpa di non avere taciuto

R: Quando è successo a me di avere ritrovato il punto esatto del relitto della nave fantasma, me ne hanno fatto una colpa. Forse è stato anche questo che mi rimproveravano: noi non abbiamo parlato e allora perché tu adesso lo fai? Ho avuto dei disagi. Non lo nego. Ne ho tuttora.

D: Adesso non fai più il pescatore…

R: Si, non faccio più il pescatore anche perché sono costretto … perché avere una barca in quel paese significa rischiare di perderla e mettermi nella condizione di non potere andare a lavorare … meglio evitare.

D: In che senso “perderla”?

R: Perderla…potrebbe succedere che qualcuno potrebbe farmi qualche sfregio per vendicarsi… lì sono incustodite le barche. Lasciarla al porto, la sera, potrebbe voler dire non trovarla più…

D: Quindi c’è ancora ostilità nei tuoi confronti per gran parte delle persone

R: Si, c’è ancora ostilità

D: Tu hai compiuto un gesto di grande coraggio che purtroppo dovrebbe essere la normalità e invece diventa un gesto esemplare, quasi unico. Ma, a fronte di questo tuo coraggio e del fatto che hai anche compromesso il tuo lavoro e la tua vita, l’inchiesta giudiziaria che è iniziata su questa vicenda della “nave fantasma” sembra invece essersi arenata. Alla fine, tu sei riuscito, insieme a Bellu e a pochissime altre persone, a riportare alla luce questo evento drammatico e si è effettivamente aperto un processo, anni dopo il disastro. Questo processo però sembra più una farsa a quanto risulta leggendo le cronache delle varie udienze. A che punto siamo a dieci anni dal suo inizio?

R: Al punto di partenza. C’è il fatto che questa barca si trova in acque internazionali, fuori dalla giurisdizione italiana, e quindi non possono portare avanti questo processo. Bolle di sapone, è finita così per chi ha avuto la colpa di aver fatto morire un sacco di persone e buttato in mare gente viva che era riuscita a salire a bordo tramite le cime che avevano lanciato i loro “compagni di avventura”. Li hanno ributtai in mare vivi- dalle testimonianze dei sopravvissuti ho sentito questo- e queste persone non pagheranno più perché sono andate via, sono fuori dall’Italia. Il processo è finito.

D: In realtà l’unico imputato è un capitano pachistano che adesso si trova a Malta.

R: Anche i marinai che erano sulla Joan, la nave che ha speronato la barchetta piccola producendo il naufragio.

D: Poi bisogna ricordare anche quello che è successo ultimamente ad alcuni sopravvissuti e anche alcuni parenti delle vittime volevano tornare a deporre la loro testimonianza: nel frattempo questi sopravvissuti erano tornati nei loro paesi in Pakistan, in India, in Sri Lanka e l’ambasciata italiana non ha concesso loro il visto per venire a testimoniare cioè per esercitare i loro diritti.

R: Si, si, hanno creato tanti problemi per farli entrare e quelli che erano già qui li hanno messi nelle condizioni che a momenti li arrestavano… Ho seguito anche io questa cosa: li hanno messi in difficoltà.

D: Quindi da una parte è tristissimo rilevare, a dieci anni da questa tragedia, che gli assassini sono rimasti impuniti, non sono cambiate le leggi sull’immigrazione che hanno causato o almeno sono state sicuramente partecipi nel causare questa disgrazia (perché se si potesse arrivare in un altro modo sulle nostre coste non risarebbe bisogno di rischiare la propria vita). Le vittime non hanno avuto nessuna ricompensa né i parenti alcuna consolazione, mentre i processi contro chi ha veramente salvato delle persone che stavano annegando in mare sembrano procedere invece molto più speditamente. Mi riferisco in questo momento per esempio al processo in corso contro i tre uomini della Cap Anamur che due anni fa hanno salvato 36 vite in mare e ora sono imputati come criminali per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina. Tu hai seguito questa vicenda credo…

R: Si, qualcosa ne so e purtroppo uno rimane proprio scioccato davanti a queste cose che succedono. E loro, le autorità sanno benissimo quello che hanno fatto queste persone, come hanno agito, perché hanno agito… però si attengono alle leggi e mantenendo queste leggi queste persone per bene risultano delinquenti. Ma non è così, lo sanno benissimo. Quando c’è gente che ha fatto delle cose veramente assurde, che ha fatto veramente dei disastri come nel caso della nave di Porto Palo, e li hanno prosciolti, erano in carcere e dopo otto mesi li hanno fatti andare via, solo per il fatto che questa barca dove è successo l’incidente era fuori dalle acque nazionali. Io sono uno di quelli fortunati perché quando sono andato con la mia barca al di fuori delle 19 miglia superando le acque territoriali, non mi hanno fatto la multa. Quando ho individuato il relitto della nave fantasma ero fuori dal limite. Non ho il permesso per andare fuori dalle acque territoriali, non potevo andare, sono un fortunato perché non mi hanno fatto una multa o non mi hanno processato per quella faccenda…

D: Sostanzialmente le leggi al momento in vigore incoraggiano ad abbandonare le persone in difficoltà in mezzo al mare e condannano chi le salva, quasi premiando ed elogiando gli assassini o gli indifferenti che vanno avanti…

R: Quelli sono agevolati. L’anno scorso il natale l’ho fatto in Libia nelle piattaforme, nella zona di mare che si chiama Merita, 60 Miglia a nord-ovest di Tripoli. È quasi al limite con la Tunisia. Lì ci sono delle piattaforme che buttano in aria dei gas che all’epoca dell’embargo degli americani non sono riusciti ad incanalare per poterli vendere. Praticamente si bruciano in aria – per ogni piattaforma ci sono centinaia di tubi – 4 milioni e mezzo di metri cubi di gas al giorno, ogni 24 ore … vedi un po’ che inquinamento, e poi ti parlano del motorino che inquina… E lì nessuno dice niente. Praticamente questa fiamme sempre accese attirano questi clandestini che partono e quando vedono la luce credendo di essere arrivati a terra e quindi si avvicinano. Noi – io ero a bordo di un rimorchiatore per fare assistenza alle piattaforme- che siamo pagati da loro, dai libici, dal momento che si avvicinano, siamo tenuti a segnalare la cosa alla piattaforma dicendo: “Guardate che c’è questa barca che si sta avvicinando”. Loro ci danno l’ordine o di prenderli e portarli in piattaforma per prendere tutte le precauzioni o altrimenti di lasciarli andare. Una volta è successo che ci hanno ordinato di lasciarli andare, ma quelli non potevano essere lasciati andare perché avevano fatto avaria, erano in balia delle onde. O avevano finito il gasolio…non avevano niente da mangiare, questo era certo perché proprio erano disperati … appena hanno visto la bandiera italiana facevano segnali, erano tutti contenti, e noi aspettavamo ordini da loro. E io ho detto intanto al comandante, “ma almeno diamogli qualcosa da mangiare oppure il gasolio, la minima assistenza, che in mare si fa, che tra noi pescatori queste cose si fanno”… e il comandante ha detto no “Se non danno l’ordine non possiamo”.

D: Ma di cosa aveva paura il comandante?

R: Lui aveva paura di perdere il posto. Noi eravamo equipaggio italiano però aspettavamo ordini da loro. Questi non hanno dato ordine né di dare gasolio che ne avevamo 100 tonnellate, e potevamo dare 20, 50, 100 litri, con l’indicazione di andare da qualche parte, dire “ con questa prua , con questa direzione toccherete terra”, perché questi non sapevano dove andare. Quindi dare del gasolio, dire la direzione che dovevano prendere, e dare un po’ da mangiare a noi non costava niente, niente! non ci mancava niente a bordo, tonnellate di acqua dolce in bottiglia, mangiare…niente. Li abbiamo lasciati morire lì. 150, 200 persone c’erano sedute su quella barca. L’indomani, perché restando in balia così… poi c’è stato mare forza cinque e con mare forza cinque quella barca non regge, messa di traverso, l’indomani abbiamo visto tutti i corpi galleggiare e la corrente se li portava via. Quindi questo è quello che succede ancora, tuttora, nel mare della Libia. Invece per quelle barche che noi portiamo sotto la piattaforma quando loro dicono “sono nel nostro territorio, va bene, portateli qui”, è successo una volta che li abbiamo fatti salire a bordo sotto la piattaforma e loro ci hanno mandato giù dalla piattaforma un container. Lì faceva caldo, ma loro ci hanno detto “fateli entrare dentro il container”. Io, da primo ufficiale ho detto “comandante, guardi che fa caldo, lasciamoli lì, sono stremati, diamogli da mangiare e finisce lì la cosa. Poveracci non ce la fanno neanche ad alzarsi in piedi, lasciamoli lì, nel container soffriranno perché tutta questa gente senza aria”… “No, no. Fateli entrare”. Io allora ho mentito alle autorità libiche e ho detto “guardate non vogliono entrare. Lasciateli lì, stanno bene così, li portiamo in Libia così”. Loro allora sono scese a bordo, le autorità libiche dico, armate di manganello e scarponi… questi li hanno picchiati a sangue mentre, ripeto, quelli non ce la facevano neanche a reggersi in piedi…li hanno picchiati, massacrati di botte a sangue… li hanno fatti entrare dentro… noi avevamo preso un basket per dare da mangiare marmellata, pane, latte… questo basket se lo sono presi loro, le autorità, se lo sono portati loro…e quelli sono entrati dentro il container morti di fame, senza acqua e con poca aria. Siamo entrati in Libia rimorchiando questa barca. Hanno preso il container con una gru senza farli scendere. Noi in questo frattempo avevamo mangiato quattro volte e loro dentro, morti di fame e chiusi a chiave…
Hanno preso il container con la gru, lo hanno messo nel camion senza farli scendere e se li sono portati via… cioè, dentro non sapeva nessuno se c’era qualcuno che era morto o se erano vivi…in quali condizioni erano… La barca che noi abbiamo portato giù, una settimana dopo l’abbiamo vista ripassare di nuovo carica di gente. Quindi quelle barche le vendono! Le autorità, o non so chi…. Comunque noi l’avevamo lasciata dentro il porto… e dopo una settimana, ripeto, l’abbiamo vista ripassare carica di gente.

D: Ma tu, quindi, quando senti i nostri politici italiani che vanno a trattare con Gheddafi, che gli affidano il pattugliamento delle coste, che gli affidano addirittura la gestione dei centri di detenzione per gli immigrati, mentre sai invece come si comportano poi nella realtà le autorità libiche… non trovi incredibile che noi stiamo delegando a un paese che sistematicamente picchia queste persone e viola tutti i loro diritti umani, il compito di occuparsi di questi migranti?

R: Io so solo che questo è un gioco che stanno facendo tutti i politici. Stanno giocando sulla pelle delle persone. Sta morendo un sacco di gente e loro stanno giocando con la pelle di questa gente. In tutto quello che vediamo non c’è una cosa seria. Non stanno facendo niente, ognuno fa i fatti suoi. Noi vediamo in televisione che sono andati lì risolvere un problema. Non è un problema risolto, per niente.

D: Probabilmente l’unico modo per risolvere questo “problema” se così si può chiamare è cambiare le leggi sull’immigrazione e dare la possibilità a queste persone di arrivare, tra l’altro con una spesa minima rispetto a tutti i soldi che devono dare per viaggiare in questo modo, ed entrare con la loro dignità e in buona salute fisica in Italia.

R: Le persone che hanno voglia di lavorare, lavorano. Quelle che non vogliono lavorare o hanno in testa altre cose ritornano indietro. Ma bisogna legalizzarli, così in questo modo non funziona… io adesso non ho la formula giusta come può averla chi è “addentrato” , ma le cose bisogna legalizzarle

D: Vorrei concludere, innanzitutto ringraziandoti tantissimo, dandoti tutto il nostro incoraggiamento e il nostro sostegno per quello che hai fatto e per come stai continuando a raccontare questa storia e a denunciare quello che è successo. Poi vorrei parlare della tua nuova attività a Porto Palo in Sicilia, perché tu hai continuato a fare un lavoro di recupero della memoria, conservando questa storia come probabilmente nessun altro ha fatto, anche dando alla tua nuova attività, che è un bed &breakfast, il nome di “Nave fantasma”.

R: E’ stato un modo per non dimenticare, come c’è scritto nella lettera, sul sito http://www.navefantasma.it. Si tratta della casa in cui abitavo da anni ed è stato il periodo più bello della mia vita, e adesso l’ho trasformata in un b&b, ma lo gestiranno i miei figli. Io spero di tornare a pescare o comunque in mare perché penso che nel mio sangue un po’ di acqua salata è rimasta… il nome è duro. Mi hanno chiesto perché proprio nave fantasma, “Ti ha creato problemi disagi, avresti dovuto dimenticare, avresti…”. E invece no, non è un fatto che uno deve dimenticare, è un fatto che non possiamo nascondere. Non abbiamo scherzato. Io ci credevo. Allora l’ho fatto perché ci credevo. L’avrei rifatto, lo rifarei se mi capitasse, ma speriamo mai una cosa così grossa, speriamo mai perché sono della vite, delle persone che sono morte, speriamo che non succeda mai più. Però se mi dovessi trovare in una situazione del genere io agirei sempre allo stesso modo, nonostante tutti i disagi e tutti i problemi che ho avuto e che sto ancora avendo, penso che mi comporterei allo stesso modo…

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