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da Il Manifesto del 24 giugno 2003

Italia, non sei terra d’asilo di Cinzia Gubbini

L'Onu denuncia le inadeguatezze di Roma nell'accoglienza ai profughi

Più di 33 mila richieste nel ’99, 15.500 nel 2000,9.620 nel 2001, 7.281 nel 2002. Queste le cifre delle richieste di asilo politico presentate in Italia negli ultimi tre anni. Fatti e non parole: l’«emergenza» millantata da alcuni esponenti del governo circa l’«invasione» di profughi sulle coste italiane non trova riscontro nella realtà. Anzi, i numeri delle persone in fuga da guerre e persecuzioni sono calate negli anni, al contrario di quanto accade in altri paesi europei come il Regno Unito (91 mila richieste d’asilo nel `99, ben 110.700 nel 2002). E’ di profughi che parliamo e non generalmente di «immigrati» (o addirittura di «clandestini») , perché, come dimostrano i dati diffusi da Medici senza frontiere (riportati in pagina), le nazionalità dei migranti che nelle ultime settimane hanno attraversato il canale di Sicilia muovono lo sguardo – di chi vuol vedere – verso paesi in conflitto. Eppure in Italia manca ancora una legge organica sul diritto d’asilo e, come hanno dimostrato i fatti di questi giorni, la rete di accoglienza nazionale è allo stremo. E’ il caso, quindi, di riportare l’attenzione sui numerosi problemi ancora aperti in Italia, messi in luce dall’arrivo di profughi. Ne parliamo con il portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Acnur) in Italia, Laura Boldrini.

I numeri dei richiedenti asilo in Italia danno un’immagine molto diversa sull’ emergenza che il nostro paese si troverebbe ad affrontare con i numerosi sbarchi di questi giorni.

I numeri vengono diffusi dal Viminale. E sono decisamente esigui, soprattutto se paragonati alle cifre di altri paesi europei. In Italia l’asilo continua ad essere un fenomeno molto circoscritto, ma nonostante cio’ viene ancora regolato in modo inappropriato. Eppure, se ben regolato, potrebbe essere un biglietto da visita per il paese, perche’ si tratta di un fenomeno di facile governance.

La «governance» sembra essere una chimera, anzi, abbiamo assistito a un’enorme difficoltà nella gestione delle persone in arrivo.

Il sistema d’asilo in Italia è accennato, per così dire. E se lo è lo si deve al Programma nazionale asilo (Pna), che è l’unica forma di assistenza mirata specificatamente ai richiedenti asilo. Prima del 2000 non esisteva un circuito dell’asilo in Italia.

Proprio oggi (ieri, ndr) L’associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha annunciato la ripartizionedi 9.000.000 euro nelle città che partecipano al Pna. In questa occasione è stata messa in rilievo la difficoltà in cui versano i comuni che accolgono irichiedenti asilo. Perché?

Il fatto che non sia ancora stato approvato il decreto attuativo della Bossi-Fini che concerne la parte riguardante l’asilo, ha creato molti problemi anche rispetto ai finanziamenti. Tant’è che la disponibilità dei posti è scesa a 1.100, prima era di duemila. E’ vero che la Bossi-Fini ha inserito il Pna in una cornice legislativa prevedendo anche un fondo specifico, cio’ detto è anche vero che ci sono dei ritardi gravi.

E’ stato più volte sottolineato che la Bossi-Fini non è una legge sull’asilo. Alcuni esponenti del governo, però, non sono di questo avviso. Tanto che la legge sull’asilo, che manca in Italia, è stata bloccata in commissione parlamentare. Pensate che la legge sul’immigrazione sia sufficiente a regolamentare la materia dell’asilo?

Noi pensiamo che non sia sufficiente. La Bossi-Fininasce come legge sull’immigrazione, tant’è che per quanto riguarda il diritto d’asilo parte dal presupposto di voler evitare gli abusi. Gli abusi sono possibili, certo, ma una legge organica dovrebbe avere altri presupposti. Una legge dovrebbe avere il compito di regolare tutta la materia in termini di standard procedurali, di protezione e assistenza. Dovrebbe inoltre integrare le direttive europee, mentre la regolamentazione di questa materia in Italia è talmente frammentata da non permettere la piena utilizzazione dello strumento normativo. Anche se sono state assorbite alcune normative europee, e anche se in sede europea si sta lavorando per un’armonizzazione della legislazione sul diritto d’asilo, l’Italia non può esimersi dal dotarsi di una legge nazionale ben fatta e ben strutturata. Gridare allo scandalo quando arrivano 2.400 persone se poi non si vuole investire denaro in un sistema di asilo che assicuri uno screening efficiente che tuteli il richiedente asilo e il cittadino italiano, è una contraddizione.

Torniamo agli sbarchi di questi giorni. Aumentano le nazionalità africane tra i profughi in fuga. Cosa ne pensa l’Alto commissariato?

Innanzitutto voglio sottolineare che siamo di fronte a una vera tragedia umana, per la quale esprimiamo cordoglio. Una situazione che va affrontata con molta serietà da tutti. Negli ultimi tempi abbiamo di fronte un vero bollettino di guerra: e molto probabilmente noi vediamo solo la punta dell’iceberg. Mi chiedo quanta gente giace in fondo al Mediterraneo, senza averne notizia. Quindi queste sciagure dovrebbero muovere tutti a prendere questa situazione con estrema serietà: non si possono spendere risorse e energie esclusivamente in misure di contrasto, si tratta di una scelta miope. Le misure di contrasto sono legittime, ma non possono essere l’unica risposta. Bisogna risalire alle cause, porsi la domanda: perché questa gente scappa? Perché le madri decidono di imbarcarsi,mettendo a repentaglio la vita dei propri figli? Evidentemente i parametri di giudizio delle persone che fanno queste scelte sono totalmente diversi dai nostri. Allora da questo non si può prescindere. Premesso che, tra le persone che arrivano, c’è sicuramente chi approfitta di conflitti particolarmente visibili in Europa, come quello in Iraq o in Palestina, per assicurarsi la possibilità di chiedere diritto d’asilo, è tuttavia evidente che c’è gente che sta scappando da situazioni tragiche. Ci sono i somali che scappano da una situazione di anarchia totale. C’è un negoziato di pace per la Somalia? A me non risulta. Ci sono i sudanesi. In Sudan c’è un negoziato in corso, ma prenderà forma? E’ tutto da decidere. Vengono dalla Liberia, e ne vogliamo parlare della Liberia e della Sierra Leone? Situazioni in cancrena, in cui gli interessi in ballo sono tanti, dove i negoziati di pace non riescono a vedere la luce perché ha sempre la meglio chi rema contro. Allora, queste sono situazioni che generano fuga.

E voi cosa proponete per porre un argine a questa situazione?

Noi abbiamo posto sul tavolo europeo una strategia, articolata, che prevede tre approcci: come si fa a diminuire il numero di persone che cade in mano dei trafficanti e che poi muore? Prima di tutto investendo maggiori risorse nei primi paesi di asilo,i paesi confinanti nella regione di crisi. Facciamo un esempio: i rifugiati della Sierra Leone che scappano in Guinea, dove la sopravvivenza è minima, dove si vive nella paura che i gruppi ribelli arrivino nei campi per terrorizzare la popolazione. Se si riuscisse a fornire un livello maggiore di assistenza, se si aiutasse la Guinea ad accogliere in modo migliore queste persone, investendo risorse che aiutino la comunità locale e vadano a vantaggio dell’intera popolazione; allora, forse, si riuscirebbe a fermare il viaggio dei profughi. Ma ammesso che il viaggio continui: allora bisogna concepire l’idea di costruire dei centri di assistenza gestiti dall’Unione europea, in cui sia possibile fare uno screening sofisticato,di modo che, una volta individuati i rifugiati, sia possibile applicare il metodo del bordersharing che permetta di dividere l’onere tra i diversi paesi dell’Unione.

Strategia logica, ma durante il vertice di Salonicco la Gran Bretagna ha rilanciato l’idea dei campi di smistamento fuori dalle frontiere europee. La stessa idea è stata ripresa oggi (ieri, ndr) dal responsabile immigrazione di Alleanza nazionale. Proprio alla vigilia del semestre italiano in Europa. Che cosa pensa l’Acnur di questa proposta?

L’Acnur pensa che questi centri debbano essere costruiti all’interno dell’Unione europea, perché solo all’interno dell’Ue esistono garanzie di rispetto della Convenzione di Ginevra. La nostra posizione è che si arrivi a trovare delle soluzioni percorribili, e la proposta inglese è una proposta non percorribile.

In questi giorni è stato approvato il decreto attuativo che regola le nuove competenze delle forze che pattugliano il mare. Qualcuno auspica che siano dati pieni poteri alla Marina militare per procedere con i respingimenti dei mezzi che trasportano i migranti. Cosa ne pensa l’Acnur?

Dipende da come verrà applicato il decreto. Se il monitoraggio dovesse tradursi in un respingimento sarebbe prima di tutto rischioso per chi viaggia su questi mezzi, inoltre sarebbe contrario al principio del «non respingimento» sancito dalla Convenzione di Ginevra, poiché è necessario permettere ai richiedenti asilo di poter accedere alla procedura. Comunque, l’Alto commissariato è stato rassicurato dalle parole del ministro degli interni Pisanu, il quale ha ribadito che la prima priorità è salvare le vite in mare. Ha dimostrato un alto senso dello stato.