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Italia: il sostegno della Marina Militare alla Libia può mettere in pericolo i migranti

Human Rights Watch: l’aiuto alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi

Migranti a bordo di una barca che cercavano di portare in Italia, dopo essere stati detenuti in una base della Marina libica a Tripoli il 20 settembre 2015. © 2015 Reuters

Lo spiegamento di navi della Marina Militare italiana, volto ad assistere le autorità libiche nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno di migranti successivamente detenuti in Libia, ha affermato oggi Human Rights Watch.

Lo spiegamento in acque libiche potrebbe, di fatto, condurre alla detenzione arbitraria di persone in condizioni abusive” ha detto Judith Sunderland, direttrice associata per Europa e Asia centrale a Human Rights Watch. “Dopo anni passati a salvare vite in mare, l’Italia si sta preparando ad aiutare le forze libiche, note per detenere persone in condizioni tali da esporle a un concreto rischio di torture, violenze sessuali, e lavori forzati”.

L’obiettivo della missione, approvata il 2 agosto dal Parlamento italiano, è di assistere le forze libiche nella “lotta all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani” attraverso attività di ricognizione, sorveglianza, e condivisione di intelligence. Nel corso di una sessione pubblica in Parlamento il 1° agosto, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha indicato che le regole d’ingaggio verrebbero delineate, nel dettaglio, in un futuro accordo tecnico con le autorità libiche. Non ha risposto a diverse domande da parte del Parlamento su dove verrebbero fatti sbarcare i migranti intercettati o tratti in salvo nel corso di operazioni che interessassero la Marina italiana.

Secondo il diritto internazionale e regionale dei diritti umani, nessun individuo che sia tratto in salvo o intercettato da una nave con bandiera dell’Unione Europea, o che sia sotto la custodia o il controllo di uno stato membro dell’Ue, può essere rinviato in un posto, o consegnato ad un’autorità, che lo esponga a un rischio concreto di tortura o maltrattamento – il cosiddetto principio di non-refoulement. Di fatto, il divieto si estende ai rinvii in Libia o alla consegna a forze libiche, e vige anche se l’Italia effettua soccorsi o intercettazioni in acque territoriali libiche. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato questo principio in una sentenza decisiva del 2012 contro l’Italia per la prassi, attuata nel 2009, di intercettare barconi e rinviare migranti in Libia.

Non è chiaro se i funzionari italiani prenderanno il controllo delle barche di migranti o prenderanno in custodia i migranti in acque libiche, e dove, anche se così facessero, farebbero sbarcare quei migranti, ha detto Human Rights Watch. Ma anche se la Marina italiana fornisse alla Guardia costiera libica solamente dell’intelligence tale da condurre, presumibilmente, alla cattura e alla detenzione di migranti in condizioni abusive, l’Italia potrebbe essere in parte responsabile, in base al diritto internazionale, di aiutare le autorità libiche a commettere atti illegittimi a livello internazionale. L’Italia potrebbe anche essere coinvolta nella negazione del diritto delle persone di lasciare qualunque Paese, ed interferire con il diritto di richiesta di asilo politico previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Libia non ha ratificato la Convenzione internazionale per i rifugiati e non ha un sistema d’asilo funzionante.

Le prove di brutalità ai danni dei migranti in Libia sono schiaccianti. Un rapporto di dicembre 2016 dell’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e della missione Onu in Libia, ha documentato malnutrizione diffusa, lavori forzati, malattie, pestaggi, abusi sessuali, torture e altri abusi nei centri di detenzione per migranti in Libia. Un memorandum del ministero degli esteri tedesco, trapelato sulla stampa a gennaio 2017, affermava che i migranti in Libia vengono uccisi, torturati, stuprati, sottoposti a estorsioni e abbandonati nel deserto “quotidianamente.” Human Rights Watch ha documentato abusi contro i migranti in Libia per anni, anche da parte di guardie in centri di detenzione sotto il Direttorato per l’immigrazione illegale (DCIM), delle forze della Guardia costiera libica, e di trafficanti.

In passato, l’agenzia Onu per i rifugiati, l’Unhcr, ha fatto appello a tutti i Paesi di “permettere ai civili in fuga dalla Libia (cittadini libici, residenti abituali della Libia, e cittadini di Paesi terzi) di lasciarli entrare nei propri territori.”

Lo sbarco di decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo in Italia ha piegato il sistema di ricezione del Paese ed ha alimentato un dibattito politico problematico, ha detto Human Rights Watch. I governi dell’Ue, in particolare Spagna e Francia, hanno rigettato la recente richiesta dell’Italia di accettare più responsabilità e permettere lo sbarco di persone salvate in mare. Le regole d’asilo dell’Ue implicano che l’Italia si carichi della responsabilità di esaminare la stragrande maggioranza dei richiedenti asilo che raggiungono le sue coste. Dal 2015, solo 7.935 persone sono state ricollocate dall’Italia in altri Paesi membri dell’Ue, nell’ambito di un piano di emergenza che avrebbe dovuto riguardare quasi 35mila persone.

L’Italia sta aumentando i suoi sforzi per ridurre le cifre, anche attraverso l’imposizione di un codice di condotta a organizzazioni non-governative che compiono operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Gravemente preoccupate dal fatto che il codice di condotta possa limitare la capacità delle Ong di operare efficacemente nel prestare soccorsi, e che possa violare la loro neutralità e indipendenza, cinque organizzazioni su otto si sono rifiutate di firmare. I gruppi non-governativi hanno condotto almeno il 40 per cento dei salvataggi nei primi cinque mesi dell’anno.

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, oltre 94.800 persone hanno raggiunto l’Italia via mare dall’inizio dell’anno. Almeno 2.221 sono morte nel tentativo di attraversamento. Dati dell’Unhcr dimostrano che due terzi di coloro che arrivano provengono da otto Paesi africani sub-sahariani. I minorenni, la maggior parte dei quali viaggiano non accompagnati, costituiscono il 15 per cento. Le autorità hanno il dovere di assicurare che i migranti sotto il loro controllo, o sotto la propria giurisdizione, abbiano il diritto a una procedura di richiesta d’asilo equa ed efficiente, e hanno il dovere di identificare le persone vulnerabili. Le autorità hanno anche diritto di rimuovere dal proprio territorio persone che non hanno una pretesa valida di rimanere, purché vengano seguite procedure che garantiscano i loro diritti, ha detto Human Rights Watch.

L’Italia è in prima linea negli sforzi promossi dall’Ue per addestrare le forze della Guardia costiera libica, per stabilire un centro di coordinamento per il soccorso marittimo funzionante, e per migliorare le condizione detentive in Libia. Ad aprile, la Commissione europea ha stanziato 90 milioni di euro per sostenere i progetti di assistenza ai migranti in Libia, e a fine luglio ha approvato lo stanziamento di altri 46 milioni di euro per il controllo dei confini terrestri e marittimi. Qualunque cooperazione con le autorità libiche che porti alla detenzione di migranti da parte della Libia dovrebbe verificarsi soltanto in presenza di prove chiare che questo tipo di iniziative sia conforme agli standard sui diritti umani, a partire da un miglioramento dimostrabile nel trattamento dei migranti. Ciò richiede un monitoraggio indipendente e trasparente, ma non è stato stabilito alcun sistema di monitoraggio indipendente né per il programma di addestramento, né per i centri di detenzione libici.

Le navi italiane, comprese quelle che si trovano in acque libiche, hanno l’obbligo di soccorrere le persone in difficoltà in mare, oppure, se le navi libiche sono meglio posizionate per effettuare il salvataggio, di assistere le forze della Guardia costiera libica. Per prevenire gli abusi di migranti, gli equipaggi della Marina italiana dovrebbero garantire che chiunque venga salvato sia fatto sbarcare in un porto sicuro fuori dalla Libia, ha dichiarato Human Rights Watch.

Fintantoché mancheranno garanzie che i migranti in Libia non siano esposti ad abusi come la detenzione arbitraria, l’Italia non dovrebbe assistere le forze della Guardia costiera libica per intercettare migranti che non si trovino in difficoltà, ha detto Human Rights Watch. Dovrebbero anche essere richiesti dei miglioramenti significativi e duraturi nelle condizioni dei centri di detenzione e nel trattamento dei detenuti, così come la capacità delle forze della Guardia costiera libica di svolgere i propri compiti in modo sicuro e umano.

I Paesi dell’Ue, compresa l’Italia, dovrebbero aumentare i canali sicuri e legali di entrata nell’Ue, anche coinvolgendo l’Unhcr per reinsediare coloro ai quali sia stato riconosciuto lo status di rifugiato e si trovano, al momento, in Libia. Altre vie, come visti umanitari, di studio, di lavoro e ricerca, potrebbero aiutare a ridurre la domanda di traffici illeciti e viaggi pericolosi, ha detto Human Rights Watch.

Incaricare le forze libiche di contribuire a chiudere il confine dell’Europa, prima di assicurarsi che i diritti più basilari dei migranti vengano rispettati in Libia, è sconcertante”, ha detto Sunderland. “I governi dell’Ue dovrebbero lavorare, innanzi tutto, per porre fine agli abusi a danno dei migranti in Libia, e garantire, nel frattempo, robuste operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, anche da parte di Ong, e condividere in modo autentico la responsabilità in fatto di sbarchi, identificazione, e ricezione”.